L’architetto giapponese Tadao Ando sarà il direttore della rivista per il prossimo anno
Come ormai consuetudine da alcuni anni a dicembre, in questi giorni «Domus» ha presentato il nuovo guest editor che firmerà i dieci numeri della rivista nel 2021. Il quarto protagonista del progetto editoriale “10x10x10”, che vede avvicendarsi al timone della storica rivista fondata nel 1928 dieci architetti di fama internazionale, per dieci numeri ciascuno, per altrettanti anni, sarà il giapponese Tadao Ando [nell’immagine di copertina, il suo manifesto].
Sempre nell’ottica di una visione del futuro che invita a non seguire gli eventi ma ad anticiparli, i numeri saranno dedicati all’eternità delle emozioni e dei ricordi, come lo stesso Ando racconta: «Ogni cosa è destinata a sfiorire e sbriciolarsi. La storia dell’architettura è una traiettoria fatta di sfide che affrontano questa verità. Vorrei fare dell’Eternità, un’idea che l’uomo insegue da tempo immemorabile, il tema di Domus 2021. Con eternità qui non si intende la persistenza o la perpetuazione della materia o della forma fisica. È piuttosto l’Eternità legata all’intangibile, alle emozioni e ai ricordi che vivono nel cuore e nella mente di noi tutti. La natura universale dell’eternità non è innata, ma dipende dall’umanità».
Nato a Osaka nel 1941, Ando è considerato l’architetto che meglio rappresenta il minimalismo, fatto di forme pure ed elementi essenziali, ed è l’unico ad aver vinto i quattro premi più prestigiosi della disciplina: Pritzker (1995), Carlsberg (1992), Praemium Imperiale (1996) e Kyoto Prize (2002). Dopo un breve periodo come pugile, Ando inizia il suo percorso da autodidatta facendo apprendistato presso diversi designer e urbanisti. Negli anni ’60 saranno fondamentali i viaggi di studio in Europa e negli Stati Uniti, per analizzare grandi edifici della civiltà occidentale, e per raccogliere pensieri e impressioni in un dettagliato quaderno di schizzi. Un grand tour che è l’inizio della sua formazione di architetto, mentre nel 1969 apre il suo studio di architettura a Osaka.
Agli esordi la maggior parte dei suoi lavori sono dedicati alla progettazione di case unifamiliari, come la Tomishima House a Osaka (1973), che successivamente ospiterà il suo atelier. Con i progetti per l’Azuma House a Sumiyoshi (1979) e la Koshino House a Ashiya-shi (1980) emerge uno dei tratti più importanti della filosofia compositiva dell’architetto giapponese, ovvero il trattamento dei setti murari, che trova la sua piena espressione nei successivi progetti religiosi. Le sue opere sono fortemente influenzate dal Movimento moderno, ma anche dal legame con l’architettura tradizionale giapponese, che conferisce una natura “artigianale”, nel senso più nobile, alle opere di Ando, soprattutto nella definizione dei dettagli. Ando guadagna fama internazionale negli anni ’80, quando firma una serie di progetti tra cui la Cappella del vento a Kobe (1986), la Cappella sull’acqua a Hokkaido (1988) e la Chiesa di luce a Ibaraki (1989). Non è un caso che queste tre opere siano dedicate ad elementi naturali come il vento, l’acqua e la luce. Ando ama fondere forme razionali e minimaliste con la presenza di elementi naturali che mettono così in risalto la forza delle sue geometrie pure. I progetti dell’architetto giapponese considerano quasi esclusivamente l’uso del cemento armato a vista unito all’uso del legno e della pietra; ma soprattutto la luce, che con Ando diventa vera e propria materia e parte attiva dell’architettura. L’aspetto meditativo delle sue architetture attira la nostra attenzione sulla “bellezza del silenzio” e sul potere della semplicità.
Numerose sono le sue opere in Europa e in America. Tra queste, la Pulitzer Arts Foundation a St. Louis (2001), il Padiglione del Giappone per l’Expo 1992 a Siviglia. A Venezia, il restauro e riallestimento di Palazzo Grassi (2006) e del suo Teatrino (2013), nonché il Centro per l’arte contemporanea a Punta della Dogana (2009), tutti commissionati dalla Fondazione François Pinault. Tra i progetti recenti, in attesa di inaugurazione, la Bourse de commerce a Parigi, il nuovo museo commissionato anche in questo caso da Pinault, che ne ospiterà la collezione d’arte.
Gli anni recenti hanno marcato cambiamenti molto rapidi, che l’attuale pandemia ha amplificato. Anche l’architettura e la progettazione subiranno probabilmente un’importante trasformazione. Ed è per questo che, nel suo anno da direttore di «Domus», Ando afferma che «Attraverso l’architettura e il design, vorrei offrire l’opportunità di pensare all’essenza della cultura umana, agli elementi che dovrebbero rimanere costanti mentre il mondo che ci circonda si evolve». Il primo numero da lui firmato uscirà a inizio gennaio, mentre a dicembre la rivista esce con un numero speciale curato da Fulvio Irace intitolato Recovering Italy, con una copertina d’autore firmata da Ugo La Pietra. Una riflessione sulla urgente necessità di cambiare, invertire rotte fallimentari, innovare. Il numero racconta una serie di esperienze e pratiche virtuose, tutte rigorosamente Made in Italy e costruite lentamente come conseguenza di atti razionali e visionari al tempo stesso, che ribadiscono la capacità del progetto di essere una soluzione e un’uscita di sicurezza per invertire la rotta.
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giappone , riviste
Last modified: 9 Dicembre 2020