Un personale ricordo dell’anti-celebrativo architetto Premio Pritzker indiano
Ha suscitato cordoglio in tutto il mondo la morte di Balkrishna Vithaldas Doshi, a fine gennaio. L’architetto indiano (qui un bel ricordo su un magazine locale) aveva ottenuto il Premio Pritzker nel 2018, costruendo una lunga esistenza di visionarietà lungo traiettorie mai banali né scontate. Abbiamo chiesto un ricordo a Sandro Rolla, progettista italiano che oggi insegna in Cina, a Suzhou, che ha avuto, dalla fine degli anni ottanta un’intensa frequentazione con Doshi.
Il 24 gennaio Balkrishna Vithaldas Doshi ha superato la dimensione terrena, che nella cultura indiana si può tradurre in uno stato di puro spirito connesso con l’essenza della dimensione universale. Era il 1992 quando, non appena sbarcai ad Ahmedabad, certo d’iniziare l’eccitante esperienza nello studio di Architettura Sangath, mi ritrovai seduto in un giardino esotico. In un luogo circondato da una vegetazione lussureggiante, da animali inconsueti e da odori pungenti, mi misi a sorseggiare un tè dal gusto dolce-amaro che nei suoi componenti disegna la storia di una complessa cultura millenaria. Doshi, l’uomo di fronte a me, aveva uno sguardo acuto e profondo, usava un linguaggio veloce e narrativo, e inoltre mi osservava, mi ascoltava e non mi parlava di architettura. Emanava uno strano carisma che induceva rispetto ma non distanza. Ciò facilitò una relazione personale che in breve tempo m’introdusse al suo guru per le pratiche yogiche mattutine.
Sicuramente un inizio inusuale agli occhi di un giovane architetto occidentale che senz’altro era facilitato da una predisposizione personale. Grazie a questa siamo riusciti in brevissimo tempo ad abbattere ogni barriera culturale a favore di una dimensione profonda, in cui la pratica architettonica quotidiana è il mezzo per “celebrare la vita”.
Nel 2019 in occasione del workshop organizzato con Rajeev Kathpalia (associato dello studio Sangath, nonché genero di Doshi), la Vastu Shilpa Foundation (fondata da Doshi nel 1978) e la Xi’an Jiaotong-Liverpool University in Cina, lo stesso carisma che mi aveva attratto in gioventù affascinò un gruppo di 30 studenti cinesi e indiani che lavoravano negli spazi del Mill Owners’ Association Building. Questi giovani furono rapiti dai suoi racconti dove l’architettura diventava spazio ineffabile, esperienza di vita e luogo d’incontro tra mito e realtà.
Doshi camminava a suo agio nel Mill Owners’ Association Building, progettato da Le Corbusier con il suo contributo nel 1954. L’esperienza del percorso, del movimento, dell’orientamento e, insieme a questi, la regola con la sua imprevedibilità, la sensibilità al contesto, al clima e l’inclusione di un ecosistema fatto di persone, animali e vegetali sono alcuni degli insegnamenti che Doshi ha sempre riconosciuto al suo maestro Le Corbusier e che ricorderà anche come parte della sua infanzia. La sua esperienza giovanile fu talvolta segnata da eventi drammatici legati alla salute; infatti da Parigi fu costretto a tornare in India e questo lo segnò per tutta la vita. Doshi, con una sincera umiltà, ha sempre riconosciuto questo punto come l’avvio per una personale ricerca che lo porterà alla radicale modificazione degli apparati modernisti da una chiave più funzionalista ad una regionale.
Anni dopo dirà: “Mi sono reso conto molto presto della stretta relazione tra territorio, risorse, condizioni climatiche e le persone. Mi sono anche reso conto che il nostro mondo consiste in regioni distinte, ognuna con caratteristiche proprie che includono pratiche architettoniche specifiche, uniche per ogni regione“.
In questa breve passeggiata tra i ricordi, vorrei tornare un po’ più indietro, al 1987, anno in cui incontrai Doshi a Siena all’ILAUD. Dal 1976 l’International Laboratory of Architecture and Urban Design, fondato da Giancarlo De Carlo insieme alla rivista “Spazio&Società”, era la sede di confronto e discussione per un folto numero di personalità e università di tutto il mondo sui temi avviati dal Team X. Lì erano presenti Peter Smithson, Donlyn Lyndon, Russ Ellis, Jan Digerud, Per Olaf Fjeld, lo stesso De Carlo e molti giovani studenti di architettura. Questo piccolo uomo sorridente, dai tratti inusuali e dal linguaggio veloce in poco tempo, nel raccontare i piani della “città energeticamente consapevole” di Vidyadharnagar, gli spazi integrati al giardino dello Studio Sangath, i segreti dell’Istituto di Indologia, l’istituto dedicato a Gandhi, l’eccezionale percorso fatto per costruire il complesso di case a basso costo Atyra per i senzatetto, crebbe sempre di più fino a diventare una montagna di conoscenza senza limiti.
A mano a mano che le immagini della tradizione indiana si fondevano con le esperienze vissute con Le Corbusier, Louis Kahn e Richard Buckminster Fuller, il mio cuore si apriva, esultava e i miei occhi s’inumidivano. Ricordo una platea estasiata e affascinata dalla scoperta che i muri culturali potessero essere abbattuti, che il verbo delle accademie potesse essere discusso e che gli aspetti più profondi della natura umana potessero essere visti e compresi in un contesto universale.
Quando l’amore domina, le emozioni prendono il volo,
L’ambiente circostante diventa il campo.
Ma per raggiungere il cielo bisogna ascoltare il richiamo delle stelle.
Lì infatti i tuoi sogni ti aspettano
Le prime ore al Sangath, lo studio di Ahmedabad, le ho passate in silenzio, cercando di organizzare il tavolo da lavoro che in seguito scoprii essere la copia di quello su cui Doshi lavorava in rtue de Sèvres a Parigi. La riga parallela, le penne, le matite e la carta leggera per gli schizzi erano la dotazione minima; ancora più importanti erano i materiali per la costruzione dei modelli di studio. Dopo poco venni affiancato ad un giovane architetto, Durganand Balsavar, oggi direttore della scuola di architettura Saveetha a Chennai e studioso dell’opera di Doshi. Con lui lavorai al progetto per una nuova scuola di musica classica per Pandit Bhimsen Joshi a Pune. Ricordo un momento in cui Doshi, seduto al tavolo, stese la carta da schizzi sulla pianta, ridisegnò a matita e citando Le Corbusier disse che la pianta è generatrice di idee, ma al contempo tracciò segni e linee inizialmente incomprensibili. Dopo poco, la mia pianta diventò la figura di Ganesh, la divinità Indù con un corpo umano e la testa di elefante, che con la lunga proboscide generò un movimento che sarebbe diventato la rampa di collegamento tra il tetto/auditorio e gli spazi protetti dal sole sottostanti. Ero incredulo e divertito ma tutti ridevamo della lettura alternativa e complementare. Gran lezione! La realtà ha molte facce e può essere letta e percepita da molteplici osservatori, ma la cosa importante è ciò che l’architetto stratifica nel progetto, ovvero la storia che vuole raccontare. È un invito a fare esperienze insieme, perché solo in tal modo si può definire l’architettura come una “entità vivente”.
“Un architetto (Sthapati) indiano deve essere uno yogi per sentire le vibrazioni di ogni elemento del cosmo, compresi i materiali e gli utenti dello spazio”.
Lo spazio progettato pensando alle diverse esigenze della gente fa sì che “l’edificio diventi l’estensione della vita”; cosa che Doshi ha realizzato nella propria abitazione, Kamala House, nel campus universitario CEPT, nello studio Sangath e in molti altri edifici. “Gli edifici sono destinati alle persone, alfabetizzati, analfabeti, giovani e anziani. Per questo motivo è necessario elaborare metodi per stabilire un dialogo tra gli edifici e gli utenti“.
Chi tenta di leggere il lavoro di Doshi con occhi accademici o formali si perde velocemente e viene proiettato in un vortice di spazi che non hanno precisi confini, come nella galleria d’arte Amdavad Ni Gufa. Solo nella dimensione ultraterrena e nei riferimenti astrali potrà trovare riferimenti e orientamenti. I grandi occhi protesi verso il cielo danno riferimenti interni, ma al contempo diventano esperienza per un nuovo paesaggio dove i materiali chiedono di essere toccati con piedi e mani nude. “La forma non deve essere finita ma amorfa, così che l’esperienza al suo interno sia fluida, serpeggiante e multipla”.
L’esperienza tattile, i lunghi percorsi alternati da intensa luce e profonda penombra, la pietra, l’acqua, l’unto del sudore, i silenzi e le viscere terrene sono alcuni dei racconti che Doshi riferisce circa i viaggi verso i grandi templi dell’India del sud. Al contempo il rigore geometrico e la proporzione della griglia compositiva e strutturale rimandano al lavoro con Kahn nella costruzione dell’IIM di Ahmedabad; esperienza che verrà trascritta e interpretata successivamente nell’IIM di Bangalore.
Un altro salto nella memoria mi porta nel 2015 a Jaipur, alla conferenza internazionale “Crafting Future Cities” in cui Doshi è ospite d’onore. Erano passati circa 20 anni dal primo incontro e dalla collaborazione nello studio di Ahmedabad. Lui ancora si ricordava di me per le comuni passioni legate allo yoga. L’emozione prevaleva su tutto. Ciò che ricordo con più affetto sono state le piacevoli chiacchierate passate a rimembrare, così come il pomeriggio speso camminando nella città storica di Jaipur. Con la sua andatura particolare e frettolosa, è curioso, entra nelle corti, parla con la gente, prende appunti e fa schizzi, mi invita a osservare il lavoro degli artigiani o ad assaggiare il cibo di strada. Una vera e propria lezione di umiltà e curiosità che lo porta ad affermare: “Quando mi guardo indietro, noto la volontà d’imparare, di essere sempre uno studente e d’impegnarmi nel duro lavoro che ciò richiede“.
Questo atteggiamento prettamente anti-celebrativo ha radici profonde nella sua formazione. L’adesione ai principi gandhiani è fondamentale, “Temprato sia dai modi tradizionali sia dall’immensa influenza di Gandhi sulla vita quotidiana, la frugalità era una seconda natura… questo, a sua volta, promuoveva le virtù di generosità e di donazione. Un modo più responsabile di vivere come membro di un’ampia comunità“.
Infine, nel 2018, qualche mese prima dell’assegnazione del Pritzker, arrivai in Cina e m’imbattei in una grande mostra alla Power Station of Art di Shanghai, proprio riguardo il lavoro di Doshi. Decisi che era arrivato il momento di fissare il nostro sodalizio con un’intervista che potesse diventare un documentario. Partii immediatamente per Ahmedabad dove una troupe diretta dal regista Aditya Seth mi aspettava. Nonostante i novant’anni, Doshi era brillante e teneva testa alla lunga conversazione. Fuori dallo studio Sangath, nel giardino, gruppi di studenti lo aspettavano anche solo per passare qualche minuto passeggiando con lui. Io respiro tranquillo, cammino al suo fianco, rimanendo un po’ indietro rispetto a lui lo vedo sfumare tra le giovani generazioni. Lo immagino procedere a passo lento, con i piedi nudi sulla pietra levigata di un tempio, dove le luci si alternano alle ombre in un ritmo perennemente ripetitivo e ciclico.
Ricorda, senza la notte scura, non ci potrà mai essere l’alba.
Non pensare neppure solo all’alba e al sorriso
o alla notte più scura e immagina la morte.
Entrambi fanno parte di te.
Accetta la natura e cerca il positivo
e pensa ad esso come a un viaggio
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india , le corbusier , obituary , premio pritzker
Last modified: 7 Febbraio 2023