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Luca GibelloWritten by: Interviste

Margherita Guccione: così evolve il MAXXI, dal cemento al verde

Margherita Guccione: così evolve il MAXXI, dal cemento al verde

La coordinatrice del progetto «Grande MAXXI» traccia un bilancio dei primi 10 anni e presenta il nuovo masterplan, incentrato su un concorso d’idee

 

ROMA. È, per rilevanza economica (15 milioni), il secondo dei 38 interventi di recupero, restauro, trasformazione o ampliamento (cui si aggiungono 3 nuove acquisizioni), previsti dal Piano strategico “Grandi Progetti Beni Culturali” da 200 milioni presentato dal Ministero della Cultura a inizio febbraio. Si tratta del progetto «Grande MAXXI», che amplia l’offerta di servizi e spazi collettivi del Museo nazionale delle arti del XXI secolo a poco più di 10 anni dal suo varo. La parte più consistente del masterplan, presentato il 10 febbraio, riguarda il bando del concorso internazionale di idee (scadenza di consegna degli elaborati, 13 maggio; proclamazione attesa entro il 12 luglio) per un nuovo edificio multifunzionale – a margine dell’area attuale – e per il sistema di verde pubblico attrezzato che integrerà gli spazi aperti, ormai diventati parte integrante e qualificante del quartiere Flaminio. Margherita Guccione, responsabile scientifica e coordinatrice del progetto «Grande MAXXI», ci racconta l’iniziativa e spiega la metamorfosi verso il fatale green, pur nel rispetto della pregnanza iconica dell’edificio (assai energivoro) di Zaha Hadid Architects, tracciando inoltre un bilancio complessivo dell’operazione culturale. 

 

Un concorso è sempre una buona notizia, tuttavia da più parti si sono levate voci circa l’opportunità di completare il progetto vincitore del concorso del 1997 firmato Zaha Hadid Architects.

Ci abbiamo riflettuto. Ma c’è da dire che la piazza del MAXXI, che è uno dei componenti di maggior successo dell’opera, ed è uno spazio pubblico a tutti gli effetti, era stata poi prevista da Hadid, al posto dell’edificio centrale presente nel progetto di concorso. Realizzarlo ora significherebbe privarci della fruizione dello spazio aperto. La parte che abbiamo messo a concorso riguarda un edificio di servizio, che insisterà su un’area estranea a quella assegnata nel concorso del 1997, la quale sarà occupata da una fascia di verde urbano attrezzato. L’idea è dunque quella di aggiungere, e non sottrarre, valore spaziale al MAXXI: un verde che diventa galleria a cielo aperto del museo, un luogo per organizzare orti produttivi e didattici, lavorando con la materia vegetale. Così, a distanza di vent’anni dal progetto originario, non potevamo puntare a un nostalgico completamento, bensì abbiamo pensato a una richiesta totalmente compatibile e consapevole della forza dell’edificio di Hadid. Nel suoi confronti, l’edificio di servizio non dovrà avere pretese “sfidanti”, ma limitarsi ad accogliere funzioni innovative (di ricerca, di formazione e di ampliamento dei depositi, che verranno aperti al pubblico secondo inedite modalità di fruizione), necessarie per far transitare il museo verso una dimensione di continua evoluzione. Nel documento d’indirizzo alla progettazione diamo l’indicazione di un tetto giardino, contiguo al verde attrezzato, a beneficio anche del quartiere.

 

C’è sempre un po’ di timore di fronte alla formula del concorso d’idee, per quanto concerne la certezza della realizzazione e dei tempi…

Avremmo certo preferito un concorso di progettazione in due fasi. Tuttavia, non avendo ancora completato l’iter di attribuzione del finanziamento, e dovendo concludere l’iter realizzativo nel metodo e nei tempi del PNRR, ovvero il 2026, era importante attivarsi da subito. Come dice il bando, comunque, la Fondazione MAXXI s’impegna ad affidare al vincitore la fase successiva della progettazione, auspicando che nel 2023 partano i lavori.

 

Tracciando un bilancio a dieci anni dall’inaugurazione del MAXXI, al di là dei riconosciuti successi, quali sono le maggiori criticità o lacune emerse?

Come sappiamo, il MAXXI ha visto la luce in un periodo in cui le tematiche della compatibilità ambientale non erano ancora una priorità progettuale. Il MAXXI è, ancora oggi, un edificio fortemente energivoro. Il problema dei consumi è stato enorme, con un rilevante impatto economico sulla gestione, tanto che, ad esempio, nel tempo abbiamo elaborato progetti sulla riconversione a led di tutto l’apparato illuminotecnico. Un altro esempio ha riguardato il ripristino del trattamento protettivo della superficie cementizia di tutti i prospetti esterni, aggrediti dallo smog: un’operazione costosa, condotta con rigore scientifico, che ha coinvolto i tecnici del MiC e dell’Istituto centrale del restauro.

 

L’intervento prevede infatti la riconversione energetica dell’edificio di Hadid. Perderà la sua pregnanza di icona?

Assolutamente no. Ben consci del suo valore, puntiamo a una riqualificazione energetica radicale che è anche una sperimentazione sulla compatibilità tra una progettazione tecnologica spinta ed edifici di particolare pregio architettonico. L’operazione di efficientamento ha il rigidissimo paletto di non modificare l’aspetto architettonico dell’edificio. Stiamo lavorando con pellicole fotovoltaiche, con rivestimenti invisibili dei cordoli in cemento alleggerito che sorreggono i lucernari in copertura, nella consapevolezza di avere inferiori rendimenti energetici ma di rispettare ogni dettaglio architettonico originale.

 

Che cosa avete invece “scoperto”, vivendo l’edificio?

Il MAXXI dimostra di reggere la sfida del tempo nella sua immagine urbana e come concezione di spazi museali. Sotto questo aspetto eravamo più preoccupati all’inizio, vista la sua complessità spaziale; poi abbiamo imparato a conoscerlo e ad usarlo, scoprendo che tutti i suoi spazi – anche quelli di connessione – si fanno facilmente “colonizzare”. L’edificio presenta una grande duttilità. Abbiamo poi capito che bisogna continuamente ri-attestare il proprio profilo identitario. Oggi il MAXXI è un museo molto diverso da quello che avevamo immaginato prima dell’apertura, così come da quello che avevamo cominciato a sperimentare. Si tratta di una condizione dinamica che non corrisponde a un processo lineare di crescita, ma ci espone a continue prove, per essere al passo con i tempi. Gli stimoli sono forse fin troppi. Si pensi, ad esempio, alla sfida posta dalla sede di Palazzo Ardinghelli all’Aquila: un contesto storico di fronte all’imperativo della ricostruzione post sisma.

 

Avete capito qual è il pubblico del MAXXI?

Presentiamo un’offerta culturale multipla, che tiene insieme lo specialismo dell’architettura del Novecento con operazioni culturali più pop ma sempre di alto livello scientifico, oltre al riallestimento annuale delle collezioni permanenti. Per questo occorre parlare di pubblico al plurale, in quanto i fruitori sono molto diversi. Inoltre, abbiamo constatato che, con la pandemia, abbiamo conquistato il pubblico romano: i numeri, in tal senso, sono assai cresciuti, anche grazie alle attività del Dipartimento educazione e dei Public program che, sostanzialmente rivolte alla città, hanno stabilito un legame forte con il territorio.

 

Immagine di copertina: © MusacchioIanniello

Chi è Margherita Guccione

Architetta, è attualmente responsabile scientifica e coordinatrice del progetto «Grande MAXXI». Ha diretto il Museo nazionale di architettura (MAXXI Architettura) ed è stata Direttore generale per la creatività contemporanea del Ministero della Cultura. In seno al MiC, dal 1985 ha svolto un’intensa attività istituzionale e di ricerca sul patrimonio culturale italiano, occupandosi di tutela, restauro e conservazione e di nuova progettualità contemporanea. Ha seguito la realizzazione della sede MAXXI, elaborando contestualmente il progetto culturale del nascente Museo di architettura e ha dato avvio alle relative collezioni, anche grazie all’attività svolta per la conoscenza delle opere e degli archivi di architettura, dal Novecento a oggi. Per il Museo, dalla sua apertura, ha curato la programmazione espositiva e i programmi di ricerca legati all’architettura, alla fotografia, alle arti visive e più in generale alla creatività contemporanea, realizzando mostre e progetti in collaborazione con le maggiori istituzioni nazionali e internazionali. È autrice di numerosi scritti e saggi sull’architettura del Novecento e sui suoi protagonisti, tra i quali Adalberto Libera, Luigi Moretti, Enrico Del Debbio, Carlo Scarpa, Aldo Rossi, Pierluigi Nervi, Giancarlo De Carlo. Tra gli studi monografici si ricordano i volumi dedicati a Zaha Hadid. Ambito privilegiato della sua ricerca è il rapporto tra contemporaneità e conservazione. 

Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 2 Marzo 2022