La mostra principale del programma della Capitale mondiale dell’architettura Unesco presenta progetti e forme di uno spazio pubblico innovativo e creativo
COPENAGHEN. Lo studi all’interno, lo vivi all’esterno. Questione di pochi metri, esci dalle porte vetrate del Danish Architecture Center (ospitato nel Blox di Rem Koolhaas) e ti trovi immerso nello spazio pubblico della capitale danese. Tanto coltivato e celebrato da diventare il tema forte degli eventi che accompagnano quest’anno di celebrazioni. Se Copenaghen è la Capitale mondiale dell’architettura (i motivi li abbiamo raccontati in questo ritratto di città) lo deve anche, e forse soprattutto, ad un approccio speciale, identitario e fortemente sperimentale ai suoi luoghi collettivi.
Copenaghen in Common
Non stupisce quindi la scelta del palinsesto di mostre di quello che, pur piccolo e fortemente integrato in uno spazio complesso e multiforme affacciato sul Canale, è il cuore della cultura architettonica cittadina. Copenaghen in Common è lo slogan che unisce e lega un percorso di diversi frammenti che diventano, innanzitutto, l’auto-celebrazione di un modello di città. Capace di tenere insieme comunità, infrastruttura e tanta architettura contemporanea. Non c’è progetto presentato in mostra – e comunicato attraverso un’accumulazione di strumenti: dalle foto ai video, dai modelli a schemi e diagrammi – che non esprima un’innovazione in tema di spazio collettivo: un canale che diventa spiaggia, il tetto di un inceneritore nuovo paesaggio con tanto di pista da sci, la copertura di un autosilo inaspettato luogo per lo sport, ponti e trampolini come nuovi sorprendenti itinerari urbani a contatto con l’acqua.
Città-blu, verde, densa e mista sono i 4 concetti (che corrispondono alle sezioni dell’esposizione) di un unicum, esito di un patto sociale incardinato sui concetti di sviluppo e porosità. In linea con il carattere prevalente dei luoghi che racconta, l’esposizione non ha gerarchia, è accessibile e democratica. Il visitatore può costruirsi un itinerario personale, toccando rapidamente i media esposti e indugiando sulle viste verso l’esterno che una collocazione così centrale permettono. Oppure approfondendo i singoli progetti riccamente illustrati con numerosi materiali, orientati anche alla dimensione sociologica.
Giovane e informale
Così è la città, con età media di 36 anni (a Milano e Roma, tanto per dare un’idea, 10 in più). Ogni anno si aggiungono 10.000 nuovi abitanti ai circa 800.000 attuali. Informali sono i suoi spazi di vita collettiva che, in un giugno caldo e molto soleggiato, si animano trasmettendo sensazione di energia, dinamismo, di continua e progressiva trasformazione. Ma giovane e informale è anche questa mostra. C’è meno ricerca estetica tradizionale, pannelli in legno chiaro costruiscono sfondi e scenari multipli. In legno sono anche supporti e piattaforme. Mentre colorate, coloratissime, sono le immagini: dai graffiti di Christiania (la comunità hippy semi-indipendente, fondata ad inizio Anni ’70) alle pavimentazioni di Superkilen Park nel quartiere periferico di Norrebro, lo spazio comune di Copenaghen è anche una questione di toni visuali, amichevoli e coinvolgenti.
È una mostra anche molto narrata, con numerosi video e interviste, anche ai protagonisti di questa fortunata stagione dell’architettura danese. Un percorso dinamico e stratificato dietro cui si nasconde il rischio di una celebrazione acritica.
Lo spazio pubblico contemporaneo di Copenaghen è spesso griffato, ha materiali di pregio, trova occasioni di fioritura all’interno delle grandi espansioni che la città ha vissuto (verso sud soprattutto) e sta vivendo (in particolare nell’area portuale in ricostruzione di Nordhavn). È certamente per tutti ma si offre più comodamente ai cittadini con alta disponibilità economica. Appare meno praticato nei quartieri periferici e in quelli in cui convivenza e integrazione risultano più complicate. A ciò si aggiunge la necessaria ricerca di forme e soluzioni capaci di confrontarsi con gli effetti dei cambiamenti climatici. Sono generalmente spazi con scarsa presenza di verde o comunque di elementi per creare zone d’ombra. Fattore che, anche in Scandinavia, sembra diventare ogni giorno di più decisivo per la qualità di luoghi collettivi dell’oggi e del domani.
E gli architetti (da tutto il mondo) studiano
Sono circa 10.000 i professionisti attesi in città nella prima settimana di luglio in occasione del 28° Congresso mondiale degli architetti (organizzato dalla International Union of Architects) con titolo Sustainable Futures – Leave No One Behind. La città offre così i suoi spazi pubblici, facendoli diventare casi-studio esemplari a livello globale. E schierando, tanto con i progetti quanto con interventi durante i cinque giorni di convegno, alcune tra le sue figure principali.
Da Bjarke Ingels a Dorte Mandrup, da Jaja Architects a Cobe, fino a Jan Gehl e alle sue teorie per città più vivibili e amichevoli, il Made in Copenaghen sembra davvero fare rima con luoghi per una collettività ritrovata.
E che, sempre al Danish Architecture Centre, si ritrova nell’esposizione permanente, inaugurata a marzo, “So Danish”: un percorso tra storia e attualità del design e del progetto danese. La dinamicità di questa città è parte integrante delle esposizioni del DAC. L’uscita può avvenire – a proposito d’innovazione e creatività – attraverso uno scivolo di 40 metri e 4 piani, progettato da Carsten Höller. Un pezzo di arte contemporanea che si confronta con un’altra piccola esposizione temporanea, “Tales of the City”, visitabile fino a ottobre: 14 progetti dello studio Werk sul tema della comunità attraverso altrettanti modelli prodotti da Knud Romer. Tra storie di città e movimenti urbani.
La mostra “Copenaghen in Common” è prodotta dal Danish Architecture Center. Inaugurata ad inizio maggio, è visitabile fino al 25 febbraio 2024
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allestimenti , danimarca , mostre , rigenerazione urbana , spazio pubblico , unesco
Last modified: 21 Giugno 2023