Erede di un’importante tradizione civica, il capoluogo emiliano è chiamato a intraprendere un nuovo corso di politica urbanistica. Una mostra fa il punto
La storia urbanistica delle città emiliane di media dimensione si è qualificata per alcune peculiari sperimentazioni: una tradizione civica portatrice di stretti legami tra luoghi e abitanti; l’attuazione anticipatrice del decentramento municipalistico, grazie al quale i quartieri periferici hanno potuto sviluppare un’equilibrata dotazione di strutture collettive; una prassi pianificatoria pragmatica e risoluta, capace di tenere assieme politiche e progetti, previsioni e realizzazioni, rilevamento delle domande sociali e risposte da parte delle politiche urbanistiche delle diverse municipalità.
Date queste caratteristiche, ampiamente condivise e diffuse, sembra allora opportuno chiedersi in che cosa si differenzia l’identità urbana di Parma rispetto a quella delle altre città che si snodano lungo l’asse della via Emilia e che ad essa sono simili per estensione, demografia e base economica (esclusa quindi Bologna).
Questa specificità può essere ravvisata nel fatto che Parma, lungo tutta la sua storia, è riuscita a dotarsi di complessi architettonici e funzioni istituzionali il cui rango è inusuale per una città di queste dimensioni. Tale condizione, che deve molto anche al fatto che qui ha trovato sede la prima scuola di architettura della regione (fondata dal ministro riformatore Du Tillot a metà Settecento), ha depositato sul territorio urbano un insieme diffuso di grandi strutture monumentali, attorno alle quali si è nel tempo formata l’identità comunitaria e l’appartenenza civica.
Scorie e disastri, eredità dell’ultima stagione di progetti urbani
Un simile approccio, teso a governare lo sviluppo della città attraverso un insieme di grandi progetti, ha caratterizzato anche gli ultimi due decenni di trasformazioni urbane. Le scelte riconducibili a questo recente ciclo, però, non sembrano avere dato continuità a quel patrimonio di complessi architettonici storici che si sono identificati con l’identità urbana di Parma. Al contrario, questi interventi si sono risolti nella produzione di manufatti architettonici intrusivi e dequalificati, concepiti secondo logiche fuori scala rispetto alla città e calati nel silenzio dei suoi luoghi.
Questo infelice ciclo di realizzazioni lascia alla città una lunga teoria di scorie urbanistiche, che difficilmente potranno essere emendate dai loro vizi di concezione. L’intrico di rampe e sottopassi che accompagnano il progetto per l’area della nuova stazione ferroviaria (Oriol Bohigas) ha generato uno squarcio insanabile nello spazio pubblico di questa cruciale parte di città e sembra rispondere alla sola esigenza di trainare le anonime realizzazioni immobiliari dell’oltre-ferrovia, e non invece a criteri di ricucitura urbana. La mastodontica e informe copertura di tralicci metallici installata su piazza Ghiaia ha occluso lo spazio pubblico più vivace e caratteristico del centro storico, generando uno scomposto “interno urbano” di cui non si avvertiva il bisogno, e al quale si è aggiunta la realizzazione di un supermercato e di un parcheggio interrato. Infine, al culmine di questa infelice catena di scelte progettuali si colloca una trasformazione urbanistica che le amministrazioni passate hanno pervicacemente voluto, pur essendo stata realizzata nella più completa violazione di legge: il cosiddetto Ponte Nord, un novello “Ponte abitato” (un involontario richiamo ai virtuosi prototipi di Sir John Soane) che solo dopo la sua ultimazione è stato dichiarato inagibile, poiché costruito in contrasto ai vincoli del PSAI.
A questi progetti sbagliati di scala architettonica, gli ultimi venticinque anni di amministrazione cittadina hanno poi affiancato alcuni veri e propri great planning disasters. Le vicende della fiera e dell’aeroporto sono ben note e non merita ripercorrerle.
Una mostra e una pubblicazione per ripensare il futuro
La necessità di emendare gli sbagli del recente passato è alla base delle spinte per avviare un nuovo corso di politica urbanistica.
I primi segnali in tal senso sono arrivati dai contenuti degli strumenti di piano elaborati negli ultimi anni. Ulteriori indicazioni potrebbero giungere anche dagli esiti di un lungo lavoro di sperimentazione didattica e di ricerca, prodotto da alcuni gruppi di studiosi, dottorandi e laureandi appartenenti al Dipartimento di ingegneria e architettura della locale Università, i cui contenuti sono ora oggetto di una mostra “Parma città d’oro” (fino al 19 dicembre) e della correlata pubblicazione scientifica.
La ricerca propone un uso strategico del progetto urbano, secondo una robusta tradizione di elaborazioni prodotte dalla cultura disciplinare (in Italia rappresentata da Vittorio Gregotti e Bernardo Secchi), le quali concepivano il “progetto come trasformazione critica dell’esistente”. Fin qui le riflessioni prodotte sembrano essere condivise e acquietanti, visto che da tempo studiosi e operatori sono consapevoli del fatto che le città si trasformano “per progetti”. Il nodo politico di questo approccio al governo urbano sta nel fare sì che l’insieme degli interventi possa ricollocarsi entro un più ampio quadro di legami e relazioni spaziali. È quello che la ricerca e la mostra provano a fare, collocando l’illustrazione dei singoli progetti d’area entro un disegno di struttura che investe l’intero territorio della città.
Seguendo queste premesse, il progetto urbano ritrova così in un insieme di fattori territoriali cruciali la propria giustificazione e alcune minimali garanzie di coerenza: i temi del paesaggio, delle relazioni di mobilità, della tutela e salvaguardia dei valori storico-ambientali, delle funzioni civiche e della fruizione dello spazio pubblico costituiscono gli elementi di legame che dovrebbero dare unitarietà sia alle previsioni di ripensamento delle funzioni urbane periferiche, sia alle iniziative di rifunzionalizzazione dei contenitori storici. Su questi ultimi, in particolare, si concentrano gli elaborati di progetto in mostra (l’Atlante civile dell’architettura), che si applicano a dare nuove destinazioni e aprire allo spazio della città un esteso patrimonio di complessi monumentali antichi (la rassegna ne enumera più di ottanta), prevedendo per essi un rinnovato ruolo di centralità per la vita cittadina.
Le criticità di un approccio per progetti
Indipendentemente dagli esiti delle singole soluzioni di disegno che la ricerca propone, l’intera esperienza permette di riflettere su alcuni nodi irrisolti che un approccio “per progetti” all’amministrazione della città pone.
Se l’attuale stagione di politiche urbane sembra incentrarsi sulla rigenerazione dell’esistente (storico o recente), allora la questione delicata da affrontare risiede nel come proporre nuove forme d’uso basate su una fondata rilevazione della domanda sociale. Si tratta ovvero di vedere come assegnare nuove e non effimere funzioni a un insieme di strutture inutilizzate che però insistono su un contesto urbano maturo come quello parmense. Un’attribuzione troppo affrettata di nuovi usi potrebbe difatti comportare una vita breve per il recupero di questi luoghi o, all’opposto, potrebbe drenare la frequentazione e le risorse disponibili per altre strutture già esistenti nel medesimo contesto. Governare le trasformazioni generando nuovi bisogni e nuovi mercati costituisce il compito più impegnativo di ogni progetto pubblico, come ci ricorda Michel Crozier (Stato modesto stato moderno, Roma 1988).
Gli strumenti effettivi attraverso i quali poter garantire condizioni più avanzate di equità, benessere e bellezza al progetto per la città esistente devono necessariamente combinare capacità di governo, disegno, attuazione e gestione. La fiducia che la cultura architettonica ripone nel fatto che una buona forma urbana costituisca il fattore cruciale per innescare una catena di trasformazioni virtuose sembra ripercorrere l’ingiustificata convinzione “che tutte le cose buone debbano andare assieme”, dalla quale gli studiosi di azione pubblica mettono in guardia (Jon Elster, Come si studia la società, Bologna 1993).
Partecipazione e conflitto sono fattori costitutivi di ognuna delle fasi che compongono la parabola di una politica urbana. Per tale ragione, un’urbanistica debole richiede un più lungo e impegnativo lavoro di vivificazione del dibattito pubblico, di coinvolgimento della cittadinanza, dei soggetti istituzionali, dei saperi esperti e dell’ambiente imprenditoriale. Questo percorso non può essere intrapreso per semplificazioni e scorciatoie, se si vuole sottrarre dall’irrilevanza il prossimo ciclo di politiche territoriali (Norberto Bobbio affermava: “Se tutti partecipano è come se non partecipasse nessuno”).
A indicare il lungo e difficile percorso che ancora si deve intraprendere in questa direzione, la mostra si chiude con una “stanza della condivisione”, nella quale i visitatori possono esprimere la loro opinione sui progetti esposti. Un momento di coinvolgimento più simbolico che effettivo, a ricordarci che la ricostruzione di una vera arena pubblica resta tuttora il passo più difficile da compiere, anche per le città emiliane e per la loro perduta tradizione civica.
La mostra “Parma città d’oro” è aperta fino al 19 dicembre presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Parma, Strada al ponte Caprazucca 4. Catalogo a cura di Dario Costi, Francesca Magri e Carlo Mambriani (Lettera Ventidue, Siracusa, 2021)
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Emilia Romagna , mostre , rigenerazione urbana , ritratti di città
Last modified: 20 Ottobre 2021