Al MAXXI due mostre offrono una panoramica su passato, presente e futuro dell’intelligenza tecnica e strutturale applicata al progetto architettonico
ROMA. In che modo arte e scienza hanno prodotto sinergie nel progetto architettonico? E in che modo questa alleanza può porre le basi per un futuro più sostenibile in termini d’innovazione tecnologica e digitale? Partendo da questi interessanti quesiti il MAXXI propone due mostre che offrono una panoramica su passato, presente e futuro dell’intelligenza tecnica e strutturale applicata al progetto architettonico. La mostra “TECHNOSCAPE. L’architettura dell’ingegneria”, a cura di Maristella Casciato e Pippo Ciorra, approfondisce il rapporto tra arte, architettura, scienza e nuove tecnologie tramite un allestimento che prende in esame più di quaranta progetti realizzati tra il secondo dopoguerra e oggi.
Otto categorie strutturali
Le opere esposte sono catalogate in otto categorie che non seguono un criterio cronologico ma di tipologia strutturale: un modo per porre l’accento sulla tecnologia costruttiva quale fulcro del processo creativo che mette in relazione architettura e ingegneria. I progetti sono illustrati con disegni, foto e grandi plastici che spogliano gli edifici mettendo in valore l’ossatura strutturale.
Si parte dagli edifici alti, in cui la tecnologia è messa a supporto dell’architettura per raggiungere quote notevoli: come nella torre dal profilo prismatico della Bank of China a Hong Kong di Ieoh Ming Pei e Lera; o nella sede centrale della CCTV realizzata da Oma con Arup a Pechino, un “nastro continuo” formato da due torri a L rovesciate che, grazie a una gabbia di barre in acciaio poste in facciata, si uniscono in un aggetto sorprendente a 234 metri da terra.
Nella sezione gusci sottili ritroviamo come esempio paradigmatico l’Opera House di Sidney, nata dall’idea vincente di Jørn Utzon e Ove Arup d’inscrivere una serie di gusci sovrapposti aperti verso la baia in un’unica superficie sferica. Altro progetto iconico è il crematorio Meiso no Mori, a firma di Toyo Ito e Mutsuro Sasaki, che con la sua copertura ondulata in calcestruzzo di 18 cm di spessore si integra perfettamente con il contesto naturale.
La categoria volumi sospesi comprende progetti in cui gli edifici vengono elevati tramite sapienti impalcati strutturali per liberare da pilastri e appoggi l’attacco a terra. È il caso della Broadgate Exchange House a Londra di Bruce Graham, in cui l’edificio viene sollevato da terra tramite quattro maxi archi per rispondere alla necessità di bypassare i 78 metri del tracciato ferroviario.
La sezione strutture reticolari descrive sistemi di elementi modulari tridimensionali come la grande reticolare spaziale sollevata a 30 m da terra che contiene tutti gli spazi espositivi del Grand Roof di Kenzo Tange per la prima Expo asiatica, Osaka ‘70.
Emblematici per la categoria delle campate modulari sono due progetti museali di Renzo Piano: l’espansione del Kimbell Art Museum a Fort Worth (Texas), impostata su un sistema di pilastri che sorreggono travi accoppiate in legno lamellare; e La Menil Collection di Houston dove collabora con Arup nella sperimentazione di due materiali innovativi, la ghisa sferoidale per la doppia trama modulare di travi reticolari in copertura e il ferrocemento per le foglie sospese alle travi che lasciano entrare luce zenitale nello spazio espositivo.
Tra le cupole ritroviamo, tra le altre, quelle geodetiche di Richard Buckminster Fuller, nonchè la copertura a conci romboidali in ferrocemento di soli 2,5 cm di spessore messa a punto da Pierluigi Nervi insieme ad Annibale Vitellozzi per il Palazzetto dello sport di Roma.
Nelle membrane leggere ritroviamo esempi di tensostrutture come il centro sportivo Yoyogi di Tsuboi e Kawaguchi con Kenzo Tange, realizzato a Tokyo nel 1964.
Infine, la categoria dei materiali alternativi individua progetti che portano al limite le caratteristiche di alcuni materiali. È il caso della spettacolare copertura in carbonio dello Steve Jobs Theater di Foster and Partners a Cupertino (California), che sembra galleggiare in aria, poggiando solo su un cilindro perimetrale in vetro.
Una visione sul futuro
Con un interessante salto temporale, la rassegna mette infine a confronto l’articolato binomio tra architettura e tecnologia nel secolo scorso con una serie d’installazioni prodotte da sette centri di ricerca universitari di spicco che formulano una prima ricognizione d’indagini e sperimentazioni sulla tecnologia a uso del futuro. Un futuro che non guarda più solo all’ambito strutturale ma si amplia includendo l’ecologia, il digitale, i materiali sostenibili e la disciplina aerospaziale.
Così il MIT prototipa tute aerospaziali dai materiali avveniristici, immaginandole come unità di abitazione minima nello spazio; l’Universität für angewandte Kunst ipotizza sei visioni per la Ringstrasse di Vienna, interpretandola come dispositivo tecnologico flessibile in risposta ai nuovi usi urbani post pandemia; l’Università tecnica di Delft insieme al Politecnico di Zurigo riprogettano il citato Palazzetto dello sport tramite un sistema di casseforme flessibili per gusci in calcestruzzo con nervature; l’Università di Stoccarda lavora su strutture portanti in fibre di lino; l’Università tecnica di Berlino esplora nuovi usi per il calcestruzzo alleggerito o armato.
Sergio Musmeci, l’ingegnere visionario
In parallelo, nella sezione di focus dagli archivi del MAXXI, la mostra “inGenio. Idee visionarie dall’Archivio di Sergio Musmeci” a cura di Tullia Iori, propone una rilettura dei progetti e degli innumerevoli disegni rimasti nel cassetto di Sergio Musmeci (1926-1981).
La prima parte dell’esibizione mette in luce il profilo visionario di Musmeci, ingegnere poliedrico e anticipatore dei tempi che con i suoi disegni andava alla ricerca di forme “ancora senza nome”: antipoliedri, superfici pieghevoli come origami, intrecci di travi e membrane fluide prendono forma nei testi, negli schizzi e nei calcoli esposti. Il focus si concentra poi sui progetti realizzati, ponendo particolare attenzione ai ponti, ove il genio di Musmeci trova la sua massima espressione: forme che sovvertono l’ordinario e ribaltano l’utilizzo consueto dello spazio. Tra questi, spiccano il formidabile guscio continuo equicompresso del ponte sul Basento a Potenza e due progetti immaginati: la tensostruttura strallata a campata unica per il ponte sullo stretto di Messina e i grandi piloni sagomati come ali di uccelli in volo del ponte di Tor di Quinto, ideati con Ugo Luccichenti per le Olimpiadi del 1960. Tutti esempi nei quali Musmeci, raffinatissimo matematico, sembra trovare la soluzione ai problemi strutturali attraverso la forma più ancora che non attraverso il calcolo.
“Quando la forma diventa espressiva del problema statico, allora fa architettura”, scrive Musmeci proponendo una sapiente sintesi del fil rouge che lega le due mostre, ovvero l’inscindibile quanto delicato equilibrio tra arte e scienza nel progetto di architettura.
Immagine di copertina: Sergio Musmeci. Ponte sul fiume Basento (Potenza, 1967-1975) con A. Livadiotti, E. F. Radogna, Z. Zanini-Dettaglio dell’impalcato (Archivio Sergio Musmeci, Collezione MAXXI Architettura)
«Technoscape. L’architettura dell’ingegneria»
1 ottobre 2022 – 10 aprile 2023
a cura di: Pippo Ciorra e Maristella Casciato
«inGenio. Idee visionarie dall’Archivio di Sergio Musmeci»
1 ottobre 2022 – 10 aprile 2023
a cura di: Tullia Iori
MAXXI, via Guido Reni 4a, Roma
www.maxxi.art
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Last modified: 30 Novembre 2022