A Roma, alcuni interventi recenti delineano tendenze emblematiche nelle strategie di valorizzazione del patrimonio archeologico e architettonico. Mini inchiesta sul ruolo degli sponsor
ROMA. Il coinvolgimento sempre più frequente dei privati nella gestione del patrimonio culturale pubblico pone questioni delicate sulla distinzione dei ruoli dei diversi soggetti, con il rischio di uno slittamento di compiti che può portare a confusione e ambiguità.
L’utilizzo dei monumenti per fare pubblicità al marchio sta diventando una prassi consolidata. È il riflesso della nostra contemporaneità, dove attraverso le immagini si veicolano messaggi pubblicitari che sponsorizzano beni di varia natura, in maniera impensabile fino a qualche decennio fa. Il fenomeno degli influencer sui social network ha aperto le porte a nuovi sbocchi lavorativi, specie per i giovanissimi. Basta citare alcuni aneddoti legati a Chiara Ferragni, imprenditrice digitale che vanta milioni di seguaci su Instagram e TikTok: nel febbraio 2017 viene chiamata ad Harvard a tenere una lezione sul suo successo; nel luglio 2020 il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, la invita per una visita privata con il successivo boom di visite da parte dei giovani, cui si aggiunge la recente notizia, datata 9 aprile, del suo ingresso nel Cda di Tod’s, annuncio che ha fatto gonfiare i titoli del brand in borsa. Forse il “fenomeno Ferragni” è legato ai nuovi “mecenatismi” e allo spettro delle sponsorizzazioni, dai quali è difficile separare un ritorno d’immagine, più di quanto si possa pensare.
Parlando di conservazione e restauro è auspicabile che questa prassi non muti il modus operandi del settore, evitando che il bene pubblico muti in “brand” pubblico. Proprio da queste contraddizioni nasce la nostra riflessione, stimolata anche da recenti interventi di restauro, realizzati o avviati a Roma, che delineano tendenze emblematiche nelle politiche di valorizzazione del patrimonio archeologico e architettonico.
Mecenati e ingerenze
“Solo con un’adeguata offerta culturale possiamo attirare il turismo internazionale, che è il vero futuro del Paese”. Con queste parole nel 2016 Diego Della Valle celebra la conclusione del restauro dell’Anfiteatro Flavio, dopo due anni e mezzo di lavori e 25 milioni donati dal suo gruppo Tod’s. Se da un lato con queste operazioni s’incentiva il connubio pubblico-privato, dall’altro possono sorgere dubbi quando il monumento torna “pulito, nuovo, lindo”, secondo la definizione del patron, come se il restauro consistesse nello “sbiancare” un edificio per conferirgli una seconda, nuova, vita.
È indubbio che il sostegno economico da parte dei privati sia spesso ben accetto dalle pubbliche amministrazioni, se non agognato, ma andrebbe ulteriormente normato, al fine di evitare eventuali ingerenze nella gestione dei lavori ed eccessivi sfruttamenti d’immagine del patrimonio. Il Colosseo non è infatti l’unico monumento romano a essere stato oggetto delle attenzioni di una “grande firma”, riproponendo l’annosa contesa tra tutela e valorizzazione, che si confonde con la parola monetizzazione, intrinsecamente legata alle modalità di gestione dei flussi turistici.
Biagiotti, la Cordonata michelangiolesca e la Fontana della Dea Roma
Nel 1998 la casa di moda Laura Biagiotti finanzia con 700 milioni di lire l’intervento sulla Cordonata michelangiolesca e sulle statue dei Dioscuri in Campidoglio. Lo scorso settembre lungo la medesima scalinata e la piazza capitolina Lavinia Biagiotti offre alla cittadinanza uno spettacolo di moda e danza utilizzando come skené la facciata di palazzo Senatorio, occasione perfetta per annunciare in diretta il finanziamento, con il supporto di Intesa Sanpaolo e sotto la gestione della Sovrintendenza Capitolina, del restauro della Fontana della Dea Roma e del suo complesso impianto idrico, estremamente compromesso.
Bulgari e Trinità dei Monti
Tra l’ottobre del 2015 e settembre 2016, grazie a una donazione di 1,5 milioni da parte di Bulgari, viene restaurata la scalinata di Trinità dei Monti, rinsaldando il legame con la città della maison nata non lontano da piazza di Spagna, che aveva celebrato nel 2014 il suo 130° anniversario. Le operazioni di restauro conservativo si sono limitate alla pulitura generale, alla realizzazione di ampie stuccature con malta idonea ai materiali settecenteschi e integrazioni di travertini, specialmente nei gradini. In questo caso emerge una tensione tra l’enorme flusso turistico al quale la scalinata era giornalmente sottoposta (in parte causa stessa del delicato stato di conservazione), le successive ordinanze comunali per “evitare bivacchi e forme di degrado” e le parole dell’amministratore delegato di Bulgari Jean Cristophe Babin, il quale sogna “che tutti i monumenti al mondo siano sempre aperti al pubblico perché l’arte è popolare”.
Fendi e la Fontana di Trevi
Nel novembre 2015, dopo un anno e mezzo di restauro, torna a scorrere l’acqua della Fontana di Trevi, grazie a una donazione di quasi 2,2 milioni da parte della maison Fendi, parte del più grande progetto “Fendi for Fountains” (dopo Trevi si accendono le luci della ribalta sulla Mostra dell’acqua Paola del Gianicolo, la fontana del Mosé, il Ninfeo del Pincio e quella della Peschiera del Trionfale). La recinzione di pannelli in plexiglass installati durante i lavori ha permesso una continua permeabilità visiva con la grande vasca, una condizione inusuale per un cantiere che è in realtà frutto di un preciso intento mediatico della maison. Il 7 luglio 2017 una passerella in plexiglass, montana nel catino della fontana, fa da trasparent carpet alla collezione autunno/inverno “Legends and Fairy Tales”: le modelle, sfoggianti abiti evanescenti, ricami e variopinti motivi floreali, sfilano sull’acqua come moderne ninfe, diafane e ieratiche in pose così composte da stridere con le sculture barocche.
Gli esempi sono numerosi e vari: dal 2019 si attende l’inizio dei lavori sulla Rupe Tarpea grazie ai finanziamenti di Gucci, “omaggio” annunciato dal direttore creativo Alessandro Michele il 28 maggio dello stesso anno in occasione della sfilata tenutasi nei limitrofi Musei Capitolini.
Mausoleo di Augusto, dal concorso alla Fondazione TIM
Dopo 15 anni riapre al pubblico il mausoleo di Ottaviano Augusto (63 a.C – 14 d.C.), con i suoi 300 piedi romani di diametro (circa 87 m) il sepolcro circolare più grande giuntoci dall’antichità. La secolare stratificazione lo rende un edificio unico nel suo genere: “divenuto fortilizio durante il Medioevo, giardino all’italiana nel Rinascimento, arena per corride nell’età del Grand Tour, auditorium nei primi decenni del Novecento, il Mausoleo fu recuperato in chiave politica durante il Ventennio quando diventò l’Augusteo. Per tutte queste fasi l’attuale restauro, con gli studi che lo hanno accompagnato, ha fornito importanti elementi di conoscenza”, ha dichiarato la Sovrintendente Capitolina ai Beni culturali Maria Vittoria Marini Clarelli. L’aspetto attuale, che ha ingenerato nell’immaginario collettivo una falsificazione dell’originaria facies, si deve all’intervento degli anni trenta dell’architetto Soprintendente Antonio Muñoz.
I progettisti e i restauratori si sono confrontati con 13.000 mq di paramenti murari, dei quali oltre la metà afferenti alla fase augustea, nel tentativo di armonizzare gli interventi di inizio Novecento con i resti del monumento e con le esigenze contemporanee di fruizione turistica.
La vicenda comincia con il concorso internazionale di progettazione, bandito nel 2006 e vinto dal raggruppamento Urbs et Civitas guidato da Francesco Cellini e composto da architetti, storici – tra questi ricordiamo Mario Manieri Elia – e da numerosi archeologi, ai quali si è poi aggiunta la società Insula architettura e ingegneria srl per il progetto esecutivo. Il progetto vincitore comprendeva minimi interventi sulla mole augustea, rispettosi della materia antica, con consolidamenti mirati e l’allestimento di un percorso museografico, oltre alla sistemazione della piazza antistante il dromos del Mausoleo, definita da due leggeri dislivelli che collegano il salto di quota di 7 m tra piano archeologico e urbano, dando luogo a nuove relazioni tra monumento e città e ospitando nuovi servizi.
Si trattava di un investimento sostanzioso, finanziato da un programma pubblico, ma a seguito del concorso si è optato per una sponsorizzazione a carattere privato: all’iniziale investimento di 4.275.000 € (2 milioni versati dal MiBACT e 2.275.000 da Roma Capitale) si sono aggiunti i 6.500.00 € della Fondazione TIM.
Da questo momento l’iter segue due strade parallele, frammentando l’integrità del processo progettuale: da una parte il progetto della piazza portato avanti dal vincitore del concorso e dall’altra il restauro del monumento a cura della Sovrintendenza Capitolina (progettista e direttore lavori l’architetto Sebastiano La Manna), che introduce l’idea di una struttura piana in acciaio e vetro a copertura del vano centrale per creare un nuovo “auditorium”, con l’eliminazione di parte del tamburo edificato da Muñoz negli anni Trenta. Con l’ingresso dello sponsor privato cambia quindi radicalmente il programma d’intervento sul monumento suscitando molte perplessità, espresse da Cellini in una denuncia pubblica: “Sponsor è chi finanzia un lavoro deciso dal pubblico per un bene pubblico; ma come chiamare chi finanzia un lavoro in un bene pubblico, per realizzare una cosa voluta da lui stesso?”.
Terminato il primo stralcio dei lavori di restauro, si attende la conclusione del progetto per gli impianti, le pavimentazioni e l’area verde sul Mausoleo, mentre l’intervento più invasivo della copertura trasparente sembrerebbe attualmente sospeso. La data di termine dei lavori della piazza è invece fissata per il 2024, quando il Mausoleo diverrà museo di se stesso, inserito nel nuovo spazio pubblico. Attualmente il recinto esterno del cantiere offre una pannellistica in nero e oro, comprensiva di audio e stampe lenticolari, accattivante e originale. Quando il sito sarà aperto la realtà virtuale e aumentata e numerosi contenuti digitali accompagneranno la visita, proiettando il mausoleo nell’era 2.0.
Fendi, il Tempio di Venere e Roma sul Palatino
Il cantiere di restauro del tempio più grande dell’antica Roma, il Templum Veneris et Romae sive Urbis Aeternae, è l’esito della sponsorizzazione tecnica di Fendi. Edificato a partire dal 121 d.C., era circondato da 144 colonne poste su uno stilobate di 145 per 100 metri e conteneva al suo interno due celle separate da absidi semicircolari contrapposte. Il tempio adrianeo era ricco di stucchi dipinti e marmi variopinti, ancora visibili nella ricostruzione della pavimentazione della cella posta a ovest, quali porfido rosso e giallo antico.
Già oggetto d’importanti lavori conclusi un decennio fa, il monumento è stato sottoposto a nuovi interventi con una duplice finalità: restaurare e valorizzare i lacerti delle volte cassettonate, dei catini absidali e delle murature della cella e inserire il sito in un percorso di visita che permetterà una lettura integrale dei resti del tempio all’interno del Parco archeologico del Colosseo, abbattendo le attuali barriere architettoniche.
Lo Studio Azimut di Roma ha provveduto al rilievo tramite laser scanner e alla sua restituzione, base imprescindibile sulla quale redigere il progetto di restauro, mentre Acaia 61 si è occupato dei successivi lavori. Quest’ultimo studio è anche impegnato in un progetto finalizzato ad aumentare i livelli di sicurezza anti-terrorismo e anti-intrusione del Colosseo, del Palatino e della Domus Aurea, questione problematica sotto numerosi punti di vista che viene affrontata utilizzando pannellature metalliche stirate e forate, soluzione che lascerebbe parziale permeabilità visiva all’osservatore.
Villa Adriana: valorizzazione senza sponsorizzazione
L’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este-Villae ha recentemente concluso i lavori di restauro presso le piccole terme e gli hospitalia del complesso imperiale di Tivoli, sito Unesco dal 1999. Nel sito, esteso su un’area di oltre 120 ettari dei Monti Tiburtini, sussistono i reperti di circa trenta costruzioni. Pensato come luogo di ritiro da Roma, edificato tra il 117 e il 138 d.C. per volere di Adriano, custodisce un patrimonio architettonico polivalente che comprende un “palazzo” imperiale, teatro, templi, biblioteche, triclini e complessi termali. Grazie a un finanziamento del Segretariato Regionale del Lazio è stato possibile restaurare diversi ambienti, rinnovare gli apparati didascalici destinati al grande pubblico ed allestire un nuovo percorso di visita accessibile anche a persone con ridotta capacità motoria. I.CO.RES srl, impresa mandataria Rti, si è aggiudicata la gara, terminando i lavori lo scorso marzo.
Le piccole terme, decorate con ricchezza di marmi intuibile da alcuni variopinti lacerti in opus sectile pavimentale conservato nei vani, riproducono la canonica sequenza di ambienti riscaldati, suspensurae per la circolazione dell’aria dei praefurnia e del frigidarium, che conserva due grandi vasche speculari rivestite in lastre di marmo bianco. Il restauro ha riguardato il consolidamento delle murature esistenti, l’integrazione delle originali volumetrie con rivestimenti in laterizio distinguibili, la pulitura delle superfici pittoriche e pavimentali, nonché la realizzazione di una nuova copertura. È stata data particolare attenzione alla scelta dei materiali che hanno ridefinito i volumi, cercando d’interferire il meno possibile con le strutture antiche. Spicca la cupola trasparente dal sesto ribassato, il cui telaio in acciaio si ammorsa alle murature senza creare un ambiente ermeticamente chiuso, secondo un modus operandi efficace che parte dal principio di totale reversibilità e di minimo impatto visivo.
Gli hospitalia sono edifici per il personale di medio rango al seguito della corte imperiale. La differenza rispetto ad altri ambienti della Villa si nota dalle finiture, primi fra tutti i pavimenti, costituiti da mosaici a tessere bianche e nere dalle decorazioni poco elaborate. Su un ampio corridoio si apre una doppia serie di cubicula, ognuna predisposta per accogliere tre letti, chiusa sul fondo da quattro nicchie in opus quasi reticulatum, lacerti di preesistenze repubblicane. Queste “stanze per gli ospiti” sono state oggetto di un restauro materico, con la pulitura dai depositi coerenti e compatti, lo stacco, il restauro e la ricollocazione in loco di porzioni di pavimentazione e il trattamento per l’arresto dell’ossidazione d’intelaiature in ferro inserite in interventi precedenti.
Queste azioni di restauro, favorite da un investimento esclusivamente pubblico, permettono una costante reinterpretazione del patrimonio in chiave contemporanea che ha il pregio di non perdere di vista il fine primario della conservazione.
Immagine di copertina: la sfilata evento Roman Renaissance di Laura Biagiotti (© L’Officiel Italia)
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Last modified: 21 Aprile 2021