Riceviamo e pubblichiamo una riflessione sulle problematiche di riuso delle sale: il caso del cinema Astra a Verona
Il convegno del 7 aprile “Il Cinema Astra. A Verona: scavi e progetti” suggerisce tre aspetti interessanti e comuni per molte città italiane: il riuso delle sale cinematografiche, i ritrovamenti archeologici e l’architettura.
Sono 2.000 i cinema chiusi in Italia, le cause sono molteplici e immaginare che il pubblico torni a riempire le sale è una chimera. Sono dei contenitori, sparsi nelle nostre città, che attendono di rinascere, una volta ricchi templi dedicati alla celebrazione collettiva della settima arte, oggi sono dei “Fantasmi urbani”, dei quali molti sono opere d’architettura non riconosciute, ma se visti in un ambito di rigenerazione urbana e di restauro del moderno hanno la possibilità di rinascere. Questo sarebbe in sintonia con lo slogan della Mostra del cinema di Venezia 2021: “Il cinema è di tutti”. E non solo, quanti eventi culturali potrebbero essere fruiti contemporaneamente in streaming?
Necessitano leggi con tempi brevi che favoriscano il restauro architettonico caso per caso, con nuove idee per progetti puntuali e condivisi, che ridistribuiscano nei quartieri i piccoli cinema, ora accentrati nelle multisale, e attività culturali e commerciali che consentano l’autonomia economica. I cinema, generalmente, nei PRG sono edifici speciali, protetti, dove è stabilita a priori la percentuale di superficie diversamente utilizzabile. L’involucro edilizio ha limiti notevoli: interclusione, mancanza di rapporti aero illuminanti, parcheggi, che non consentono una varietà di destinazioni rispetto ai regolamenti edilizi attuali. È bene porsi il problema di come riprogettare architettonicamente il “vuoto sala” coerentemente con il preesistente; sicuramente è più facile demolire tutto e realizzare una multisala dove si ha la sensazione di entrare in un disegno di Escher.
La facciata resta l’elemento di transizione tra passato e presente. Per il cinema Astra a Verona, privo di particolari valori architettonici, l’architetto Paolo Richelli, definendolo sagacemente “razionalista in salsa scaligera, né bello né brutto ma fortemente testimoniale”, ha previsto il restauro filologico. Il progetto del 2005 configurava una multisala ma poi, complici anche i ritrovamenti archeologici, nel 2015 è variato a uso commerciale su tre livelli più una piccola sala proiezioni/eventi. La concessione edilizia è arrivata nel 2022. Tutto il livello archeologico, integrato nel progetto [nell’immagine di copertina], di concerto con la Soprintendenza, avrà un possibile inserimento commerciale. Questo superamento della vocazione museografica-contemplativa è un sistema già sperimentato di riuso e conservazione del ritrovato archeologico e, al contempo, un contributo al privato per gli iniziali e onerosi costi di scavo. Sette anni per una concessione edilizia sono troppi per un investimento.
È difficile realizzare progetti di qualità per il riuso dei cinema. L’architettura non dovrebbe avere costrizioni burocratiche, pur nel rispetto dei vincoli e dialogando con le caratteristiche architettoniche dell’edificio e con i ritrovamenti archeologici che sono una realtà. È un’ipotesi visionaria ma in un cinema di grandi dimensioni, circa 2.500 posti, come il romano Maestoso di Riccardo Morandi, non sarebbe appropriato immaginare una “nuvola” polifunzionale nel suo vuoto anziché dividerlo banalmente e irreversibilmente in una multisala? Qual è l’alternativa a tutto questo? Non fare nulla, come per il teatro El Ateneo Grand Splendid di Buenos Aires, rimasto intatto e trasformato nella libreria più spettacolare dell’Argentina, o come lo storico cinema Max Linder Panorama di Parigi, dove si vedono i film seduti su poltrone e divani IKEA.
About Author
Tag
archeologia , cinema , lettere al Giornale , restauro del moderno , verona
Last modified: 10 Maggio 2022