La cerimonia di premiazione della XXVI edizione nell’edificio che, da dicembre 2020, ospiterà l’ADI Design Museum
MILANO. Dalla neobattezzata piazza del Compasso d’oro si accede alla gran navata del design, tempio laico del progetto a Milano, che rinasce nell’ex spazio industriale incastonato fra Porta Volta e il Cimitero monumentale, in quella che nell’Ottocento era zona periferica di servizio ed ora si ritrova praticamente in centro. Mezzi non convenzionali parcheggiati nell’ampio spazio interno di via Ceresio – una monoposto che sembra uscita da un racconto fantastico degli anni ’60, un catamarano portatile dall’aria un po’ buffa, ma che tutti vorremmo provare – e un discreto striscione rosso bastano per capire che il miracolo è avvenuto.
“Finalmente a casa!”, esclama il presidente della Fondazione ADI Umberto Cabini in uno degli interventi istituzionali più sentiti in una radiosa, non solo meteorologicamente, mattinata meneghina. Luciano Galimberti, presidente ADI da par suo pur emozionato, non si tira indietro e ribadisce: “mettere radici!” Questo il rimedio e l’atteggiamento per questi tempi non convenzionali. E il design tutto è indubbiamente pronto a radicarsi in questo nuovo luogo che si presenta accattivante e aperto alla città e ai suoi cittadini ansiosi di tornare alla consueta, produttiva, socialità.
Tutto ordinato, distanziato e calibrato: uno dei pochi effetti positivi del Covid-19 è la cura dimagrante imposta ai discorsi. Ciò che maggiormente colpisce è quello che non è scritto e neanche si dice: la soddisfazione di 200 persone, che avrebbero voluto essere 800, di ritrovarsi finalmente a guardarsi negli occhi non attraverso un monitor, la felicità di vedere una mostra fisica e non virtuale, la voglia di poter ristabilire quei rapporti sociali che a lungo ci sono stati negati. Tutto questo per festeggiare il valore aggiunto che siamo in grado, con il design, di portare alla nostra economia, come giustamente hanno ricordato i rappresentanti delle istituzioni cittadine, regionali e nazionali qui convenuti.
La cronaca è, ovviamente, quella del più importante e longevo premio di design italiano che, al temine di un processo biennale complesso e partecipato, assegna in questo 2020: 18 compassi d’oro a prodotti e progetti, 38 menzioni d’onore, 8 premi alla carriera nazionali più 3 internazionali, una targa a 3 giovani promesse e, novità assoluta, un premio alla carriera anche a 3 pezzi che anno segnato la nostra storia. Si tratta, per questi ultimi, di “Arco” dei fratelli Castiglioni, “Natalie” di Vico Magistretti, “Sacco” di Gatti-Paolini-Teodoro: una lampada, un letto e una poltrona che hanno costruito la fama di Flos, Flou e Zanotta assieme ad un pezzo dell’immaginario collettivo del paese.
La giuria, presieduta da Denis Santachiara, è non convenzionale – solo un designer “puro”, Jin Kuramoto – si è misurata con un parterre di progetti di tutto rispetto ed anzi di eccellenza, traendone scelte non scontate, ovviamente opinabili, ma proprio per questo preziose nel delineare segnali di nuove visioni quanto mai necessarie in questo momento di grandi cambiamenti. Perché questo è chiaramente il Compasso d’oro del pre-pandemia, di anni nei quali la grande crisi odierna non era neanche lontanamente prevedibile, ma già molti segnali di allarme erano percepibili. In questo senso il premio è ancor più importante: per tirare una riga all’oggi, fare un bilancio, ma già avere gli strumenti per guardare avanti, avendo chiare le direzioni di ricerca.
E questo non è che l’inizio per il nascente ADI Design Museum. Appuntamento a dicembre per l’apertura della struttura, non senza interessanti manifestazioni ad inizio autunno. In via Ceresio il cuore di Milano batte, ed è la forza del design a dare il segnale più forte per ripartire a progettare il futuro.
About Author
Tag
Milano , mostre , musei , premi
Last modified: 14 Settembre 2020