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Subhash MukerjeeWritten by: Reviews

Balkrishna Doshi, architettura per le persone

Balkrishna Doshi, architettura per le persone

Al museo Vitra, la prima retrospettiva fuori dall’Asia in omaggio all’architetto indiano, vincitore del Pritzker 2018

 

WHEIL-AM-RHEIN (GERMANIA). Da alcuni anni sta avvenendo una riscoperta di Balkrishna Doshi (1927). Due recenti mostre, a Delhi nel 2014 e a Shanghai nel 2017, hanno raccontato i suoi oltre sessant’anni di lavoro; e l’anno scorso è arrivato il Pritzker, il primo a un architetto indiano. Più che di riscoperta, si può parlare di una vera scoperta: nonostante il suo nome sia conosciuto da tempo, la sua opera lo è molto meno.

Noto per aver collaborato a lungo con Le Corbusier e con Louis Kahn, in occidente Doshi ha in parte scontato questi legami, venendo spesso superficialmente etichettato come uno dei vari discendenti asiatici dei maestri. La retrospettiva inaugurata il 29 marzo al Vitra Design Museum, la prima su di lui fuori dall’Asia, è così una buona occasione per approfondire un’opera sterminata e più complessa del previsto.

 

La visita alla mostra

Curata da sua nipote Khushnu Hoof, la mostra è suddivisa in quattro sezioni tematiche, non cronologiche. Prima di entrare, si prova un leggero straniamento a leggere la grande scritta “Architecture for the People” applicata ai bianchi volumi scomposti del museo di Frank O. Gehry, sensazione che persiste all’interno, nel contrasto fra l’espressività degli spazi dell’architetto losangelino e la misura dei lavori esposti.

Il percorso inizia con l’opera di maggior respiro di Doshi, il campus del Centre for Environmental Planning and Technology di Ahmedabad. Qui, oltre a fondare e dirigere la scuola di architettura, nel corso di quarant’anni Doshi ha progettato diversi edifici, che esprimono un approccio eterogeneo e non dogmatico. I progetti sono influenzati in modo evidente dai suoi maestri, ma ancor più dal contesto naturale e dall’idea che l’architettura possa favorire l’apprendimento e le relazioni fra le persone: da qui la grande attenzione ai percorsi e allo spazio aperto, vero cuore del campus.

La seconda sezione raggruppa alcuni progetti alla scala urbana e la casa dello stesso Doshi (chiamata Kamala House in omaggio alla moglie): parti di quest’ultima sono riprodotte in scala 1:1 per permettere al visitatore di sperimentare lo spazio in prima persona, rafforzando così un’idea di architettura come estensione del corpo. In questa sezione si affrontano anche temi come l’identità, il radicamento al luogo e la coesione sociale. In particolare il complesso residenziale per la Life Insurance Corporation, anticipando noti esempi contemporanei, già negli anni ‘70 proponeva lotti incompiuti, attrezzati solo con una stanza, un blocco bagno e alcune fondazioni, da completarsi a cura degli abitanti in base alle loro esigenze e disponibilità.

Nella terza sezione spicca la sede dello studio di Doshi stesso, chiamato Sangath (“muoversi insieme partecipando”, in sanscrito). È un edificio in cui, non solo per ragioni climatiche, esterno e interno fluiscono uno nell’altro, mentre gli spazi aperti fanno parte integrante dello studio. Sangath rappresenta meglio di ogni altro progetto l’approccio olistico di Doshi. Egli ama sostenere che è impossibile trovare l’ingresso se si è arrabbiati o stressati: prima è necessario calmarsi nell’anfiteatro all’esterno e solo a quel punto si riuscirà a trovare la porta… Parte dell’allestimento è una stanza visitabile, riproduzione deformata di curiosa ispirazione borrominiana, della zona atelier dello studio. Questa installazione, insieme ad alcuni plastici “toccabili” da parte del pubblico e a vari disegni tecnici colorati come dipinti tradizionali, donano alla mostra un’atmosfera libera e quasi giocosa.

L’ultima sezione presenta alcuni progetti urbanistici e di edifici per il culto. Qui l’influenza del pensiero indiano sul lavoro di Doshi è più esplicita. Il piano urbano per Vidhyadhar Nagar (1984), insediamento per 15.000 alloggi in Rajasthan, è la declinazione contemporanea del centro storico di Jaipur, città ideale del ‘700 il cui impianto è basato sulla forma del Vastu Purusha Mandala, che dall’antichità è allo stesso tempo schema funzionale di pianificazione e rappresentazione delle leggi che regolano il cosmo.

Dalla visita alla mostra si può intuire come l’architettura di Doshi non sia solo uno dei tanti modi di “assorbire la modernità” al di fuori dell’Occidente sviluppato. Nella sua ricerca di un moderno indiano, Doshi ha precorso temi come la sostenibilità, la natura, la partecipazione, ora urgenti a livello globale, ma che sono sempre stati parte delle architetture locali. Più che le regole del moderno, sono stati quindi il clima, la società, i saperi locali a dare forma alla sua eclettica opera. Proprio in questo eclettismo, a volte criticato, si può cogliere il contributo più originale di Doshi, riflesso architettonico della visione del mondo caratteristica dell’India: non vi sono dogmi, tutte le strade sono valide per giungere alla verità.

 

 

“Balkrishna Doshi: Architecture for the People”

Vitra Design Museum, Wheil-am-Rhein
30 marzo – 8 settembre

Autore

  • Subhash Mukerjee

    Architetto, nato in India nel 1974, ha aperto nel 2016 il suo studio a Torino, dopo essere stato cofondatore di Studio MARC, con il quale ha ottenuto riconoscimenti internazionali, e il cui lavoro è stato pubblicato su riviste come Abitare, Casabella, Domus, nonché esposto alla Biennale di Venezia (2004, 2010, 2012) e alla Royal Academy of Arts (Londra, 2011). Insegna progettazione architettonica presso il Politecnico di Torino e Interior Design presso la NABA (Milano) e presso lo IAAD (Torino). Dal 2017 al 2019 è stato vicepresidente della Fondazione per l’Architettura di Torino.

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Last modified: 9 Aprile 2019