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Francesca PetrettoWritten by: Reviews

The Playground Project. Architetture per bambini

The Playground Project. Architetture per bambini
Il parco giochi come laboratorio urbano: visita alla mostra al Deutsches Architekturmuseum di Francoforte sul Meno

 

FRANCOFORTE SUL MENO (GERMANIA). Quando, come e perché è nato il parco giochi? E come è cambiata la sua architettura nel tempo? La coinvolgente mostra «The Playground Project», della politologa e urbanista svizzera Gabriela Burkhalter, prodotta dalla Kunsthalle Zurigo e riallestita al Deutsches Architekturmuseum ci catapulta in un favoloso mondo di modelli, esperimenti, studi, diagrammi di giochi e colori che fan venir voglia di tornare almeno per un giorno bambini.

La copertina di un Manuale tascabile di giochi dall’inconfondibile grafica anni ’70, porta per sottotitolo Mentre i genitori giocano i bambini imparano: non doveva essere il contrario? Potrebbe essere il motto di questa mostra che narra di un Movimento, (ri)nato nel secondo dopoguerra, di architetti-artisti-urbanisti che hanno messo la propria creatività al servizio dei bambini, progettando luoghi pubblici urbani a loro esclusivamente dedicati. L’alleanza di pedagogia, sociologia ed architettura ha portato molti giovani professionisti a vedere nella progettazione dei parchi giochi il non plus ultra del laboratorio sperimentale, per imparare giocando, per osare, per mettersi al servizio di chi fino ad allora nella progettazione delle città era stato dimenticato.

Un enorme serpentone-tubo giallo, rosso e arancione – il «Lozziwurm» (1972) dell’artista svizzero Yvan Pestalozzi – troneggia nello spazio centrale a tutt’altezza del museo: non è solo una scultura/installazione per la mostra ma anche un mega-giocattolo che i bambini in visita (moltissimi!) sono invitati ad attraversare e scoprire in tutti i suoi possibili percorsi ed affacci. Tutt’intorno corre lungo le pareti di uno spazio molto articolato un ricchissimo apparato documentario, organizzato cronologicamente, di tavole di dettagliati esempi di progetti, con foto e disegni, testi di teorie e video e studi di architette/i da sempre coinvolti nel ramo della progettazione degli spazi urbani per bambini. Altri modellini, in nicchie e angoli con prototipi di giochi, da altalene a dondoli a sculture astratte simil-ginniche, gradinate con libri e albi da colorare, proiettano in un universo ricchissimo fatto di fantasia mista a scienze motorie, urbane e pedagogiche.

La narrazione si snoda attraverso quattro capitoli principali che ne raccolgono cronologicamente i momenti clou dal 1900 a oggi, con all’interno singoli approfondimenti per alcuni esempi chiave sparsi nel mondo. Si inizia col racconto della preistoria del Movimento, quando a metà Ottocento la crescente industrializzazione che in Germania, Gran Bretagna e Nord America porta sempre più il verde fuori città, convince privati e filantropi a cercarvi un possibile rimpiazzo nella realizzazione delle prime aree giochi delimitate e su sabbia. La cultura del gioco urbano si sviluppa rapidamente, culminando nel 1910 nella costruzione di avventurose, alte strutture in legno. Segue poi un lungo periodo di buio, fino al 1948 circa, quando artisti, architetti e attivisti iniziano lentamente a riscoprire nella progettazione dei parchi giochi il vero laboratorio della rinascita capace di coniugare fantasia, bisogni, estetica e sicurezza. I piccoli recinti sabbiosi diventano «campi per l’avventura» (Spielplatz – Abenteuerplatz), spesso autogestiti dai piccoli fruitori che possono modificarli da sé con attrezzi e materiali base messi loro a disposizione. I parchi giochi guadagnano sempre più spazi nella città che cresce e rinasce. Il desiderio di un nuovo senso di casa negli anni ’50, le riforme sociali nei ’60, il sogno di conquistare il futuro e lo spazio nei ’70: sono le tendenze socio-politiche, artistiche, estetico-letterarie a influenzare formalmente, stilisticamente e pedagogicamente la loro progettazione. Poi l’inevitabile declino degli anni ’80, il consumismo, la vita sedentaria, le paranoie, la sicurezza: col venir meno delle ultime utopie del mondo adulto, il bambino inizia ad essere percepito come consumatore, paradossalmente vittima dell’era del benessere e di uno nuovo status quo che poco spazio lascia al divertimento spensierato e alla creatività. La nuova parola d’ordine è «standardizzazione»; il parco giochi diventa una camera standard iper-controllata, talvolta determinata persino da assurde questioni di genere. Sono le aziende a fare il mercato, con la produzione di prodotti standardizzati atti a soddisfare severi requisiti di sicurezza e standard normativi. La perdita è irrecuperabile, anche se negli ultimi anni è risorto, soprattutto nei Paesi del Nord Europa, un nuovo un senso di ottimismo che pareva perduto. I giovani architetti cercano risposte a domande come: In che modo i bambini possono aiutare a modellare l’ambiente circostante? Dove può sorgere lo spazio libero per i bambini nella nostra città densa?

Riportando il pensiero della curatrice: «Esiste uno spazio pubblico urbano in cui l’imprevedibilità e un’idea di caos pacifico sono ancora possibili? Dopo aver studiato la sua storia per circa dieci anni, direi sicuramente “Sì”: il parco giochi!».

«THE PLAYGROUND PROJECT. Architettura per bambini»

Deutsches Architekturmuseum (DAM) – Francoforte sul Meno
Fino al 21 giugno 2020
Da un progetto di studio di Gabriela Burkhalter
Curatori a Francoforte: Christina Budde, Jonas Malzahn
Design e allestimento: Deserve Wiesbaden (Mario Lorenz, Katrin Mueller, Laura Risse)

Autore

  • Francesca Petretto

    Nata ad Alghero (1974), dopo la maturità classica conseguita a Sassari si è laureata all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Ha sempre affiancato agli aspetti più tecnici della professione la passione per le humanae litterae, prediligendo la ricerca storica e delle fonti e specializzandosi in interventi di conservazione di monumenti antichi e infine storia dell'architettura. Vive a Berlino, dove esegue attività di ricerca storica in ambito artistico-architettonico e lavora in giro per la Germania come autrice, giornalista freelance e curatrice. Scrive inoltre per alcune riviste di architettura e arte italiane e straniere

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Last modified: 11 Marzo 2020