Riceviamo e pubblichiamo un commento al nostro articolo: dal punto di vista normativo e culturale l’Italia è lontana rispetto ai paesi anglosassoni
Da più parti, e anche qui sul Giornale dell’Architettura.com, s’introduce il tema delle case funerarie e/o delle strutture (o, sale) del commiato. Si tratta d’istituti con denominazioni non sempre uniformi che il Testo unico delle leggi sanitarie non considera e che nemmeno contempla il Regolamento (nazionale) di polizia mortuaria: le “speciali onoranze” presenti nel testo (articolo 24, comma 3) sono funzioni, non luoghi.
Di case funerarie si parla e si costruisce sulla base di altre tradizioni, d’impronta anglosassone, contesto in cui le funeral homes sono da tempo presenti e ormai consuete. Tuttavia, l’importazione di questi modelli non ha considerato il diverso approccio culturale dell’operatività delle funeral homes, contesti in cui il corpo dei defunti è oggettualizzato e considerato largamente “trattabile”, fatte salve le esigenze della giustizia.
Al contrario, nei paesi di matrice latina i corpi dei defunti (o, altrimenti, le loro spoglie mortali) sono indisponibili e da trattare adeguatamente con estrema cautela, come deposito/tempio/sostrato di valori e significati. Non a caso il Codice penale italiano parla di “Delitti contro la pietà dei defunti” (Lib. II, Tit. IV, Capo II). Ad essere tutelati non sono gli “oggetti” o le “attività” (sepolcro, tomba, funerale, cadavere inteso anche nelle sue parti e ceneri), quanto piuttosto la pietas, cioè il valore che al defunto è attribuito sotto il profilo antropologico, sociologico, culturale, affettivo.
Non si tratta, cioè, di una mera tutela del corpo-oggetto, del sepolcro o del servizio, ma del significato che questi elementi rappresentano per la società, per la comunità.
Case funerarie e case del commiato nella legge italiana
Sotto il profilo normativo, un primo cenno alle case funerarie e alle sale del commiato, si ha con la legge 30 marzo 2001, n. 130 (Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri), che prevede la “predisposizione di sale attigue ai crematori per consentire il rispetto dei riti di commemorazione del defunto e un dignitoso commiato”. Si dovrebbe dire “prevederebbe”, in quanto si tratta di modifiche regolamentari poi non attuate.
L’articolo citato è però importante perché evidenzia come il legislatore non abbia affrontato la pratica funeraria della cremazione e dei suoi impianti in un’ottica unicamente tecnica o tecnologica, ma abbia considerato come, presso l’impianto di cremazione, si attui il “distacco” tra gli affetti e il corpo del defunto, e dunque debbano essere adeguatamente rispettati i riti di commemorazione e il commiato, che si richiede avvengano con dignità. Ecco emergere di nuovo quell’orizzonte di “valori” al quale sono connesse le norme penali a tutela della pietas.
Case funerarie e sale del commiato: il primo riconoscimento
Alla non attuazione delle modifiche regolamentari, è seguita la modifica alla Costituzione (Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) ed è “passata” la linea per cui la fonte regolamentare da modificare sarebbe divenuta di competenza delle regioni.
Non si entra nel merito, né di questa interpretazione, né del groviglio normativo che si è creato. Sta di fatto che lentamente le regioni (e qualcuna manca ancora all’appello) si sono avviate a legiferare in materia funeraria e cimiteriale, spesso “sconfinando” in competenze proprie della potestà legislativa statale (ad esempio la regolazione di attività economiche in termini di mercato e concorrenza, oppure in materia propria del cosiddetto ordinamento civile). Ebbene, proprio mediante queste leggi, tutt’altro che uniformi nel Paese, si sono accolte le spinte per l’introduzione delle case funerarie e delle strutture, o sale, del commiato. Tra l’altro, la distinzione tra le rispettive funzioni è maturata solo progressivamente, fino alla situazione attuale, ove si riconoscono come case funerarie i luoghi che assolvono a funzioni riconducibili all’ambito igienico-sanitario (come l’osservazione dei cadaveri, l’effettuazione di trattamenti sui corpi) oltre che alla ritualità del commiato, e strutture o sale del commiato destinate unicamente a questo secondo scopo. Senza che vi siano state particolari resistenze, queste strutture sono state l’occasione di una “ri-allocazione” di funzioni che precedentemente avevano sede in altri luoghi (servizi mortuari, abitazione, ecc.).
In alcune regioni, l’introduzione (o se si vuole, la legittimazione all’introduzione) delle case funerarie e delle sale del commiato ha visto dichiarate le proprie “fonti” (leggi regionali, regolamenti, atti amministrativi dettanti requisiti tecnici specifici), in altre regioni questi processi sono ancora in itinere, oppure del tutto assenti. Ne consegue che ogni approfondimento sulle caratteristiche normative e i requisiti tecnici di questi spazi non possa prescindere dalla normativa regionale d’insediamento.
Il primo richiamo giurisprudenziale della percezione sociale
Abbandonando l’orizzonte normativo, la percezione sociale delle case funerarie e delle sale del commiato ha già un richiamo giurisprudenziale: nella sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VI, 15 giugno 2021, n. 4645 si legge, tra l’altro, che la persona ricorrente reputava che “la realizzazione d’una tal struttura, oltre che lesiva dei di lei interessi, imprimesse alla piccola e centrale via -OMISSIS – ed al quartiere un’impronta di mestizia…”. Se per “lesione degli interessi” s’intende riduzione dei valori di mercato della zona, parlare di “mestizia” sembra esprimere una concezione di repulsione dalla morte, come fatto di cui non si debba parlare e che debba in ogni caso essere celata, sottratta al vissuto della comunità.
Immagine di copertina: crematorio e sala del commiato a Ravenna (Bruno Minardi con Ettore Brunetti, 2008-10)
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commiato , lettere al Giornale , normativa
Last modified: 8 Novembre 2021