Prima parte di una riflessione sull’importanza dei dettagli in architettura e design: da Leonardo a Maria Montessori, da Le Corbusier ad Albini e Scarpa
Parlando di dettagli e architettura il rischio di perdersi è alto. Quando i dettagli sono degni di nota, seguono un paradosso per cui non si dovrebbero notare subito, acquisendo un senso solo nell’insieme. L’architettura e il design come processo di progettazione delle parti per il tutto, sono tra i migliori campi di studio e di applicazione del valore dei “dettagli”, che siano un momento straordinario nel fluire dell’ordinario, oppure un particolare che dà senso all’universale, o ancora un’eccezione che conferma la regola. L’architettura e il design sono il luogo in cui tecnica ed estetica s’incontrano.
Per alcuni i dettagli sono solo tecnici, mentre per altri sono solo estetici. Il dettaglio solo tecnico è ingegneria, mentre il dettaglio solo estetico è decorazione. Il vero dettaglio in architettura e design è sia tecnico che estetico, contemporaneamente. Le citazioni, autoriali, anonime o attribuite, si moltiplicano quando si parla di dettagli. Per alcuni “Dio è nei dettagli”, per altri invece all’opposto “il diavolo sta nei dettagli”. Facendo una riflessione tra surrealismo e contraddizione, riportiamo anche un’altra citazione popolare (spesso riportata anche da Charles Eames) che ricorda che “il dettaglio non è un dettaglio”.
Si dice che per Leonardo da Vinci “i dettagli fanno la perfezione e la perfezione non è un dettaglio”, invece per Maria Montessori “insegnare dettagli significa portare confusione, mentre stabilire i rapporti tra le cose significa dare conoscenza”, ma aggiungiamo, contro una certa idea di perfezionismo fine a se stesso, che i punti di contatto tra le cose sono proprio i dettagli degni di nota. Dire che una cosa non è importante perché è un dettaglio dimostra la non comprensione della relazione tra loro e quindi non può far comprendere l’insieme. Il dettaglio è come un’epifania, una metaforica piccola chiave per aprire una grande porta. Spesso se non ci si accorge di alcuni dettagli, la cosa, lo spazio, non si accende. Il dettaglio, quindi, come una piccola scintilla.
Nel processo di progettazione, sviluppo e produzione, anche le idee sono come piccolissimi dettagli che fanno una grande differenza tra un lavoro originale o banale. Nell’architettura e nel design numerosi sono gli esempi magistrali in cui proprio l’ordine dell’insieme è strutturato come una rete di relazioni tra piccolissimi dettagli.
Tra i grandi maestri internazionali dell’architettura moderna, citiamo solo alcuni episodi che strutturano questa breve riflessione sull’importanza dei dettagli. Lasciamo alle storie dell’architettura il mito di Ludwig Mies van der Rohe, per cui “il meno era il più” e quindi i dettagli erano proprio il tutto, mentre citiamo alcuni esempi di altri due grandissimi autori assoluti.
Tra l’altro in quegli anni, di fine venti e inizio trenta, si compivano due capolavori che sui dettagli (come risultato di una ricerca d’avanguardia) hanno fatto la loro meritata fortuna, anche se non sono così celebri come meriterebbero: la Maison au bord de mer di Eileen Gray (Roquebrune Cap Martin, 1926-29) e la Maison de verre di Pierre Chareau (Parigi, 1928-32).
Le Corbusier, che ha frequentato questi due capolavori e per il quale “l’unità del dettaglio e l’ossessione dell’insieme” erano ben chiari nella sua missione di rivoluzionare l’architettura, in numerosi progetti ci regala dettagli, ma vogliamo qui citarne alcuni che lui stesso abitava nella propria casa nell’Immeuble Molitor di Parigi (1931-34). Parlando della sola camera da letto, ancora oggi emanano straordinaria attrazione il misterioso bidet isolato quasi al centro dello spazio, il letto stranamente sopraelevato per superare con la vista l’altezza della balaustra del balcone esterno, la porta d’ingresso che sparisce integrata a una grande armadiatura mobile e un’altra piccola porta gialla che appare e custodisce un segreto di servizio.
Anche di Alvar Aalto vogliamo citare il lavoro per una camera da letto tipo, progettata per il suo primo capolavoro che è il Sanatorio di Paimio (1929-33). In questa camera di degenza per due persone la sua attenzione non scontata si concentra su alcuni punti che ancora oggi sono esemplari ed emblematici. Dalla maniglia della porta fatta per poter essere aperta dagli operatori sanitari anche con le mani occupate, ai lavandini presenti nella stanza, le cui sezioni verticali sono state disegnate per non creare fastidiosi rumori di disturbo per l’altro paziente, fino alla grande attenzione per il trattamento cromatico e luminoso delle superfici del soffitto, dopo aver capito che per i degenti, costretti a letto in orizzontale, questa era la superficie primaria di relazione.
Aprendo una piccola parentesi su Aalto è significativo citare un aneddoto, un dettaglio, riportato da Ignazio Gardella il quale, proprio in visita al maestro finlandese, ha capito l’importanza di un certo modo di fare architettura. Gardella riporta la sua esperienza davanti ad una scala di Aalto in cui i due mancorrenti, a destra e a sinistra, erano diversi, e alla sua domanda circa il motivo della loro diversità, il grande Aalto risponde semplicemente che salendo si ha bisogno di un certo tipo di mancorrente che è diverso da quello necessario per scendere.
Tra i maestri contemporanei (solo per citarne alcuni) ci perderemmo riportando brani di architettura come dettaglio degli svizzeri Herzog & De Meuron, Peter Zumthor e Valerio Olgiati, dei portoghesi Alvaro Siza e Manuel e Francisco Aires Mateus, degli spagnoli Enric Miralles e Antòn Garcia Abrìl, dei belgi Jan De Vylder e Kersten Geers, oltre al nutrito gruppo della scuola giapponese tra Terunobu Fujimori, Kazujo Sejima, Ryue Nishizawa, Sou Fujimoto e Junia Ishigami. Per ognuno di loro varrebbe la pena dedicare un focus alla ricerca dei significati del vari dettagli elaborati come chiavi di lettura di un lavoro magistrale.
Venendo alla cultura del progetto nel nostro Paese, condotta da autori assoluti come Gio Ponti (tra le mille idee, si veda il significato dei suoi “obelischi”, dettagli che spesso ritornano sulle sommità delle sue architetture, neoclassiche e moderne), Carlo Scarpa, Franco Albini, Carlo Mollino, fino ai BBPR.
Di Ponti e Scarpa possiamo permetterci di non parlare perché basta sfogliare un progetto qualsiasi per rimanere impigliati in innumerevoli dettagli, tutti significativi, ma di Albini vogliamo citare i piedini della poltroncina Luisa, di Mollino i tanti riferimenti plastici al surrealismo nei suoi interni degli anni quaranta, e dei BBPR il Monumento ai caduti nei campi di sterminio nazisti del 1946 a Milano, dove l’impaginato grafico di alcune parole, quasi tutte sulle facciate esterne del monumento, acquisiscono senso di profondità alla lettura dello spazio, e quindi del significato dell’opera, nel momento in cui se ne trova una da leggere all’interno della struttura.
Immagine di copertina: Le Corbusier, stanza da letto dell’Apartment Molitor, Paris, 1931-34. In questo interno nell’interno nell’interno (la sua camera da letto, nella sua abitazione, nel suo studio) LC progetta situazioni straordinarie. In primo piano il bidet fuori dalla piccola sala da bagno (dietro l’armadio si nota anche un volume cilindrico con piano rialzato che è la doccia); il letto è eccezionalmente alto per offrire la vista sul paesaggio oltre l’altezza della balaustra fuori dalla finestra; la piccola anta gialla a sinistra del letto è una porta ideale dietro la quale si cela uno specchio.
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interni , le corbusier , Mies van der Rohe , movimento moderno
Last modified: 3 Dicembre 2021