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La Vienna Rossa, cent’anni dopo

La Vienna Rossa, cent’anni dopo

Una mostra al Wien Museum rilegge l’epopea dei 15 anni di socialdemocrazia con la costruzione degli Hof, i mitici insediamenti abitativi per il proletariato

 

VIENNA. I fatti sono noti: l’epoca passata alla storia anche dell’architettura come “Vienna Rossa” produsse oltre 64.000 appartamenti di edilizia popolare tra il 1919 e il 1934. Un piano imponente, che doveva arginare l’emergenza abitativa: all’inizio del primo dopoguerra, il 95% delle dimore non aveva acqua corrente e per il 92% i gabinetti erano condivisi sui pianerottoli.

Il progetto edilizio della “Vienna Rossa” fu tuttavia parte integrante di un movimento assai più ampio, volto a creare “l’uomo nuovo” e a promuovere la crescita sociale e culturale degli strati meno abbienti della popolazione. Il substrato fu squisitamente politico e trasse beneficio sia dalla vittoria della socialdemocrazia viennese con il 54,2% alle elezioni amministrative del 4 maggio 1919, sia dall’ascesa nel 1920 di Vienna anche a capoluogo di Land, con autonomie pure di tipo fiscale, che produssero un sistema di tassazione progressiva e una tassa sul lusso, con entrate convogliate in particolare in opere di carattere sociale: «Gli ambulatori odontoiatrici vengono finanziati con le imposte sulle 4 maggiori pasticcerie cittadine. Quelle sull’Hotel Sacher e gli altri grandi hotel coprono i costi dei medici scolastici e delle piscine pubbliche. Quelle sui bordelli coprono i costi dell’unità di ostetricia pubblica».

Esimie personalità di tutti i campi culturali, artistici e scientifici sostennero il progetto politico e fornirono impulsi importanti alla visione di una società più equa e più serena, con un’amministrazione pubblica fortemente presente nel campo dell’istruzione, della sanità, delle politiche sociali e abitative, della cultura: «L’edilizia deve offrire un tetto sicuro, ma anche promuovere la salute fisica e spirituale, e il progresso culturale della popolazione», si leggeva in un opuscolo destinato ai nuovi affittuari. Così come la Ringstrasse aveva promosso la borghesia, allo stesso modo la nuova edilizia popolare mise al centro il proletariato.

L’icona di quel periodo, e massima espressione degli ideali che permearono il primo dopoguerra, resta il Karl-Marx-Hof firmato da Karl Ehn. Il gigantesco edificio nel 19° distretto, con un fronte di 1.100 metri e 1.382 appartamenti, non fu il primo, essendo stato inaugurato nel 1933 dopo 7 anni di lavori, ma divenne il simbolo del desiderio di fornire alla classe operaia piccoli ma efficienti appartamenti ad affitto contenuto, inseriti in un complesso quasi autarchico. Il Karl-Marx-Hof era provvisto di due lavanderie, due bagni pubblici, due scuole materne, un poliambulatorio medico e uno odontoiatrico, una farmacia, un centro di consulenza per donne in gravidanza, una biblioteca, un centro giovanile, un ufficio postale, 25 negozi, ed era dotato di un’immensa corte centrale verde, pensata come luogo di aggregazione e svago, con aree giochi. Solo il 18% dell’area di 156.027 mq venne edificata: fino al periodo della Vienna Rossa, la percentuale consentita raggiungeva l’85% dei lotti a disposizione. Il nuovo motto era: “luce, aria e sole”.

Il primo Hof fu iniziato nel 1919, nel 5° distretto. Gli architetti Robert Kalesa e Hubert Gessner, posero con il Metzleinstalerhof le basi per l’idea di una sorta di fortezza con accessi ad una corte centrale, unità abitative già fornite di cucina arredata, tante finestre, ancorché piccole, servizi e spazi comuni disegnati con cura. Dopo quell’Hof ne seguirono altri 380, di cui 24 monumentali, concepiti da 199 architetti. Dietro molti di essi, gli insegnamenti del deus ex machina Otto Wagner.

A cent’anni di distanza dall’inizio di quell’avventura, il Wien Museum dedica alla Vienna Rossa una mostra che resterà aperta fino al 19 gennaio 2020 e propone documenti e modelli, materiali fotografici e video. L’intento dei curatori Werner Michael Schwarz, Elke Wikidal e Georg Spitaler è esplicitamente quello di «indagare da un lato le specifiche precondizioni di quell’epoca e dall’altro gli effetti a lungo termine sulla struttura urbanistica e architettonica della capitale austriaca, nonché i rapporti con amministratori pubblici e governanti in quei 15 anni di politica comunale».

In seguito alla crisi del 1929 e con l’avvento dell’austrofascismo, i trasferimenti fiscali tra stato e regioni cambiarono radicalmente. Vienna non poté più imporre tasse. Terminò così il sogno edilizio portato avanti per 15 anni. Permase ancora il sogno proletario: nei violenti disordini del febbraio 1934 il Karl-Marx-Hof fu uno dei centri della resistenza all’austrofascismo.

 

«Das Rote Wien. 1919 bis 1934» 
Wien Museum MUSA, Felderstrasse 6-8, Vienna
Fino al 19 gennaio 2020
wienmuseum.at

Catalogo Das Rote Wien. 1919 bis 1934. Ideen, Debatten, Praxis
Birkhäuser Verlag, 456 pp, € 39

Autore

  • Flavia Foradini

    Giornalista e autrice per carta stampata e radio, si occupa da oltre trent’anni in particolare di area germanofona e anglofona, ma segue anche temi globali. Scrive per numerosi editori italiani ed esteri, tra cui Il Sole 24 Ore, il gruppo Allemandi, il gruppo Espresso-Repubblica, la RSI (Radiotelevisione della Svizzera Italiana, per cui realizza approfondimenti e audiodocumentari). Ha collaborato con il Piccolo Teatro di Milano e insegnato alla Kunstuniversität di Graz. Ha curato e/o tradotto numerose opere di e sul teatro, e saggi storici. Si è occupata approfonditamente fra l'altro di architettura nazista, in particolare del sistema delle torri della contraerea, su cui ha scritto, tenuto conferenze, e realizzato mostre (con fotografie di Edoardo Conte). Osserva dagli anni '80 gli sviluppi urbanistici e architettonici di Vienna

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Last modified: 4 Settembre 2019