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Francesca FavaroWritten by: Patrimonio

Art Bonus, bilancio parziale ma positivo

Art Bonus, bilancio parziale ma positivo

A sei anni dall’introduzione il punto sulle donazioni, sull’efficacia dello strumento e sui principali interventi a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano

 

In un comunicato dell’1 febbraio 2020, il ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini ha reso noto l’incoraggiante bilancio dell’Art Bonus, a sei anni dalla sua introduzione: 14.237 mecenati, 3.538 erogazioni liberali, per un totale di più di 435 milioni donati, con una distribuzione geografica fortemente polarizzata, che vede la Lombardia nettamente al primo posto (175.073.257 euro), seguita da Piemonte e Veneto con erogazioni comprese tra 50 e 60 milioni, mentre in Sicilia e Calabria, come nelle regioni meno estese Molise, Basilicata e Valle D’Aosta, le donazioni non hanno al momento superato il milione di euro.

I promettenti numeri dell’Art Bonus, con le informazioni sulle operazioni in corso, in costante aggiornamento, sono pubblicati sul portale dedicato on-line. Questa piattaforma aperta, oltre a fornire un’utile mappa del patrimonio culturale pubblico oggetto d’intervento dal 2014, integrabile anche dai potenziali mecenati con segnalazioni e nuove proposte, costituisce un osservatorio privilegiato, su scala nazionale, della distribuzione delle emergenze del patrimonio culturale pubblico in stato più o meno critico, e, in senso più ampio, dei valori in queste riconosciute da parte dei soggetti proponenti e finanziatori.

Ma facciamo un passo indietro. Introdotto allo scopo d’incentivare il mecenatismo culturale, con la Legge n. 106 del 29/07/2014, dallo stesso Franceschini nella sua precedente legislatura, l’Art Bonus prevede una deducibilità del 65%, nell’arco di tre anni, delle donazioni in denaro effettuate “per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici” e “per il sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica” (art.1, comma 1), riconosciuta alle “persone fisiche e agli enti non commerciali nei limiti del 15% del reddito imponibile” e ai “soggetti titolari di reddito d’impresa nei limiti del 5 per mille dei ricavi annui” (art.1, comma 2).

Recentemente, una rinnovata attenzione mediatica è stata rivolta a tale misura, in seguito all’estensione dell’applicazione a interventi di restauro e manutenzione al patrimonio ecclesiastico (“beni culturali d’interesse religioso”), non necessariamente di proprietà pubblica, nei comuni di Venezia e Matera, a fronte dei danni causati dalle alluvioni dell’autunno 2019 (con decreto-legge 24 ottobre 2019 n. 123, convertito nella legge 12 dicembre 2019).

La ridiscussione delle limitazioni poste a un’agevolazione fiscale che si sta rivelando piuttosto efficace, in risposta a circostanze eccezionali ed emergenziali, potrebbe mostrare l’opportunità di estendere il bacino dei beni culturali a cui la misura può essere rivolta. L’esclusione del patrimonio culturale di proprietà privata (o ecclesiastica) è infatti in parte discutibile: seppur motivata da esigenze di controllo, non è tanto la titolarità del bene a dover costituire la conditio sine qua non dell’applicazione della norma, quanto la sua rilevanza e le caratteristiche della sua fruizione, perlomeno prevista, che dovrebbero essere di natura pubblica. Del resto, il tema dell’«appartenenza pubblica» del bene culturale è già stato oggetto di discussione, conclusasi con una risoluzione dell’Agenzia delle entrate (n. 136/E del 7 novembre 2017) che, effettivamente, dilata tale requisito nel caso del verificarsi di condizioni specifiche, costituendo un precedente importante.

Da una rassegna degli interventi in corso, compresi quelli rivolti a “beni di interesse religioso”, che non mancano (per esempio sono inclusi nella lista la chiesa torinese di San Francesco da Paola, affidata alla parrocchia ma di proprietà del demanio statale, o il complesso fiorentino di Santa Croce di proprietà del Fondo edifici di culto del Ministero dell’Interno), il regime proprietario risulta piuttosto eterogeneo: Mibact ed enti territoriali (regioni, comuni e province), ma anche soggetti affidatari e concessionari quali fondazioni e associazioni si “contendono”, almeno per ora, i finanziamenti per i beni censiti, segnalando la trasversalità delle esigenze di cura, valorizzazione e riuso del patrimonio culturale su tutto il territorio nazionale.

La parziale modifica apportata a tale strumento e la riconsiderazione del perimetro del suo campo di azione, anche in virtù dei risultati registrati, invitano a interrogarsi sulla composizione attuale del patrimonio culturale che ne beneficia e della relativa platea di mecenati, ma anche a riflettere sulle condizioni e le possibili ragioni della sua efficacia. Naturalmente, che questa si misuri principalmente su cantieri di rilevanza perlomeno sovra-regionale non stupisce. Del resto, sebbene l’Art bonus si configuri come alternativa rispetto alla (spesso avversata) pratica della sponsorizzazione, la parziale pubblicazione, dietro liberatoria, dei nominativi dei mecenati, rivela uno scenario piuttosto prevedibile in cui fondazioni, banche e imprese, più o meno note, sono protagoniste. Tale composizione dei donatori favorisce di certo l’addensarsi delle erogazioni nei confronti di casi dal valore anche simbolico – come l’arena di Verona – o di catalizzatori di processi a lungo termine e potenzialmente remunerativi, come nel caso cremonese (vedi sotto). Da non sottovalutare è anche il valore identitario del bene che, ad esempio nel caso dell’ex centro Caimi (vedi sotto), attrae donazioni, anche modeste, da parte di una cittadinanza attiva che rivendica la fruizione di uno spazio sottratto all’uso pubblico.

 

La rassegna degli interventi

Escludendo gli interventi che rientrano nella “tipologia B” (751) (relativi al “sostegno a istituiti e luoghi della cultura pubblici, fondazioni lirico sinfoniche, teatri di tradizione e altri enti dello spettacolo”), sono 1.510 quelli che prevedono operazioni materiali di “manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici” (tipologia A) e 51 quelli di “realizzazione, restauro e potenziamento di strutture di enti e istituzioni pubbliche dello spettacolo” (tipologia C). Le operazioni di tipo “A”, ancora in corso o già concluse, riguardano beni mobili e immobili su tutto il territorio italiano e vanno dal restauro di una mappa in pergamena risalente al XIV secolo, conservata nel Comune di Jesi, che ha raccolto 170,80 euro, alla seconda fase della rifunzionalizzazione del Palazzo dell’Accademia delle Scienze a Torino (immagine a fianco), per cui sono stati donati 9.735.919,80 euro.

Accanto a interventi di restauro minuti su manufatti, materiale archivistico e librario (si raccolgono per esempio fondi per la “spolveratura” della collezione libraria della Biblioteca medicea laurenziana di Firenze e per il restauro dell’edizione commentata da Daniele Barbaro dei Dieci libri dell’architettura di Vitruvio, conservata nella Biblioteca marciana di Venezia), una parte consistente riguarda il patrimonio architettonico, con iniziative più circoscritte (riguardanti ad esempio gli affreschi cinquecenteschi della casa del Petrarca ad Arquà, nel Padovano, o il restauro delle superfici in marmorino della fascia inferiore della sala del Teatro comunale di Gubbio) e interventi più sostanziali su beni immobili della più varia rilevanza storico-culturale (dalla cappella degli Scrovegni a Padova, al campanile di Roppolo, nel Biellese), anche alla scala micro-urbana (in area toscana è stato finanziato “un insieme organico di restauri” esteso a piazzale Michelangelo a Firenze ed è tuttora aperta la raccolta fondi per il progetto di adeguamento della cinta muraria di Lucca ad utenti con disabilità visiva).

Tra le operazioni che hanno intercettato maggiormente l’interesse dei mecenati, oltre al già citato Palazzo dell’Accademia delle Scienze a Torino, si segnalano quelle riguardanti l’arena di Verona (9 milioni donati), l’ex centro balneare Caimi a Milano (8.431.177 euro e finanziamento in corso; nell’immagine di copertina) e l’ex monastero di Santa Monica a Cremona (circa 8 milioni e finanziamento in corso del secondo lotto dei lavori). E se, nel caso dell’Arena, il finanziamento era finalizzato a “interventi per la conservazione, valorizzazione e fruizione dell’anfiteatro romano”, il restauro del complesso cremonese, in cui si stratificano costruzioni dal XV al XX secolo, è parte di un più radicale progetto di rifunzionalizzazione, con contestuale apertura della nuova sede dell’Università Cattolica del Sacro cuore, mentre per l’ex centro Caimi, di proprietà comunale, realizzato negli anni ’30 del Novecento, prosegue una riqualificazione iniziata nel 2013 e volta alla restituzione pubblica di un bene abbandonato nel 2007. Per quanto riguarda le erogazioni, risultano totalmente appannaggio d’imprese quelle per l’ex monastero e per l’arena (Unicredit e Fondazione Cariverona), mentre a Milano sono significativamente in larga parte effettuate da persone fisiche.

Autore

  • Francesca Favaro

    Laureata in architettura presso il Politecnico di Torino, dove consegue nel 2021 il dottorato di ricerca in “Architettura. Storia e Progetto” e ora è assegnista di ricerca. Studia l’architettura e la professione di architetto nel Settecento. È interessata ai temi connessi alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio architettonico e artistico

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Last modified: 9 Marzo 2020