Anche la 17. Mostra internazionale di Architettura cede all’emergenza pandemica e slitta di un anno. Dure le reazioni a caldo in Laguna, mentre le voci del mondo dell’architettura leggono la decisione come sofferta ma necessaria
VENEZIA. È arrivato come un fulmine, sebbene non a ciel sereno (le avvisaglie del fortunale erano nell’aria da tempo), l’annuncio dello slittamento al 2021 della 17. Mostra internazionale di Architettura di Venezia, con conseguente salto al 2022 della Biennale Arte (diretta da Cecilia Alemani). Troppe incertezze per un evento a così alto tasso d’internazionalità, sulla concreta fattibilità degli allestimenti e, soprattutto, troppe le difficoltà da affrontare per le partecipazioni straniere. Fra queste la defezione dell’Australia e l’annuncio di una partecipazione esclusivamente online per la Russia, decisione quest’ultima in contrasto con la linea del neo presidente dell’istituzione Roberto Cicutto il quale, solo poche settimane fa, ci aveva dichiarato di escludere categoricamente alternative virtuali che avrebbero “snaturato la mission stessa della Biennale”. Forti le difficoltà anche da parte di Francia, Inghilterra, Germania, Stati Uniti per lo spostamento di curatori e movimentazione dei materiali. “Abbiamo creduto sino all’ultimo di poter aprire”, ribadisce l’ufficio stampa, ma su 63 Paesi forse se ne sarebbero confermati 15. Stesse difficoltà anche per gli invitati alla mostra principale dal titolo “How we will live togheter?”: sarebbe significato realizzarne il 30%.
Così, nel giorno della ripartenza (il 18 maggio), dopo aver per mesi sostenuto la coraggiosa scelta di mantenere salda la data del 29 agosto (riducendo da 6 a 3 i mesi di apertura) il presidente e il curatore Hashim Sarkis, in seguito alla riunione con i direttori dei Paesi partecipanti, hanno dato ascolto alla maggioranza che chiedeva il rinvio dell’edizione al 2021. Nessuna intenzione comunque di abbandonare il dibattito sul tema architettonico né l’interrogativo che incarna il titolo di quest’anno: la Biennale preannuncia un calendario d’incontri dedicati e un dialogo pluridisciplinare (coinvolgendo in una mostra al Padiglione Centrale direttori delle diverse aree, Alemani inclusa) che abiteranno anche Giardini e Arsenale da fine agosto ai mesi a seguire.
Tuttavia, nonostante restino confermate la 77. Mostra Internazionale d’arte cinematografica (2-12 settembre) con Teatro, Musica e Danza, inevitabili saranno gli effetti per il mondo della cultura lagunare, già messo in difficoltà dalle maree eccezionali di novembre e dicembre 2019 e poi sconvolto dalla pandemia. Nel 2019, la calendarizzazione delle principali proposte espositive di Venezia e Laguna contava ben 90 mostre (inclusi i 21 eventi collaterali) allineate alla data di apertura della Biennale Arte su una mappatura di 138 (tra maggio e novembre). Nel 2018, pur considerando la minor attrattività della mostra di Architettura, le proposte allineate o in prossimità dell’apertura erano circa 40 (13 collaterali inclusi) su una mappatura di 114.
Da anni l’appuntamento internazionale all’Arsenale e ai Giardini condiziona in maniera determinante l’offerta espositiva lagunare (con il relativo mercato dell’affitto degli spazi temporanei) e le eccezioni che anticipano, concentrando tra marzo e aprile, le inaugurazioni (è il caso di Palazzo Cini, Palazzo Grassi e Punta della Dogana, alcune mostre dei Musei Civici, Casa dei Tre Oci, Stanze del Vetro) tornano protagoniste nei giorni di prevernice e vernice.
In queste settimane quindi, mentre ancora si lavora alla riapertura di musei e istituzioni, molti già guardavano al 29 agosto come punto di riferimento per la riprogrammazione e la notizia non è stata positivamente accolta, soprattutto da chi aveva già confermato il proprio evento come collaterale ufficiale.
Mentre il primo cittadino Luigi Brugnaro (che tanto in questi mesi si è speso per denunciare la situazione emergenziale di Venezia e la necessità di un suo rilancio) preferisce non commentare lo slittamento, non ne trascura le ripercussioni il rettore dell’Università IUAV Alberto Ferlenga: «La Biennale è un ente fin troppo autonomo e spesso non tiene in considerazione le esigenze della città che così perde un’occasione. Come Ateneo abbiamo fatto un enorme sforzo per dare continuità all’attività culturale e didattica ricevendo, come di consueto, richieste per ospitare mostre presso le nostre sedi. Forse la Biennale avrebbe potuto immaginare un’attività sostitutiva, più contenuta (anche se non nel fasto delle precedenti edizioni), magari sfruttando il tema scelto e coincidente a quanto stiamo vivendo. Si sarebbe potuto sfruttare questo momento di pausa forzata anche per un ripensamento (forse ormai necessario) contenutistico e degli spazi allestitivi che segue la scia di un gigantismo derivante dalla Biennale d’Arte. Il rischio delle ultime edizioni è che alla fine dicano tutte la stessa cosa, aderendo a titoli generici e lasciando prevalere l’aspetto più fieristico in cui è facile perdere il segno».
Per Fulvio Irace il rinvio al 2021 è decisione sofferta ma necessaria: «In questo malefico anno bisestile, dopo il definitivo tramonto del Salone del Mobile non nutrivo grandi speranze sulla Biennale. Essa è sempre stato un luogo di sintesi, incontri, scambi una finestra di sguardi. La Biennale come altre grandi mostre sono state concepite in una dimensione in cui la folla, la presenza (anche in maniera ossessiva) erano uno dei paradigmi. Se non la puoi fare in quelle condizioni è meglio non farla». Anche per Irace questo singolare momento induce a «Chiederci se cambiare o meno il format delle mostre. I curatori della nuova Biennale forse dovranno ripensare la formula espositiva. Dobbiamo riconsiderare profondamente il concetto stesso della collettività: abbiamo creduto e crediamo che la dimensione dello spazio fisico sia la dimensione propria dell’architettura e della città. Tolto questo, cosa ci rimane? Tutto ciò ci costringe anche a ripensare l’uso dello spazio reale e l’uso dello spazio digitale (che sto sperimentando nella serie d’incontri “Women at work” per Cersaie): uno strumento emergenziale ma non sostitutivo».
Luca Molinari riconosce il grande ruolo giocato della kermesse nella città lagunare ma ricorda che questa edizione avrebbe comunque comportato una drastica riduzione di afflusso di pubblico e d’indotto: «In questa situazione ritengo un’azione intelligente quella anticipata da Sarkis: usare l’autunno come momento di riflessione critica pubblica con incontri che avvicinino alla Biennale. Il titolo, tra l’altro, è perfetto. Si tratta di un’occasione per l’istituzione, di diventare una piattaforma programmatica, uno straordinario workshop, un percorso di ricerca e approfondimento che spesso in alcune Biennali manca. Nel male e nel dispiacere che Venezia perda turisti e attenzione penso che tra un anno, dopo un tempo di sedimentazione significativa, potrebbe concretizzarsi un’edizione bellissima. Mostre come questa, considerata anche l’urgenza e l’emergenza del tema, devono avere l’ambizione di produrre contenuti al di là della semplice showcase di grandi architetti».
Anche per Luigi Prestinenza Puglisi il salto al 2021 è stata una scelta giusta: «Si sarebbe corso il rischio di fare una Biennale dimezzata». In alternativa, però, Puglisi immagina qualcosa di ben più ampio degli incontri preannunciati a settembre: un intero anno di preparazione (da inaugurarsi il 29 agosto) con eventi, incontri e iniziative occupando gli spazi solitamente allestiti di Arsenale e Giardini: «Un work in progress fluido che rivoluzionerebbe così definitivamente il concept. Una sorta di pre-Biennale lunga 8 mesi che trasformi il guaio in opportunità».
Immagine di copertina: Corderie dell’Arsenale, Venezia (© Giulio Squillacciotti – Courtesy La Biennale)
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Last modified: 27 Maggio 2020