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Alessandro BalducciWritten by: Città e Territorio Forum

Milano, nuove ambizioni per guidare la trasformazione urbana nazionale

Milano, nuove ambizioni per guidare la trasformazione urbana nazionale

Secondo Alessandro Balducci occorre tradurre le sollecitazioni portate dalla pandemia in occasioni positive. E la città dei 15 minuti va applicata in periferia

 

Quasi cinque anni fa, nel dicembre 2016, Sandro Balducci scriveva per noi un bilancio della sua, pur breve, esperienza di assessore all’Urbanistica nella giunta guidata dal sindaco Giuliano Pisapia. Oggi, dal suo ufficio del Politecnico di Milano, guarda alle prossime elezioni comunali (e alla possibile rielezione di Beppe Sala) proponendo una serie di questioni attuali.

 

Non sprecare la crisi

Milano, al pari e forse più delle altre città, ha oggi il dovere di non sprecare la crisi generata dal Covid. Sarebbe un peccato, un’enorme occasione gettata. Perché questa fase così traumatica ci ha restituito la possibilità di pensare a una città più a misura d’uomo: abbiamo scoperto che è possibile lavorare da casa, abbiamo attivato una serie di relazioni inaspettate con i luoghi e i territori nei quali siamo stati costretti a fermarci. La città, intesa come area centrale, compresa nei confini comunali, si è decongestionata, ha visto allentare almeno in parte la grande pressione dei flussi pendolari. Milano funziona come una grande pompa che “aspira” persone nelle ore lavorative e poi le ributta nelle città dell’hinterland, spesso ridotte a dormitorio. Questo meccanismo si è raffreddato in questi mesi, con effetti positivi sia per il centro che, appunto, per l’hinterland. Le persone hanno riscoperto alcuni luoghi, conferendo una rinnovata vitalità ai comuni della cosiddetta “periferia”. E ancora oggi, come per inerzia, continuano a vivere questi spazi, anche per il tempo libero. Abbiamo tutti capito che non è obbligatorio andare in centro per trovare accoglienza e ospitalità.

 

Case: meno proprietà, più affitto

E non è necessario farlo nemmeno per lavorare. Secondo le ricerche più recenti, s’imporranno modelli ibridi con 3 giorni di lavoro a distanza e 2 in presenza o viceversa. Questo significa che il nuovo equilibrio cui il Covid ci ha costretti potrebbe diventare una dimensione stabile, almeno in parte. In questo modo edifici e quartieri di uffici dovranno essere ripensati, magari sperimentando forme d’integrazione con altre funzioni: culturali, di servizio, anche residenziali.

Proprio il settore della casa ha bisogno di una decisa azione da parte pubblica. La nuova condizione deve spingere verso un modello meno improntato alla proprietà e più all’affitto. Così si creano le condizioni per una città più giovane, più dinamica, in grado appunto di dare risposte alle esigenze di tanti. Ma il mercato da solo non può rispondere a questo, serve una forte pressione pubblica. Soprattutto a Milano, in un periodo in cui, a differenza di quanto succedeva quando ero assessore, le pressioni immobiliari sono molto forti. Fenomeno positivo in sé perché significa che è una città attrattiva e che genera aspettative e fiducia nel medio-lungo termine. Ma potenzialmente anche pericoloso, se non saremo in grado di governare il mercato. Anche in questo credo di vedere segnali positivi, perché alcuni grandi operatori immobiliari sembrano percepire gli effetti collaterali di questa crisi.

La relazione tra necessità imposte dal Covid e necessità di adattamento ai cambiamenti climatici deve spingerci a modificare i comportamenti: penso alla mobilità lenta e all’uso della bicicletta (e lo dico da residente di San Donato che, tutti i giorni, fa il tragitto casa-lavoro sulle due ruote) e alla riduzione consistente del numero delle auto circolanti (con la “liberazione” di spazi pubblici che genera, nell’ordine delle centinaia di migliaia di metri quadrati restituiti alla città, lo diceva Giancarlo De Carlo quando proponeva a un sindaco appena eletto di sperimentare come gesto dimostrativo qualche giorno senza auto sui marciapiedi); ma penso anche agli orti e ai giardini condivisi e alle buone pratiche di coworking, che possono dare risposta a chi non ha spazi adeguati nelle proprie abitazioni.

 

Città dei 15 minuti? Sì, ma in periferia

Tutte queste tendenze potranno trovare risposte in un nuovo modo d’intendere l’abitare. Sia per il centro che per le periferie, intese come corona urbana. Sono quelli i luoghi dove applicare l’idea della città dei 15 minuti. Stando attenti ai servizi che offriamo a chi abita quelle realtà, a partire dalle persone che fanno lavori più umili e oggi quanto mai essenziali, come i rider. Dobbiamo fare scelte precise perché ci siano scuole e presidi per la salute vicino a dove le persone vivono.

La possibilità di lavorare o studiare a distanza, per alcuni giorni, non deve essere intesa come una minaccia per la città centrale, ma invece come un progressivo allargamento delle sue capacità, del suo raggio di azione che estende anche al di fuori delle sue mura l’urbanità, e che nello stesso tempo restituisce un ritmo meno frenetico al suo cuore, a beneficio di ambiente e salute.

Il sindaco Sala ha ragione quando dice che Milano è la città che guida la trasformazione urbana a scala nazionale. Ma la nuova ambizione potrebbe essere quella di dare un segnale al paese che il modello della città guida non è più quello della iper-concentrazione, quanto piuttosto quello di una città che abbraccia la sua regione urbana redistribuendo funzioni e valori, misurandosi con un diverso ritmo, una minore tensione. Per Milano vorrebbe dire occuparsi appieno e integrare maggiormente la città dei residenti con quella dei city-users, aumentando la qualità di vita di tutti.

Se la nuova amministrazione milanese sarà capace di fare questo, riuscirà a sfruttare l’occasione che il Covid ci ha paradossalmente regalato. Sei anni fa Expo, nonostante tutti i dubbi iniziali, ha avuto un effetto molto positivo sulla città inducendo cambiamenti significativi che sono durati a lungo. Oggi c’è l’esigenza che questa condizione venga interpretata in modo intelligente. Ci sono le Olimpiadi, occasione non solo per trasformare gli scali ferroviari, offrendo, a giochi finiti, attrezzature per lo sport e una quantità importante di case per studenti, ma anche per costruire progetti comuni che travalicano gli angusti confini della città. Senza dimenticare i fondi del PNRR, che devono essere capaci d’innescare nuove dinamiche di rigenerazione urbana, soprattutto in quei luoghi che il mercato non vede.

 

Testo raccolto da Michele Roda

Foto di copertina: © Davide Maccioni per ACMA

Autore

  • Alessandro Balducci

    Architetto e Dottore di ricerca in Pianificazione Territoriale, professore ordinario di Pianificazione e Politiche Urbane al Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. Ha insegnato alla Facoltà di Architettura di Pescara, è stato visiting scholar presso l’Università di Berkeley e visiting professor alle Università di Reims, Tongji University, Aalto University, il MIT Cambridge, all’Accademia di Architettura di Mendrisio e alla Zhejiang University in Cina. É stato assessore all’Urbanistica, edilizia privata e agricoltura del Comune di Milano, Prorettore Vicario del Politecnico di Milano, membro fondatore della European Urban Research Association (EURA), presidente dell’Associazione Europea delle Scuole di pianificazione (AESOP), di Urban@it, il Centro Nazionale di Studi per le Politiche Urbane e della Società Italiana degli Urbanisti. Ha coordinato il progetto di interesse nazionale PRIN – Territori post-metropolitani come forme emergenti. Tra i lavori più recenti ha curato, insieme a Louis Albrechts e Jean Hillier, Situated Practices of Strategic Planning (Routledge 2017), insieme a Francesco Curci e Valeria Fedeli, Oltre la Metropoli e Ripensare la questione Urbana (Guerini 2017), con Daniele Chiffi e Francesco Curci, Risk and Resilience (Springer 2020), con Giovanni Azzone e Pier Cesare Secchi Infrastrutture e città (Brioschi 2020).

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Last modified: 22 Settembre 2021