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Michele RodaWritten by: Biennale Venezia 2021 Reviews

Biennale di Venezia-Partecipazioni nazionali/4: alziamo le braccia, non li abbiamo capiti

Biennale di Venezia-Partecipazioni nazionali/4: alziamo le braccia, non li abbiamo capiti

Filippine, Slovenia, Bahrain, Cile, Messico, Olanda, Gran Bretagna, Stati Uniti, Ungheria, Grecia

 

Anche in questa lista ci sono Padiglioni di grande impatto visivo, piacevolissimi da visitare, ottimi per fotografie da instagrammare. Ma il cui significato, almeno a una visita veloce (ovvero la modalità del 99% di chi passeggia per la Biennale), risulta oscuro quanto la luminosità di Padiglione Italia. L’infilata di partecipazioni nazionali in Arsenale è assolutamente esemplificativa in questo senso.

 

Filippine, Slovenia, Bahrain, Cile e Messico

Le Filippine (“Structures of mutual support”) piazzano al centro una struttura in legno, spazio collettivo, a rappresentare modi di vita comunitaria. La Slovenia (“The common in community”) il legno lo usa invece per costruire una sorta di installazione di grafici a rappresentare attività e fortuna dei suoi circoli cooperativi. Il Bahrain (“In Muharraq: the pearling path”) costruisce una enorme – peraltro bellissima – plancia su cui dispone una serie di modelli che rappresentano attività di rigenerazione urbana legata alla pesca delle perle. Il Cile è più tridimensionale, definisce una stanza (“Testimonial spaces”) completamente ricoperta all’interno da 500 dipinti, in forma di ex-voto. Dall’altra pare della strada il Messico gioca sul tema della dislocazione – da qui il nome “Displacements” – con un’elegante sequenza di fili appesi che “sentono” il passaggio dei visitatori.

 

Olanda, Gran Bretagna, Stati Uniti

Ma anche ai Giardini alcune partecipazioni nazionali non sfuggono ad un certo gusto per l’allestimento complesso. Tendenza (difetto?) che non risparmia alcuni paesi leader nell’architettura contemporanea. Iniziando dall’Olanda, il cui “Who is we?” sembra più un artificio per rispondere provocatoriamente alla domanda della Biennale che un’apertura verso una dimensione possibile. E si fatica a cogliere anche gli (opposti) approcci del mondo anglosassone: il Padiglione Gran Bretagna (“The garden of privatised delights”) affida ad uno strano e grottesco percorso, ispirato a Hieronymous Bosch, un tentativo di rivendicazione di maggiore collettività di alcuni spazi privati. Gli Stati Uniti invece piazzano una grande (e fotografatissima) struttura in legno (“American framing”) a ricoprire il padiglione che, all’interno, racconta quel materiale come emblematico dell’ideologia americana.

 

Ungheria e Grecia

Poco lontano da lì, l’Ungheria fa un’esibizione importante (“Othernity – reconditioning our modern heritage”) sui temi della salvaguardia e del recupero, fallendo però l’obiettivo della chiarezza. Finiamo il giro dei padiglioni-boh con la Grecia e la sua ricostruzione dell’asse urbano Aristotele di Salonicco. Complicato già dal titolo: “Boulevard de la Société des Nations”, a.k.a. the Aristotle Axis in Thessaloniki.

 

Leggi la nostra classifica completa:
Come non perdersi tra i 60 padiglioni nazionali, la nostra classifica con il meglio e il peggio di Biennale#17
1. I padiglioni top, da non perdere
2. Più o meno belli, comunque decisamente “sul pezzo”
3. Esperienze coinvolgenti, ma che c’azzeccano?
4. Alziamo le braccia, non li abbiamo capiti
5. Nulla di indimenticabile, vivevamo anche senza

 

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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Last modified: 26 Maggio 2021