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Gerardo DotiWritten by: Reviews

Costantino Dardi, “l’universo della precisione”

L’Università IUAV rende omaggio all’architetto friulano con la mostra «Costantino Dardi. Per affinità e differenza», curata da Roberta Albiero con Cecilia Rostagni

 

«L’architettura, l’universo del pensiero e della produzione architettonica, si pongono di fronte al mondo come sistema complesso, articolato e compiuto, distinto e autonomo, organizzato con proprie leggi e proprie strutture, polarità e contrapposizioni, norme e contraddizioni. […] Nostalgia del passato e nostalgia del futuro si intrecciano e illuminano della luce della malinconia il nostro presente, affascinati ad un tempo dalla ricchezza e dalla bellezza che la storia ha distillato, dall’emozione e dalla sfida che il progetto ineluttabilmente prospetta. Storia e progetto. Dimensione elegiaca e pulsione esistenziale».

Così si esprimeva Costantino Dardi (1936-91) in L’acquedotto di Spoleto, capitolo del libro Semplice lineare complesso (Roma 1987). Il passo condensa il senso e il ruolo di una produzione architettonica che abbraccia l’arco di un trentennio (1961-1991), e che la mostra «Costantino Dardi. Per affinità e differenza», curata da Roberta Albiero in collaborazione con Cecilia Rostagni, restituisce con straordinaria evidenza. Con disegni, modelli e fotografie essa documenta circa ottanta progetti distribuiti lungo tutto l’arco della carriera dell’architetto friulano. È articolata in tre sezioni rispettivamente dedicate ai progetti a scala territoriale e paesaggistica, ai progetti architettonici e urbani e infine ai lavori sullo spazio più intimo dell’abitare. Un percorso da cui emerge un protagonista dell’architectura, ossia un teorico, ma anche un artefice della fabrica.

I progetti sono presentati nella completezza dei loro sviluppi, salvaguardandone il contenuto e l’idea di architettura che essi esprimono. Il carattere seducente di molti degli elaborati grafici è da riferire ad almeno tre aspetti di un fenomeno che, soprattutto tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, condiziona il dibattito intorno al progetto di architettura: la rivalutazione del disegno nell’insegnamento accademico, il richiamo a una maggiore attenzione sui problemi della rappresentazione e la proiezione dell’immagine architettonica verso il grande pubblico. Il virtuosismo grafico, la dimensione colta e l’estrema ricercatezza formale dei disegni di Dardi sono una perfetta espressione della produzione di quegli anni. E la rappresentazione è tanto più efficace quando a complemento dei disegni ci sono le fotografie che testimoniano la realtà dell’esecuzione, estrema sintesi del percorso progettuale e di conoscenza. Dardi, del resto, ha sempre insistito sull’autonomia dell’architettura e sulla sua intrinseca dimensione conoscitiva, in quanto processo razionale, dialettico. La ricerca costante intorno alle qualità e ai caratteri dello spazio, che riflette questa convinzione, si sviluppa sul superamento delle pratiche progettuali di stanca matrice razionalista e sulle ipotesi di Louis Kahn legate a un diverso rapporto con la storia.

Dardi è profondamente partecipe del dibattito architettonico degli anni ’60 intorno alla natura delle città, rivelando un’attenzione alimentata dalle difficoltà di governarne la crescita con strumenti rivelatisi, fin dall’immediato secondo dopoguerra, del tutto inefficaci quando addirittura inapplicabili. Ed è anche l’architetto della cosiddetta “generazione di mezzo” che si avvicina con maggiore coscienza critica ai problemi indotti dallo sviluppo capitalistico. Operando deliberatamente in una “condizione manieristica” e praticando “un’azione di scavo all’interno del linguaggio architettonico”, come ha giustamente sottolineato Alessandra Muntoni (Il dibattito architettonico in Italia. 1945-1975, Roma 1977), Dardi è l’architetto, tra quelli della sua generazione, che sposa con maggiore convinzione lo sperimentalismo piuttosto che il radicalismo rinunciatario delle avanguardie, l’evidenza logica della geometria primaria, la scomposizione cubista come matrice ritenuta tra le più fertili del Movimento moderno. Predilige la decantazione della forma, privata di ogni possibile sovrastruttura ideologica, la validità del saggio dimostrativo, accettando il rischio di soluzioni progettuali sommarie e non del tutto verificate, “l’indifferenza alle motivazioni meramente funzionalistiche”, come lui stesso afferma sulle pagine di «Controspazio» (n.9, 1981). Un approccio, il suo, che trasferisce anche nei laboratori di progettazione, trasformati in spazi dove la conoscenza non si trasmette ma si produce, liberando l’immaginario, familiarizzando con la misura delle cose, accettando l’imprevedibilità dei risultati.

Perennemente in bilico tra formalismo e concettualismo, l’architettura di Dardi riflette un originale sviluppo dialettico fondato sulla compenetrazione degli opposti. Ciò è particolarmente evidente quando la razionalità della trama geometrica si scontra con la casualità dei segni impressi sul terreno, l’astrattezza delle forme con la naturalità e la storia dei luoghi. Ma è altrettanto esplicito quando il minimalismo dei suoi modi espressivi, piuttosto che tradursi nei valori essenziali dell’architettura e in una salutare anonimia del testo, fa invece emergere l’evidenza della scrittura autoriale.

Le style est l’homme même”, sosteneva Georges-Louis Leclerc de Buffon nel 1752 con riferimento agli scrittori per i quali, secondo il naturalista francese, la ricerca di un proprio stile è, allo stesso tempo, un obbligo e un dovere morale. L’essenzialità invariabile della lingua di Dardi, lungi dall’essere sospinta da un desiderio narcisistico di riconoscibilità, non è solo frutto del vaglio incessante di un repertorio di forme fondamentali e assolute, della battaglia costante con le convenzioni linguistiche consolidate. È soprattutto il riflesso di una vita governata dalla sperimentazione progettuale, vero obiettivo etico ed estetico della sua architettura.

 

«Costantino Dardi. Per affinità e differenza»

A cura di Roberta Albiero con Cecilia Rostagni

30 gennaio – 5 aprile

Università IUAV di Venezia (Tolentini, Aula magna e Gallerie del Rettorato)

 

 

Autore

  • Gerardo Doti

    Architetto e ricercatore di Storia dell'architettura presso la Scuola di Ateneo di Architettura e Design dell'Università di Camerino. Si è laureato cum laude nel 1988 (Roma "La Sapienza"). Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia dell'Architettura e dell'Urbanistica (VIII ciclo) nel 1997 ed è in possesso dell'abilitazione scientifica a professore associato (Icar/18). È membro del Consiglio direttivo dell'Associazione Italiana di Storia Urbana, del Centro di Studi per la Storia dell'Architettura (coord. dell'Osservatorio sulla ricerca) e del comitato di redazione di "Roma Moderna e Contemporanea". I suoi interessi scientifico-culturali sono prevalentemente orientati verso la storia dell'architettura e dell'urbanistica otto-novecentesca e verso la storia del territorio.

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Last modified: 4 Febbraio 2019