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Luigi BartolomeiWritten by: Città e Territorio Forum

Case funerarie, crematori e colombari: l’Italia è una valle di lacrime

Nel nostro paese la morte è un tabù, e il morire resta patrimonio delle imprese funebri. Così gli spazi del commiato restano senza progetto

 

Se l’American way of death (Jessica Mitford, 1963) è ancora lo specchio in cui è possibile anticipare i cambiamenti che prima o poi giungono nei nostri confini, l’articolo di Ubaldo Spina circa il nuovo libro di Kate Wight chiama considerazioni sul paesaggio italiano.

Il fenomeno pandemico ha portato ad una maggiore esibizione della morte, senza mutarne le modalità di esposizione. Essa resta un tema televisivo solo quando spettacolare e per il resto taciuto, tabù di tutte le componenti sociali: da quelle parlamentari, che da troppo tempo rimandano una riorganizzazione sistematica della legislazione specifica, a quelle accademiche (architettura inclusa), per le quali la riflessione sulla morte, il morire e i suoi luoghi è periferica se non dimenticata.

Per la Chiesa è invece urgente riavvicinarsi al tema, come pare suggerire la sessione dedicata a “Il Luogo del Commiato” nel quadro dell’ultima edizione di “Koiné Ricerca” (24 ottobre 2021, Vicenza). Si tratta però solo di tendenze. Allo stato attuale, in Italia, la morte e il morire, come spazio e come rito, restano patrimonio delle onoranze funebri, e l’adesione ai servizi offerti contribuisce a descrivere il caleidoscopio delle culture regionali nelle distanze tra Nord e Sud del Paese, ma anche tra aree metropolitane e zone interne.

 

Cremazione e crematori

Nell’arco di appena sei anni, tra il 2013 e il 2019, l’opzione per la cremazione in Italia è passata dal 18,43% al 30,68%. La domanda è però asimmetrica nel Paese, al pari delle strutture: la gran parte degli 85 impianti è presente nel Nord, ove si concentra anche il maggior numero delle cremazioni (il 67,46% nel 2019), pur con una spaccatura tra Nord/Est e Nord/Ovest a favore di quest’ultimo, con il 40,84% delle cremazioni totali (fonti sefit: funerali.org).

L’incremento nella domanda non pare conseguire alle graduali aperture della Chiesa cattolica, che pur è giunta a includere i crematori tra i luoghi ammissibili per la preghiera e per le esequie (2012). È stata piuttosto la caduta delle ideologie e dell’attribuzione di un preciso significato etico-politico o culturale alla cremazione ad averne spalancato le porte alle masse. Il graduale distacco da tradizioni di cui si sono da tempo perduti i significati, la lontananza da un interesse ai temi escatologici nella popolazione e la difficoltà della Chiesa a trattarli conducono a prediligere considerazioni di carattere psico-affettivo ed economico. Non solo la cremazione costa meno, ma offre al defunto e ai dolenti la possibilità di proseguire la quotidianità di un rapporto con l’affidamento domestico dell’urna o con la dispersione “nel tutto”, in mare o in natura.

L’incremento della cremazione tocca anche i cimiteri comunali: in alcuni casi essi crescono meno rapidamente di quanto avessero previsto anche recenti piani di espansione, mentre dal punto di vista economico, l’esponenziale incremento delle cremazioni ne diminuisce le risorse a danno delle opere di manutenzione e restauro degli apparati storici e, in molti casi, monumentali.

 

Case funerarie

Il secondo fenomeno incrementale in Italia che testimonia il rapidissimo mutamento dei costumi è quello delle case funerarie. Da poche unità nei primi anni Duemila, 112 nel 2014, oggi sono ben 488 (casefunerarie.it), distribuite in una geografia analoga a quella dei crematori a premiare il Nord, e particolarmente il Nord/Est, seppur presenti anche al Sud e nelle isole.

Si tratta di luoghi sostitutivi della casa per consentire l’ultimo saluto al defunto. Spazi idealmente performativi, aperti all’allestimento, ove è sia possibile traslare la veglia funebre ancora usuale in taluni contesti, sia svolgere cerimonie laiche di commiato o riti di religioni e fedi che non presentano spazi adeguati sul nostro territorio.

 

Annichilimento simbolico

Con i crematori, l’avvento e la diffusione nazionale delle case funerarie testimonia di una rivoluzione negli spazi funerari: i luoghi che accolgono i dolenti nell’occasione del lutto non sono più esclusivamente spazi pubblici e non sono più solo i cimiteri e le chiese. Nuovi tipi edilizi s’innestano tra la morte e la sepoltura in modo spontaneo e destrutturato. Spoglio e frammentato su base regionale il corpo normativo, flebile la riflessione in termini d’architettura e progetto. Se sui crematori europei si registrano pubblicazioni recenti (Goodbye Architecture, 2012), di quelli italiani manca un catalogo, mentre le case funerarie sono spazi senza tradizione e ogni nuova installazione è un tentativo, in equilibrio tra le sensibilità dei progettisti e della committenza, tra desideri e risorse.

La caduta di ogni significato condiviso circa la morte e il suo senso annichilisce la componente simbolica, riducendo i materiali utili al progetto a quell’alfabeto di segni archetipi che solo maneggiato con sapienza può restituire architetture di profondo impatto emozionale. Si tratta di eccezioni: più spesso la decorticazione delle possibilità simboliche dell’immagine ha impoverito il progetto d’architettura riducendolo alla sola soddisfazione di requisiti funzionali, licenziabili con regolare pratica edilizia.

Il luogo del commiato può così assumere le fattezze di un ex garage, complice anche la distanza del mondo della riflessione e della ricerca, disposto a scrivere tomi sulla cultura funeraria solo – beninteso – a patto che si tratti di tradizioni già morte.

 

Colombari, riusi e ibridazioni tra città dei vivi e dei morti

Questi fenomeni descrivono invece una nuova vitalità della scena urbana, a riprendere un’antica mixité tra città dei vivi e città dei morti contro la precedente (e tuttora vigente) compartimentazione dei defunti entro i soli confini cimiteriali.

Se, a scala architettonica, le urne cinerarie possono guadagnare “le case dei vivi”, a scala urbana i colombari rivitalizzano spazi dimenticati. In Italia il fenomeno è sperimentale. Oltralpe, invece, essi sono una strategia di recupero di chiese sottoutilizzate o dismesse. Divenendo “ambiti cimiteriali di quartiere”, questi edifici hanno riguadagnato il loro ruolo pubblico e liturgico, con la possibilità sia di essere celebrati che di essere luogo fisico di commemorazione dei defunti tra le case.

L’anti-specializzazione e l’ibridazione funzionale di tutti gli spazi di vita della città contemporanea tocca così anche quelli dei defunti e del commiato. Le conseguenze riguardano la città quanto la cittadinanza, che dal recupero di un abitare ad sanctos, apud ecclesiam, potrebbe trarre un’interpretazione qualitativamente diversa della propria appartenenza: non più atto d’elezione ma destino, eredità o provvidenza che dir si voglia, in ogni caso premessa per una relazione inedita con la città, i suoi spazi e la sua comunità.

 

Immagine di copertina: Grabeskirche nella Chiesa di St. Josef a Aquisgrana, Germania (Franz Langenberg, 1894)

 

Autore

  • Luigi Bartolomei

    Nato a Bologna (1977), vi si laurea in Ingegneria edile nel 2003. È ricercatore presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Bologna, ove nel 2008 ha conseguito il dottorato di ricerca in Composizione architettonica. Si occupa specialmente dei rapporti tra sacro e architettura, in collaborazioni formalizzate con la Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna ove è professore invitato per seminari attinenti alle relazioni tra liturgia, paesaggio e architettura. Presso la Scuola di Ingegneria e Architettura di Bologna insegna Composizione architettonica e urbana, ed è stato docente di Architettura del paesaggio e delle infrastrutture. È collaboratore de "Il Giornale dell'Architettura" e direttore della rivista scientifica del Dipartimento, “in_bo. Ricerche e progetti per il Territorio, la Città, l’Architettura”

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Last modified: 5 Novembre 2021