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L’Italia che non ci sta: cronache di un paese che resiste

L’Italia che non ci sta: cronache di un paese che resiste

Tra paesaggi in pericolo e borghi rinati, viaggio alla ricerca di casi virtuosi nelle aree interne

In un periodo storico di globale ripensamento sul senso stesso del patrimonio architettonico e paesaggistico, sono sempre più numerosi i viaggi sulle tracce di casi esemplari e innovativi di “resistenza” e di recupero. E i libri che li raccontano. Due di questi condividono approccio e tema, tanto profondo quanto politicamente corretto. L’obiettivo di Francesco Erbani (giornalista specializzato in paesaggio e patrimonio) e di Carlo Berizzi e Lucia Rocchelli (architetti e docenti) si focalizza infatti su luoghi marginali e aree interne, tratteggiando un’Italia “che non ci sta” (come nel titolo del libro Einaudi), così lontana da città e metropoli. Un paese multiforme, composto dalla somma di tanti piccoli esempi positivi in cui il riscatto sembra passare dalla riscoperta di paesaggi abbandonati.

Il viaggio del cronista de “la Repubblica” tocca 14 luoghi di questo “paese diverso”, le cui storie sono strutturate in 5 capitoli. Non ci sono immagini, ma agili racconti giornalistici in cui sono i testimoni diretti, gli attori in prima linea sul territorio, a parlare tenendo sempre al centro – nonostante questo non sia un testo disciplinare, ma generalista – le materie. «Il viaggio si nutre delle storie concrete delle persone e degli spazi in cui esse agiscono, storie individuali, più spesso collettive, di relazioni con l’ambiente, di interlocuzione e di conflitti». Erbani ci conduce dai terrazzamenti agricoli della Costiera Amalfitana ai boschi emiliani di Succiso, dal sorprendente sottosuolo del Rione Sanità a Napoli al recupero inaspettato di alcune vigne venete, non lontane dalle ville palladiane. Sono frammenti di paesaggi, ordinariamente straordinari, che diventano da una parte l’occasione, dall’altra l’esito, d’intensi processi di recupero. Perché ogni idea di sviluppo possibile, scrive Erbani, passa da un «trinomio fatto di conoscenza, tutela e messa a valore». Emerge innanzitutto un quadro in cui sono molte le componenti che contribuiscono a ridefinire il tema contemporaneo del bene comune: «La letteratura va arricchendosi e le bibliografie spaziano dalla sociologia all’antropologia e alle diverse discipline del territorio, si animano di narrativa, investono le scienze dure come l’economia, arrivano persino a informare i documenti di fonte istituzionale, ispirano politiche ancora ferme alle intenzioni». In questa visione trasversale di buone pratiche e buoni sentimenti, l’architettura pare poter essere il punto di contatto tra passato, presente e futuro. Nelle storie di Erbani, sono spesso gli architetti (o urbanisti o paesaggisti locali) a raccontare i luoghi. E non mancano nemmeno alcune storie eroiche dell’architettura italiana: dal Monastero di San Nicolò a Catania di Giancarlo De Carlo al Leonardo Benevolo impegnato nel Progetto Abruzzo di Adriano Olivetti. Ma non è mai un’architettura sola e fine a se stessa, è invece sempre a sostegno di «un’Italia in movimento, che applica precetti di sobrietà e di ostinazione, che crede nella dignità del lavoro, che si batte contro il suo sfruttamento e ritiene che esso, oltre a fornire compensi economici, induca un cambio di passo nella propria vita, apra inedite prospettive e poi svolga un servizio di cui beneficia una collettività più vasta, di cui si avvantaggiano un luogo e un territorio. Che contenga un elevato tono di civismo». Il Bel Paese di Erbani è anche capace d’innovarsi, partendo proprio dai suoi luoghi come emblema di un cambiamento necessario: «Un’Italia che resiste, si dà da fare, e che va sperimentando nuove forme comunitarie, nuovi lavori, nuovi sistemi cooperativi, nuovi modi di abitare, nuove relazioni con il territorio, un nuovo ambientalismo, nuove virtù civiche, reagendo così alla crisi e al riproporsi, nonostante le smentite della storia, di smaglianti modelli economici, di comportamenti individuali e collettivi, di valori ispirati al consumo e non alla dissipazione».

L’abbandono dei borghi antichi e le possibili strategie per il loro recupero da alcuni anni sono al centro di dibattiti, iniziative e proposte che coinvolgono trasversalmente molte discipline, non solo del progetto e della pianificazione del territorio. La pubblicazione curata da Carlo Berizzi e Lucia Rocchelli si focalizza principalmente su quanto è avvenuto nel territorio italiano, anche se non mancano sguardi internazionali, e propone una lettura trasversale di carattere divulgativo. I saggi introduttivi inquadrano la problematica in generale e tracciano lo stato dell’arte: l’approfondimento di Paola Pierotti rende conto, in particolare, della recente attenzione dedicata a queste delicate parti di territorio. Sono brevemente ripercorsi i passi fondamentali di studi, progetti e programmi strategici che si sono occupati nell’ultimo decennio di fare emergere le aree interne, dimenticate sebbene depositarie di valori storici, culturali o paesaggistici. Il mosaico si compone di tasselli quali la Strategia nazionale delle aree interne (SNAI), voluta dalla Presidenza del Consiglio nel 2013; il progetto interregionale “Borghi, viaggio italiano” e il Piano strategico di sviluppo del turismo (2017-22); l’iniziativa legislativa del DDL “salva borghi” (2017); il rapporto Coldiretti-Symbola dedicato ai piccoli comuni e alle loro tipicità (2018); la mostra/ricerca ”Arcipelago Italia” (2018) curata da Mario Cucinella nel Padiglione Italia della 16. Biennale di Architettura di Venezia; gli studi multidisciplinari raccolti nel testo Riabitare l’Italia curato da Antonio De Rossi; la nascita degli alberghi diffusi grazie alla felice intuizione di Giancarlo dall’Ara; le iniziative sperimentali per la rinascita di borghi avviate in autonomia da amministratori di comuni italiani (dal noto caso di Salemi al meglio riuscito esempio di Gangi). La parte più consistente del libro contiene un repertorio di 27 best practices ordinate in 6 categorie: ospitalità, produzione, cultura, riconnotazione, conservazione, cooperazione. I paragrafi sono avari di dati tecnici, informazioni e materiali progettuali, mentre viene dato spazio alle fotografie delle realizzazioni che sono accompagnate, in tre casi, da testimonianze di chi è stato coinvolto nei processi di recupero a vario titolo. Non mancano ovviamente i must italiani, ben noti alle cronache, come l’albergo diffuso di Santo Stefano di Sessanio (L’Aquila), il centro culturale “Lou Pourtoun” a Ostana (Cuneo) e la Casa Cava nei Sassi di Matera. La chiusura è dedicata a un’intervista a Cucinella che tocca aspetti coinvolti nella questione del recupero di borghi e territori interni. Partendo dall’esperienza di “Arcipelago Italia”, la conversazione vira su argomenti come il modello alternativo dei piccoli insediamenti in contrapposizione alle città metropolitane; i sistemi di reti territoriali come opportunità di riattivare le realtà insediative oggi presenti; le strategie possibili per fronteggiare diseguaglianze sociali e favorire il ritorno alla piccola dimensione dell’abitare, fino ad arrivare alle politiche d’investimento per il recupero delle borgate.

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L’Italia che non ci sta. Viaggio in un paese diverso, di Francesco Erbani, Einaudi, 2019, 166 pagine, € 16,50

 

 

 

 

 

 

 

Borghi Rinati. Paesaggi abbandonati e interventi di rigenerazione, di Carlo Berizzi e Lucia Rocchelli, Il Poligrafo, 2019, 208 pagine, € 35

 

 

 

 

 

 

Autore

  • Marco Adriano Perletti e Michele Roda

    Marco Adriano Perletti, architetto e PhD, svolge attività professionale occupandosi di progettazione architettonica e paesaggistica, pianificazione urbanistica e valutazione ambientale strategica. Ha svolto attività didattica al Politecnico di Milano, partecipando a programmi di ricerca. Collabora con «il Corriere della Sera» e ha pubblicato: «Nel riquadro dei finestrini. L'architettura urbana nello spazio cinetico» (Milano 2005); «Novara. Sebastiano Vassalli tra città e paesaggio globale» (Milano 2008); con A. Femia e M. Paternostro, «1 e 3 Torri. Palazzo MSC a Genova» (Parigi 2017); «Architettura come Amicizia. Conversazioni con Mario Botta, Aurelio Galfetti, Luigi Snozzi, Livio Vacchini» (Brescia 2018); "Costruire sostenibile con la canapa. Guida all’uso in edilizia di un materiale naturale e innovativo" (Santarcangelo di Romagna, 2020). Michele Roda, nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale.

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Last modified: 23 Marzo 2020