Riflessioni a margine del concorso vinto da Europarc per la ristrutturazione del Parlamento europeo nell’edificio Paul-Henri Spaak
BRUXELLES. Europarc, un consorzio di sette studi europei di architettura, urbanistica e ingegneria, ha recentemente vinto il concorso per il recupero e la ristrutturazione del Parlamento europeo, che svolge le sue attività nell’edificio Paul-Henri Spaak, così intitolato in onore a uno dei padri fondatori dell’Unione Europea. Il gruppo, composto da JDS Architects (DK), Coldefy (FR), NL Architects (NL), Carlo Ratti Associati (IT), Ensamble Studio (SP), UTIL cvba (BE) e Ramboll (DK), difende un’architettura aperta e sostenibile, corredata di ampi spazi verdi e attenta alla salvaguardia e al riutilizzo dell’esistente.
L’edificio Spaak si trova a est del Pentagone, nel cosiddetto quartiere europeo, dove dal secondo dopoguerra si sono insediate le principali istituzioni dell’Unione. L’urbanizzazione che contraddistingue quel periodo verrà poi chiamata Bruxellisation, in riferimento a uno sviluppo urbano sregolato e fortemente caratterizzato dalla speculazione edilizia. La ristrutturazione dell’edificio Spaak riporta all’ordine del giorno la questione dell’identità architettonica in riferimento all’identità culturale europea, le cui costruzioni trasformano in modo significativo il paesaggio urbano della Città-Regione-Capitale belga.
Le nuove forme della democrazia europea
Il Caprice des Dieux, un formaggio vaccino noto per la sua forma ovale, ha ispirato l’omonima espressione giornalistica per riferirsi all’edificio Paul-Henri Spaak. La sua forma ellittica e la fragilità della struttura gli valgono questo soprannome quando, nel 2017, è emersa la necessità di ristrutturare il fabbricato originale del 1994 e adattarlo ai nuovi standard architettonici per rispondere alle emergenze tecnico-ambientali.
Il progetto di Europarc propone di rafforzare il legame tra l’edificio e la città attraverso un intervento sull’attacco a terra e sulla permeabilità del pianterreno. Secondo i progettisti, l’edificio “non dev’essere un’entità impenetrabile, ma dev’essere un luogo aperto e attraversabile”. L’Emiciclo – l’aula assembleare in cui si riuniscono gli eurodeputati – verrà riposizionato ai livelli superiori dell’edificio e alcune delle sue ampie finestre potrebbero diventare un’interfaccia per trasmettere informazioni in diretta durante le assemblee plenarie, che solitamente si tengono a Bruxelles quattro volte l’anno. L’Agorà verde è il culmine del percorso del pubblico all’interno dell’edificio. Il giardino botanico, coperto da un’ampia tettoia vetrata, riunisce la vegetazione autoctona di tutti gli Stati membri dell’UE e mira ad incrementare lo spazio collettivo all’interno del Parlamento, riconfigurando il paesaggio urbano dell’intero quartiere.
Il gruppo vincitore dichiara che nel settore edilizio, oltre il 50% dell’impronta carbonica viene generata durante la realizzazione della struttura di un edificio e, se quest’ultimo dovesse essere completamente smantellato, tale spesa dovrebbe essere reimpiegata per la nuova costruzione. Il riutilizzo dell’esistente sembra essere una chiara risposta del Parlamento europeo alle emergenze ambientali cui dovrà far fronte la politica nei prossimi anni, e per le quali saranno le scelte progettuali a definirne le forme architettoniche, così come le ripercussioni sullo spazio urbano.
Oltre il Parlamento
Non è nuova l’idea che Bruxelles sia un avatar per l’UE
, una capitale di default scelta nel 1957 in occasione del Trattato di Roma, e il cui quartiere europeo riflette una profonda tensione tra l’identità culturale comunitaria e l’identità architettonica della città. La stessa distanza che potranno risentire alcuni cittadini dell’Unione rispetto alla capitale europea sembra esistere tra alcuni quartieri di Bruxelles e il distretto istituzionale che, come direbbe J. G. Ballard, “non è costruito per l’uomo, ma per l’assenza umana“.
Traumnovelle, uno studio che nel 2018 ha curato il padiglione del Belgio alla 16° Mostra di Architettura a Venezia, aveva osservato lo spazio urbano e architettonico del quartiere europeo, interrogandosi sul suo futuro e, in generale, sul futuro dell’Unione Europea. Con “Eurotopia”, il gruppo sosteneva che i cittadini europei non avessero bisogno di nuovi simboli; piuttosto essi difendevano “la necessità di un’architettura anti-estetica, che non finga di rappresentare un’Europa che non vuole essere rappresentata”.
Sembra quindi più opportuno riflettere sullo spazio delle istituzioni e sulla loro capacità ad accogliere un’ampia gamma d’istanze cittadine e comunitarie nei processi decisionali dell’UE. Da un punto di vista architettonico, l’integrazione della società civile all’interno di queste fortezze di cristallo potrebbe avvenire attraverso i pianterreni degli edifici in quanto punti di contatto con lo spazio pubblico, come proposto da Europarc. In altri edifici istituzionali come il Berlaymont o l’Europa Building, l’atrio polarizza già numerosi incontri informali tra politici, attivisti, impiegati, ONG, e sembra un’opportunità su cui lavorare per favorire una maggiore partecipazione dei cittadini nella politica comunitaria.
In definitiva, pare non ci sia una risposta formale univoca per le istituzioni europee, di cui le nuove narrazioni urbane ed architettoniche potrebbero farsi garanti. Piuttosto, “per risvegliarsi, unificarsi e agire, l’Europa ha bisogno di creare un mito minore in cui i cittadini possano unirsi e perseguire una missione comune”. Come nella Brüsel di François Schuiten e Benoit Peeters, “Eurotopia” è un viaggio in un’Europa sotterranea e distopica, della quale talvolta alcune testimonianze atterrano come degli UPO (Unidentified Political Object) nella realtà del quartiere europeo di Bruxelles.
Immagine di copertina: © Europarc
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architettura e politica , belgio , concorsi , recupero
Last modified: 11 Gennaio 2023