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Laura Villa BaroncelliWritten by: Reviews

Biennale di Versailles: terra e città

Biennale di Versailles: terra e città

Visita alla seconda edizione della Biennale di architettura e paesaggio, tra presa di coscienza ecologica e reinvenzione dell’habitat

 

VERSAILLES (FRANCIA). Come far emergere nuove architetture a partire da materiali ed energie disponibili localmente? Come reinventare il nostro habitat di fronte all’urgenza climatica e all’esaurimento delle risorse? Invertire le priorità nel tessuto della città con uno sguardo al vernacolare e al green-tech, questo il tema, se non originale comunque sempre attuale, della seconda edizione della Biennale di architettura e paesaggio di Versailles, dal titolo “Terre et villes”. In un’atmosfera tra dramma e speranza, le nove mostre principali sono visitabili, in accesso gratuito, fino al 13 luglio.

 

Terra in vista

Suolo

, superficie emersa della crosta terrestre e il materiale stesso che la costituisce, ma anche territorio, regione, pianeta. Che sia nuda, vacante, fertile, edificabile, lontana o polverosa, è sempre la terra, strato e substrato, nei suoi multipli significati e nei suoi diversi usi, la grande protagonista di questa Biennale.

La troviamo nell’edificio dell’ex Posta al centro della mostra “Élément terre” dove, reclamando la necessità di una maggiore sensibilizzazione sia del pubblico che nelle pratiche costruttive in materia di uso razionale delle risorse, parte dell’allestimento è stato realizzato con materiali di recupero provenienti da diversi cantieri di demolizione dalla società Cycle Terre, vincitrice nel 2017 del bando per un progetto europeo “Urban Innovative Action” nella categoria economia circolare e in mostra nel padiglione stesso.

Troviamo la Terra lungo l’Avenue de Paris dove 36 lastre di marmo, ognuna mélange unico di ossidi metallici e minerali multicolore, sono esposte come vere e proprie opere naturali.

La troviamo ancora sul piazzale di fronte al Castello con il padiglione della Métropole du Grand Paris, un muro a secco circolare e autoportante di 14 m di diametro e 2,3 m di altezza realizzato con pietre recuperate dal deposito di materiali della Città di Parigi e incastrate in modo da simulare l’azione del tempo, quando i materiali si sgretolano lasciando spazio a crepe e fessure, nelle quali la vita piano piano e autonomamente s’installa.

Secondo Frédéric Chartier, curatore del padiglione e fondatore dello studio di architettura ChartierDalix, che ha concepito e brevettato la struttura, il padiglione è un invito a pensare la metropoli di domani incoraggiando una biodiversità locale che offra la possibilità di una sostenibilità sistemica. La metropoli di domani ci dirà anche come si svilupperà la vita all’interno del muro e come questa si tradurrà visivamente al suo esterno, perché consentire alle piante di crescere spontaneamente, se da un lato riproduce un processo naturale, dall’altro implica il consegnare un progetto non finito ed è in un certo senso un passo verso l’ignoto. Niente di spaventoso, ma solo qualcosa di forse poco esplorato in architettura. Secondo l’architetto Nicolas Bonnenfant dello Studio Coloco, nell’osservazione di uno spazio in divenire partendo da “uno stato di natura zero” viene sperimenta “la meraviglia della vita che si reinstalla”. Condividere parte di questa meraviglia attraverso l’analisi dettagliata di dieci progetti realizzati dallo Studio Coloco e da Gilles Clément, è l’idea dietro la mostra “La presènce du vivant”, l’unica a pagamento (4 euro) e per alcuni anche l’unica che valga la visita, curata dagli stessi Clément e Bonnenfant.

L’azione, la trasformazione e l’esposizione di materiali e risorse naturali, come pietra, terriccio, legno, acqua, sole, vento, come fossero vere e proprie opere, è ricorrente in tutta la Biennale. Nel padiglione “Visible, Invisible”, in totale una sessantina di opere e una quarantina di architetti, ognuno a testimoniare il proprio modo di rispondere all’emergenza climatica, lo spazio “Monumenta” mette in mostra canapa raccolta a Seine-et-Marne, gesso estratto da una cava nello stesso dipartimento o, ancora, terra dai cantieri del Grand Paris.

Poco lontano nel padiglione “Terre! Land in sight!”, dedicato ai vincitori del Global Award for Sustainable Architecture, la messicana Rozana Montiel trasforma reti da pesca dismesse in un nuovo materiale da costruzione, un pavimento, mentre il thailandese Boonserm Premthada, costruisce un teatro in mattoni di sterco di elefante. Cosa rende lo sterco di elefante una così grande risorsa in architettura? Secondo Premthada, gli elefanti consumano 200-300 kg di cibo al giorno e l’iniziativa servirebbe per creare posti di lavoro nella zona di Ban Ta Klang, una regione nota per i suoi pachidermi addomesticati.

 

Territori in trasformazione, in prospettiva (post)olimpica

E poi, tra trasformazione e rigenerazione, c’è la terra come spazio in transizione.

In un hangar, su un terreno incolto, sito di un’ex caserma che tra quattro anni dovrebbe ospitare una nuova area residenziale realizzata dalla società immobiliare Icade, il paesaggista Michel Desvigne invita a scoprire la realtà di terre vacanti, zone abbandonate in via di riconversione, attraverso la celebrazione di diversi progetti del suo studio.

Quel futuro della città che, come scriveva Michael Batty nel 2018, non poteva essere predetto ma solo immaginato, dipenderà non solo dalle idee, ma anche da quali attori gestiranno i meccanismi e i processi che dovrebbero realizzarle. Così i cantieri, spazi in costruzione, dove la terra è necessariamente già in divenire, diventano anche spazio di riflessione. Così, District 2024″, l’ambizioso progetto di quartiere “reversibile” che i Giochi olimpici del 2024 dovrebbero lasciare in eredità alla Municipalità di Seine-Saint-Denis, che dal 26 luglio all’11 agosto 2024 ospiterà 14.000 atleti, diventa panoramica sulla riflessione urbana a lungo termine.

Quanto reversibile sarà il quartiere reversibile? Secondo le specifiche della società Solideo, incaricata dei lavori, e Perrault Architecture, studio che ha lanciato la costruzione del sito nel 2020 e curatore del padiglione, nell’anno post olimpico i nuovi fabbricati verranno convertiti in 2.400 appartamenti e 120.000 mq di uffici e negozi. Definita una scelta audace di un sito “senza qualità” di 51 ettari, è da notare che al cuore del nuovo distretto degli atleti si trova anche la Cité du cinema, a sua volta riconversione dei 4.500 mq della vecchia centrale elettrica EDF. Originariamente finanziata dal regista e produttore francese Luc Besson e inaugurata nel 2012, doveva ospitare gli studi più moderni e grandi d’Europa, che avrebbero dovuto attrarre produttori da tutto il mondo. Per via di difetti tecnici e oneri colossali, oggi la Cité du Cinema dev’essere reimmaginata, e i Giochi rappresentano una buona occasione.

Dominique Perrault è anche curatore del padiglione “Grand Paris Express” all’interno dell’Espace Richaud. Altro immenso cantiere, quello della futura metropolitana intorno a Parigi che, a chiudere il cerchio, dovrebbe servire anche il nuovo quartiere olimpico.

 

Atteggiamenti

Conservazione della biodiversità, progettazione di strutture utilizzando materiali di origine biologica, riciclo, inverdimento urbano.

La giustificazione per proporre una tematica contemporanea, ma non nuova, sembra essere un’urgenza che non lascia più tempo al dibattito, alle voci contrastanti, alle domande e agli interrogativi. É tempo di agire e così la seconda Biennale di Versailles sceglie di promuovere il lavoro di professionisti, concentrandosi su esempi positivi d’ispirazione per progettare territori più resilienti. Peccato che spesso questi lavori siano autoreferenziali con i curatori come protagonisti, spesso unici, dei padiglioni stessi.

Esclusa l’aspirazione critica, rimane comunque la vocazione pedagogica: informare e sensibilizzare il grande pubblico sui grandi progetti in corso e le sfide che stanno dietro ai grandi cantieri di una città in trasformazione. La presa di coscienza ecologica è, secondo i curatori, un primo passo per poter immaginare nuove maniere di abitare il territorio. In fondo, se oggi si parla di suolo vivente è perché le attività umane sembrano aver contribuito alla sua parziale sterilizzazione, attraverso attività di costruzione, erosione, salinizzazione o inquinamento. Per questo negli ultimi anni la Francia ha dato vita a una serie di progetti per la salvaguardia e il reinverdimento urbano. En passant, ci si potrebbe chiedere fino a dove possono legittimamente spingersi il reinverdimento o la rigenerazione. Alcuni progetti presentati, come quello di Vaires-sur-Marnes, dove si prevede la costruzione di un fiume artificiale con relative rapide per poter ospitare le olimpiadi di canottaggio e canoa-kayak nel 2024, non hanno convinto tutti, specialmente non la comunità locale.

E poi c’è la questione delle risorse. La maggior parte dei suoli naturali non sono rinnovabili a scala umana. Anche se siamo capaci di costruire quelli che si possono definire tecnosuoli a partire da resti minerali e compost, bisogna tenere presente che sulla terra si forma non più di qualche centimetro di suolo stabile ogni migliaio di anni. Anche se il riuso è una tematica importante della Biennale, la questione della limitatezza delle risorse sembra essere trattata sempre e solo da un punto di vista costruttivo. La triennale di Architettura di Oslo sembrava più coraggiosa quando, qualche anno fa, propose una riflessione sulla possibilità di costruire meno. Versailles non sembra neppure accennarne. Forse nella prossima edizione.

Immagine di copertina: © Laura Villa Baroncelli

 

Autore

  • Laura Villa Baroncelli

    Dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Torino si trasferisce a Parigi dove si laurea in Sociologia e inizia la sua carriera come fotografo. Nel 2015 intervista Yona Friedman e inizia ad appassionarsi di studi urbani. Lo stesso anno si trasferisce ad Arcosanti dove collabora con gli archivi Soleri e la Fondazione Cosanti fino al 2019. Il suo lavoro appare in numerose riviste tra cui il T del New York Times Magazine, M di Le Monde, D di Repubblica, IL Sole 24 ore, AD Italia, Forbes, Vogue. Attualmente vive e lavora a New York City.

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Last modified: 25 Maggio 2022