Dialogo con il fondatore dello studio Corvino + Multari in occasione di una conferenza presso l’Ordine degli Architetti di Bergamo
Corvino + Multari
Nel 1995 hai fondato insieme a Giovanni Multari [a destra nella foto di copertina; ndr] il vostro studio associato. A distanza di più di vent’anni dagli esordi come si è evoluto il vostro modo di fare architettura e quali sono invece i punti fermi che, ancora oggi, segnano il vostro modo di progettare?
Il 10 maggio il nostro sodalizio ha compiuto 24 anni. Un viaggio di condivisione e confronto che alimenta da sempre il nostro lavoro. Progetti e costruzioni che oggi come allora si riconoscono in un metodo non inteso come un assioma precostituito, ma come un luogo di curiosità e desiderio di conoscenza per dare risposte alla domanda della committenza. Le occasioni contemporanee risentono di questa appartenenza culturale e cercano sempre l’ascolto delle istanze materiali e immateriali che provengono dalla città di riferimento consapevoli che oggi, sempre di più, il progetto indaga contesti che mutano rapidamente e che le opere devono resistere ed adattarsi ai cambiamenti che la società contemporanea richiede.
Città
“The city as a client” è il titolo della conferenza che hai tenuto a Bergamo il 10 maggio scorso. Con questo “slogan” hai voluto rendere omaggio alla città, ossia al tuo ideale “Maestro di riferimento”, da sempre la tua inesauribile fonte d’insegnamento, conoscenza e ispirazione. In che modo i vostri progetti attingono alla lezione perpetua della città e quali sono i valori urbani che, più d’altri, dovrebbero essere sempre presenti nella pratica dell’architetto?
Le città sono i veri clienti del nostro lavoro. Sono i luoghi che continuano ad incuriosirci, che alimentano la passione e l’ostinazione per il nostro mestiere. La loro storia e lo stratificarsi di significati e forme urbane rappresentano le premesse imprescindibili del nostro lavoro che cerca risposte per disegnare forme e composizioni che comprendono i luoghi di riferimento facendo emergere specifici valori, specifiche attese. Con queste premesse il progetto di architettura lavora ad un confronto con la memoria, con le condizioni urbane ed ambientali, immaginando come invariante il ruolo dello spazio pubblico.
Napoli
La vostra città è il luogo in cui siete cresciuti e vi siete formati. È una città complessa e dalle radici antiche in cui confluiscono e si stratificano contaminazioni ed influssi diversi. Quanto influisce, nel vostro mestiere di architetti, lo spirito e la cultura partenopea?
Napoli è stata definita una “città mondo”. È, infatti, un insieme di tante città e la fortuna di nascerci, o di esserne adottati nel tempo, si rivela un’opportunità, in particolare per un architetto o comunque per chi desidera capire le ragioni più profonde del rapporto tra città e comunità di riferimento. Certamente sento molto questo legame che non vivo come un limite ma come un’opportunità, per capire anche altre realtà grazie al fatto che sono educato da Napoli alla complessità, alle contaminazioni e alle differenze delle culture, dei colori, dei materiali e dei valori urbani che depositano i propri sedimenti su luoghi millenari sempre in attesa di nuove opportunità per il futuro. A Napoli la stratificazione è un’immersione, un modo esemplare di abitare la porosità in una sorta di laboratorio permanente di progettazione. È città nuova per definizione e spero che possa riprendere presto a coltivare e perseguire una visione strategica per il domani, in continuità con la sua nobile storia.
Milano
La metropoli lombarda ha ospitato per diversi anni la seconda sede del vostro studio. È una città che è cambiata molto dalla fine del secolo scorso e si è trasformata dopo decenni di stallo. Dal tuo osservatorio di architetto napoletano, come hai vissuto la metamorfosi urbana e architettonica del nuovo millennio e quali sono le occasioni che sono mancate nella stagione di rinascita milanese?
Milano negli ultimi venti anni è la città italiana che ha più creduto nella contemporaneità e quella che ha riposto più fiducia nel progetto di architettura. Ricordo con piacere le esperienze succedute ai “Concorsi per nuove piazze” indetti dal Comune agli inizi del 2000, per piazza Gabrio Rosa e piazza Ohm che abbiamo avuto la fortuna di realizzare e che sin da allora rappresentavano tasselli di una strategia di disegno dello spazio pubblico di cui la città intendeva dotarsi. Successivamente i Piani di governo del territorio hanno disegnato scenari mutevoli, soggetti a cambiamenti e perfezionamenti all’interno di una visione d’insieme, di una sorta di Ring di parchi pubblichi e spazi per la collettività per segnare la potenziale connessione tra centro e periferia, tra città consolidata e nuova città. Conservo qualche perplessità e qualche rammarico sulla qualità architettonica di alcune recenti realizzazioni che hanno perso l’opportunità della continuità con l’eredità architettonica moderna italiana, e milanese in particolare, in nome di una sorta di decontestualizzato International Style.
Moderno
Il restauro del grattacielo Pirelli a Milano, completato nel 2005, segna un punto fondamentale nella vostra carriera ed è un caso esemplare di che cosa significhi, oggi, restaurare l’architettura moderna. In Italia sul tema del restauro del Moderno c’è molto da fare e, purtroppo, non sono infrequenti gli interventi che hanno vituperato architetture del XX secolo. Alla luce della vostra esperienza milanese qual è la tua opinione al riguardo?
L’occasione del restauro del grattacielo Pirelli rappresenta, per la nostra esperienza, un momento determinante di avanzamento e consapevolezza. Indagare e svelare il lavoro di Gio Ponti attraverso la conoscenza di una sua “opera gigante” ci ha consentito d’imparare una lezione decisiva. Restaurare è comprendere, misurare, ma anche innovare. Il restauro architettonico del patrimonio storico dei secoli passati ha consolidato le sue esperienze e metodologie; è ora d’impegnare la nostra società a lavorare al risignificato dell’architettura moderna, di comprenderne sempre di più il suo valore per assurgerlo a monumento riconosciuto dalla collettività. Le città del futuro saranno le città esistenti, e penso che gli architetti debbano continuare ad indagare e capire la modernità, apprenderne le ragioni e le tecniche delle loro costruzioni per comprendere le possibili azioni del loro risanamento e ripensarne un utilizzo contemporaneo. L’espressione del giudizio di valore ne rappresenterà la precondizione per qualunque proposta progettuale, e presto gli architetti avranno la necessità di occuparsi del recupero del contemporaneo consapevoli, ad esempio, che il cemento armato è un materiale che ha una durata limitata nel tempo.
Arte
Il vostro modus operandi vi ha spesso portato a contatto con il mondo dell’arte e alla stretta collaborazione con artisti. In che modo avviene l’influenza dell’arte nei vostri progetti?
Le città da sempre sono l’esito di un continuo confronto e di biunivoche azioni tra arte e architettura. Un confine sottile in cui l’azione dell’una e dell’altra ha dato vita al disegno delle città e dei suoi spazi. Sentiamo, quando necessita, l’esigenza di tenere nel progetto il contributo della scultura e della pittura contemporanee per indagare la specificità del tema lavorando insieme ad una possibile proposta in cui l’arte non è intesa come ornamento, ma come parte integrante della concezione architettonica. Gli architetti amano spesso parlare dei loro progetti mentre gli artisti disegnano, anche con le loro parole, visioni per il futuro. Questa posizione la ritengo un’opportunità per il nostro lavoro, oltre che per le nostre persone. Particolarmente significative sono state ad oggi le esperienze condivise con Mimmo Paladino, Sergio Fermariello e Nino Longobardi.
Rigenerazione
Il tema della rigenerazione urbana e della riconversione di aree ed edifici dismessi è al centro del dibattito contemporaneo ed è ricorrente in diversi vostri progetti. Quali sono gli elementi che hanno caratterizzato maggiormente le operazioni di rigenerazione che avete affrontato?
Le occasioni realizzate a Cosenza, Casagiove, Pontecagnano, Pompei e Reggio Emilia e quelle che abbiamo in corso a Mantova, Catanzaro e Napoli continuano a perseguire l’obiettivo del progetto di riconversione come esito di un viaggio di conoscenza. Un’ambizione di risignificazione di luoghi dismessi anche di senso che resistono alla decadenza della funzione originaria per cercare nuovi orizzonti anche gestionali per farli rivivere. Penso sia questa la mission più importante e stimolante dell’architettura, quella di costruire luoghi di vita e di lavoro, spazi d’incontro e socializzazione in cui testimoniare e riconoscere il passare del tempo e distinguere la costruzione contemporanea che si è sovrapposta e non contrapposta.
Costruzione
Nei vostri progetti c’è attenzione per la composizione architettonica ma anche per gli aspetti della costruzione. Quanta importanza ha la costruzione e quale attenzione riservate al suo rapporto con il contesto?
L’architettura è l’arte del costruire. I nostri progetti sono concepiti sin dall’inizio per durare nel tempo e vivono nel continuo scambio ed approfondimento dal particolare al generale e viceversa. L’architetto ha la responsabilità di costruire edifici pensati per essere tramandati, e in questo senso la loro sostenibilità passa anche per la compatibilità con l’ambiente di riferimento e con il contesto anche nei confronti della committenza che non è solo quella che incontri, ma anche quella che usufruirà degli spazi costruiti. Il lavoro del progetto prova quindi a costruire luoghi prima ancora che edifici, spazi in cui consentire e facilitare l’incontro tra le persone, la loro esigenza di stare insieme come la città da sempre ci ha insegnato.
Fragilità
Fare l’architetto in Italia in questi anni non è cosa facile: alla complessità di una professione che richiede sempre più competenza e porta a responsabilità sempre maggiori si è affiancata l’evidenza di una crisi che ha portato a scenari d’inedita fragilità ed incertezza. Qual è la tua opinione al riguardo e come credi che si evolverà la situazione della professione di architetto nel nostro Paese?
La professione dell’architetto o, meglio, il mestiere come amo definirlo, vive da anni profondi cambiamenti. Quando nell’ormai lontano 1995, io e Giovanni Multari sentimmo l’esigenza di formalizzare un sodalizio di architettura, fummo in città degli antesignani della nostra generazione. Il lavoro dell’architetto da allora si è sempre di più affrancato dall’idea del lavoro di un singolo verso una forma di partecipazione condivisa in cui però resta insuperabile la capacità del progettista di fare sintesi di tutti i contributi delle altre discipline che sono e saranno sempre necessari per costruire le città. Quella del nostro Paese si è rivelata una fragilità culturale prima ancora che finanziaria, smarrendo la capacità di pensare e determinare regole per il rinnovo delle città in cui la qualità delle trasformazioni viene confusa solo per efficienza o standardizzazione. Il progetto di architettura è lavoro paziente al caso per caso, e questa continua ad essere ancora oggi la sfida che noi proviamo a vincere lavorando fianco a fianco con piccole e grandi società d’ingegneria per fondare le ragioni delle proposte su istanze culturali prima ancora che tecnicistiche e funzionali. Il futuro? Penso sarà sempre di più nella direzione di un lavoro con organizzazione di tipo anglosassone, con partnership di esperienze che condividono un lavoro collettivo in cui non si potrà fare a meno del ruolo dell’architetto per perseguire quel “diritto alla bellezza” a cui le nostre comunità devono ambire. Con queste premesse auspicherei un lavoro molto più sinergico su spazio, società e progetto tra università, ordini professionali ed istituzioni governative nel rispetto delle proprie specificità, ma con l’intento comune di lavorare per un domani sostenibile delle nostre città. Nella consapevolezza che, come ha scritto Bernardo Secchi, “il futuro si costruisce giorno per giorno”.
Insegnare
Insieme al tuo partner siete entrambi impegnati, oltre che nell’attività del vostro studio, anche sul fronte dell’insegnamento e della ricerca universitaria. Cosa ti senti di dire a quei giovani che, magari frequentando il tuo corso alla Facoltà di Architettura di Napoli, diventeranno la futura generazione di architetti italiani?
I tanti anni di partecipazione alla didattica ed alla ricerca al fianco di un docente come Alberto Izzo ci hanno consentito di formarci e di crescere con la consapevolezza che il progetto di architettura è ricerca. Le esperienze d’insegnamento che continuiamo a vivere ci arricchiscono e ci consentono la necessità di metterti in discussione prima ancora di pensare di poter impartire lezioni agli altri. La trasmissione del sapere avviene con modalità simili a quelle che quotidianamente alimentiamo nel nostro atelier, chiamando gli studenti a partecipare ad un caso specifico. Agli allievi che partecipano al Master di Progettazione di eccellenza per la città storica, sentiamo oggi la necessità di trasmettere questioni di metodo per disegnare strategie urbane e poi architetture di dettaglio, per consentire loro di non sentirsi specialisti, ma coordinatori di più saperi. In questo modo alimentiamo in loro la curiosità e l’ambizione per l’architettura come due motori che dovranno caratterizzare la loro vita, prima ancora che la loro professione. Ai giovani mi sento di proporre la nostra storia non come un modello da emulare, ma come uno stimolo a credere che l’architettura è un’esperienza totalizzante durante la quale chiedersi sempre di essere all’altezza del compito, della competenza e dell’etica necessarie nei progetti, negli scritti e nelle costruzioni, per rispettare le attese dei committenti e delle storie delle città.
Lo studio Corvino + Multari
Vincenzo Corvino (Napoli, 1965) e Giovanni Multari (Cosenza, 1963) nel 1995 fondano lo studio Corvino + Multari con sede a Napoli e uffici a Milano; partecipano a numerosi concorsi internazionali a seguito dei quali realizzano restauri, edifici per abitazioni, uffici pubblici e privati e riqualificazione di spazi pubblici aperti. Svolgono attività didattica e di ricerca presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Architettura, e sono stati professori di Restauro architettonico presso la Facoltà di Architettura Aldo Rossi di Cesena. Nel 2000 con Piazza dei Bruzi e nel 2003 con la sede degli Uffici dell’Azienda ospedaliera, entrambi a Cosenza, sono segnalati con targa d’argento al Premio europeo “Luigi Cosenza”; nel 2001 con il recupero del Quartiere militare borbonico a Casagiove (Caserta) sono vincitori della 3° edizione del Premio Centocittà ideato da Renzo Piano e bandito dalla Compagnia di San Paolo di Torino. Nel 2006 con il progetto del restauro del Grattacielo Pirelli sono vincitori del Premio speciale per il Restauro alla Medaglia d’Oro all’architettura italiana della Triennale di Milano. Partecipano alla 10° e alla 13° edizione della Biennale di Architettura di Venezia. Nel 2017 è pubblicato nella collana Monograph.it Collection XL il volume Corvino+Multari. Esperienze dell’architettura (Edizioni LISt Lab). Tra i progetti in corso, la rigenerazione urbana e ambientale di “Mantova Hub”, la stazione di Castellammare Centro della Metropolitana Regionale, il restauro e rifunzionalizzazione dell’ex Ospedale militare di Catanzaro destinato a sede della Procura della Repubblica e, a Napoli, la Cittadella della Polizia, il restauro del Tempio della Scorziata e la sede della Giunta regionale della Campania.