Visita alla 15° edizione della storica rassegna d’arte contemporanea a Kassel: tra diseguaglianze, difficoltà, conflitti e contraddizioni del mondo
KASSEL (GERMANIA). Collettivizzare l’arte, occupare gli spazi: questa potrebbe essere in estrema sintesi la descrizione della quindicesima edizione di “Documenta”. La storica rassegna di punta dell’arte contemporanea nel secondo dopoguerra conferma la sua vocazione a laboratorio con cadenza quinquennale e affida a un collettivo indonesiano, Ruangrupa, la cura e realizzazione dell’intero evento. Lumbung è la parola chiave con la quale si designa, nel grande arcipelago del sud-est asiatico, il magazzino ove vengono accumulate le eccedenze del raccolto di riso, in modo che rimangano a disposizione della collettività.
L’approccio, molto letterario nonostante l’intento realista, ha portato i curatori a invitare artisti, ma faremmo meglio a dire collettivi, a rappresentare e documentare le diseguaglianze, le difficoltà, i conflitti e le contraddizioni del mondo. Si parte dal particolare, inteso geograficamente e come condizione di svantaggio ed ingiustizia subita, per costruire una mappa generale che rilegge il mondo integrando queste condizioni, fra loro diversissime, in un unicum che ha, nella sua proposta sovversiva di riequilibrio, il suo valore artistico e politico.
Immagine (davvero) coordinata
Il flashback è agli anni sessanta e settanta, quando il dibattito era incentrato su temi geopolitici e l’arte contemporanea era militante e di opposizione. La differenza con l’oggi, sulla quale ci vorremmo concentrare, è nei modi, nei tempi e nell’organizzazione spaziale. Se cinquant’anni fa prevaleva la spontaneità ed anzi il valore delle azioni improvvise e volte a sovvertire l’ordine costituito, non solo in campo artistico, oggi “Documenta” si presenta come una rassegna ordinata, ragionata, articolata e ben progettata, tanto da gettare un’ombra di dubbio sulla lotta al potere che si vuole mettere in scena. Partiamo dall’immagine coordinata.
Una rassegna così complessa, frammentata e diffusa viene rappresentata da un’immagine studiata e ben applicata (anche la birra è brandizzata “Documenta Fifteen”). Certo il lettering non è d’immediata comprensione, e il codice colore a volte confonde (sulle mappe la legenda usa lettere uguali nelle diverse zone individuate cromaticamente con toni acidi che ci mettono alla prova per essere distinti), ma bisogna riconoscere l’efficacia e anche la simpatia che questi segni fluttuanti ispirano. Anche in questo si nota la discrasia fra la cercata spontaneità e volontà di dare voce a tutti, e specialmente agli ultimi, e, dall’altra, la perfetta padronanza della comunicazione che rimanda a contesti culturali ben diversi, nonostante l’apparente libertà del linguaggio. Il quadro corporate delineato serve bene allo scopo di “tenere insieme” una rassegna che in buona parte è basata sul segno grafico, sulla scritta “spontanea”, sul graffito, sul murales che in tutte le location appare preponderante e di grande effetto.
Locations: tra delocalizzazioni e occupazioni (temporanee)
In continuità con le precedenti edizioni, “Documenta” parte dalla bella quanto vuota (vista la precipitosa eliminazione dell’opera qui collocata e poi considerata inaccettabile per i rimandi all’olocausto) piazza centrale sulla quale si affacciano Fridericianum, Ottoneum e Documenta Halle, per offrire zone più o meno inedite della città all’esplorazione del pubblico che, mappa alla mano, peregrina non senza qualche difficoltà (si consiglia un mezzo privato, per quanto poco sostenibile, anche se la rete pubblica è comunque efficiente e “compresa nel prezzo”). Alle belle location centrali, oltre alle citate Hauptbanhof, Hotel Hessenland, anche le aree a Fulda, Nordstadt e Bettenhausen.
Non crediamo che questa edizione riuscirà a lasciare in loco in modo permanente alcune opere, basata com’è sul concetto di occupazione, per definizione temporanea, dello spazio più che su quello di allestimento delle opere, ma in ogni caso sarebbe utile lo facesse, se non altro per continuità documentale.
In totale 32 le sedi individuate in 4 aree della città.
Gli allestimenti top
RuruHaus
. Centro e ombelico della mostra, offre anche un bel bookshop in un edificio anni cinquanta con allestimento a blocchi di laterizio.
Hübner Areal. Affascinante spazio industriale in un’area dismessa ancora più intrigante. Un “sopra e sotto” nei capannoni colmi di opere e video.
Sanderhaus. Attorno all’ostello e in un’area industriale dismessa un accampamento di tende, orti, proiezioni all’aperto molto friendly.
Karlsaue. Il bellissimo parco lungo la Fulda offre percorsi naturalistici e un paio di installazioni: “Gewächshaus”, accumulo di tronchi con sonoro in una serra, e “Kompsthaufen”, il luogo del compostaggio del parco replicato con l’immagine del suo doppio, meritano la passeggiata
Hallenbad Ost. Edificio razionalista “stile Bauhaus”, dismesso nel 2007 e a lungo rimasto vuoto, diventa scena, esterna e interna, di un fittissimo allestimento tutto scritto e disegnato.
WH22. Dal cortile e dall’orto urbano luminosi si passa ai sotterranei bui e anche un poco inquietanti. Da visitare, forse meglio di giorno.
Bootsverlhei Ahoi. Sulle rive del fiume piacevole noleggio barche colonizzato da “Documenta” con una food court all’aperto e l’invenzione di un ponte “ready made” che non scavalca il fiume, bensì un piccolo edificio.
Come notavamo prevale l’approccio di utilizzare gli spazi, “occupandoli” con attività di varia natura: si va dalla scuola al kindergarten, dalla ristorazione agli spazi d’incontro, dalle sale o tende di proiezione agli interrati profondi destinati alle attività notturne. Anche in questo caso sembra che si sia allestito con i materiali trovati o portati in loco, in una sorta di ready made che vuole apparire spontaneo e innocente, ma che in verità è molto studiato, e riuscito.
Anche gli spazi aperti, piccoli giardini e bellissimi orti, rispondono a questa logica. La sintassi utilizza contenitori, tubi, pannelli, sedie ma, soprattutto, e in questo non rifuggendo da un linguaggio, ci si permetta di notare, molto alla moda, fatto di listelli di legno che, collegati con fascette, squadrette, legacci, dà vita a composizioni architettoniche, coperture, ambienti e anche a un ponte, appunto. Da notare l’esercito di figure in cartone che popola il dehor dell’Hallenbad Ost.
In generale predomina un horror vacui che raramente lascia qualche superficie o spazio intatti: forse anche in questo caso da leggere come rivolta contro il white cube tanto caro all’arte contemporanea. A volte si va anche oltre misura, come nella chiesa di St. Kunigundis, ove un popolo di figure non rassicuranti occupa, anche in questo caso, lo spazio liturgico svuotato e il segno collettivo arriva a “commentare” l’iconografia sacra rimasta in loco.
Se la visita a Kassel in questa estate infuocata vale sicuramente il viaggio, e il caldo patito, vale parimenti portarsi a casa il dubbio, metodico e costruttivo beninteso, se e come questa via di rottura e di riscatto, intrapresa e mostrata nel cuore della Germania, possa avere, effettivamente, un futuro.
Immagine di copertina: © Alessandro Colombo
“Documenta quindici”
Kassel, dal 18 giugno al 25 settembre
Direzione artistica: ruangrupa
Team: Andrea Linnenkohl Ayşe Güleç Frederikke Hansen Gertrude Flentge Lara Khaldi
Membri: Britto Arts Trust (Bangladesh Standard Time) FAFSWAG (Aotearoa Time) Fondation Festival Sur Le Niger (Universal Time Coordinated) Gudskul (Waktu Indonesia Barat) INLAND (Central European Time) Instituto de Artivismo Hannah Arendt (Cuba Standard Time) Jatiwangi art Factory (Waktu Indonesia Barat) Más Arte Más Acción (Colombia Time) OFF-Biennale Budapest (Central European Time) Project Art Works (Western European Time) The Question of Funding (Eastern European Time) Trampoline House (Central European Time) Wajukuu Art Project (East African Time) ZK/U – Zentrum für Kunst und Urbanistik (Central European Time)
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allestimenti , arte contemporanea , germania , mostre , spazio pubblico
Last modified: 6 Settembre 2022