Alla Triennale di Milano, una mostra monografica a cura di Patricia Urquiola con Federica Sala racconta il maestro nel centenario della nascita attraverso un atlante progettuale
MILANO. Nell’anno del centenario della nascita di Achille Castiglioni (1918-2002) una grande mostra monografica lo racconta alla Triennale con un taglio per nulla nostalgico, ma che anzi celebra il profilo professionale di questo progettista trasversale che è stato capace di rendere semplice la complessità.
Castiglioni diede vita ad una progettazione originale e colta ma, al contempo, semplice e dotata di curiosità ed ironia. Unico e prezioso era anche il modo di trasmettere il suo sapere. Chiunque abbia avuto la fortuna di averlo come docente o di seguirlo come collaboratore, ha potuto percepire l’amore per il suo lavoro e per i rapporti umani perché, come lui stesso affermava, «bisogna tuttavia essere interessati alla vita dell’uomo ed alle sue attività, per poter progettare oggetti col massimo della funzionalità, rispondenti a precise necessità, e perciò intrinsecamente belli». Castiglioni si è fatto interprete dell’avvento della modernità in Italia: i prodotti da lui progettati, fino al 1968 frutto della collaborazione con i fratelli Livio (1911-1979) e soprattutto Pier Giacomo (1913-1968), nascono dalla capacità di ispirarsi al quotidiano, trattando con ironia il rapporto tra forma e funzione.
La mostra, curata da Patricia Urquiola in collaborazione con Federica Sala, racconta la figura attiva e atemporale di Achille, come del resto i suoi oggetti, senza seguire un ordine cronologico, dove non c’è un reale inizio e fine, perché la si può girare liberamente. È organizzata in nuclei tematici, categorie progettuali, o meglio concetti ricorrenti, nei suoi progetti, disposti nello spazio senza un assetto gerarchico, ma in un continuo e sottile gioco di connessioni e rimandi incrociati. Denominati cluster, i nuclei tematici raccolgono i progetti di design industriale, ma anche di allestimento e di architettura, come se si trattasse di un atlante progettuale che ci permette di navigare nell’universo di Castiglioni.
Si parte da L’è un Gran Milan, che ci racconta della Milano di Achille e del progetto di ristrutturazione della Torre e delle sale espositive della Permanente di Milano, della Camera di Commercio ed il suo rapporto con le istituzioni ed il sistema del design italiano; in Se telefonando il ruolo del telefono, che ha accompagnato e sostenuto la modernizzazione del Paese nel secolo scorso e ha concorso a ridisegnarne anche le abitudini; in Redesigning il progetto che guarda allo sviluppo e all’attualizzazione dell’esistente, per sopperire all’usura e migliorare le prestazioni; in Dislivelli viene celebrato l’approccio agli interni di Achille e Pier Giacomo; in Raccontare il progresso invece, gli scenografici allestimenti capaci di raccontare il secondo dopoguerra italiano; in Reiterare gli “oggetti” diventano allestimento ed espressione creativa capaci di unire gioco scenico e rigore progettuale; in Fumo le sue sigarette ed i pochi mirati oggetti per i fumatori; in Playfulness si parla dell’immaginazione e della capacità di vedere oltre le cose, come un cappello ispirato da uno stampo da budino; in Vuoto si parla ancora di allestimenti, ma in particolare dell’approccio a questi spazi portatori di messaggi e in grado di generare suspence e sorpresa, scandire il ritmo degli ambienti e le pause nei percorsi; in Comunicare si focalizza la capacità, ai limiti tra didattica ed intrattenimento, di progettare allestimenti concepiti come spettacoli corali in cui il pubblico è direttamente coinvolto; in Geometrie si celebrano alcuni suoi oggetti iconici, come la lampada Ipotenusa; in In moto gli oggetti capaci di trasformarsi nello spazio ed in cui l’utilizzatore è attivamente coinvolto; in Forse non tutti sanno che si evidenziano gli oggetti utili e umili, presenti nelle case di tutti, che diventano per Castiglioni disegno di qualità e di significato; in Serviti e Serventi piccoli oggetti d’uso comune diventano esempi di sintesi e onestà; in Innovazioni la ricerca tra nuovi materiali ed innovative tecniche con cui si confrontano i fratelli Castiglioni; in Costruzioni le soluzioni realizzate per somma di pezzi, in un montaggio imprevedibile di parti, come nella poltrona Cubo; in Morfismi la gioia della scoperta attraverso oggetti sinceri e felici, piccoli capolavori che danno origine a nuove “presenze” dalle sembianze familiari; in Keep it simple viene raccontata la semplicità come combinazione ridotta di elementi, ma anche come corrispondenza tra regola tecnologica e aspetto formale; in Specchio/riflesso il rapporto di Castiglioni con questo materiale che usa per produrre effetti di realtà aumentata, per ingannare la vista, per accentuare i riverberi della luce, ammaestrandolo fino a farlo diventare espediente tecnologico; in Ready making assembla componenti diverse per dar vita a nuovi usi, sempre secondo un’ottica di realizzabilità industriale, e non con un intento artistico né artigianale, come nel celebre Mezzadro.
La mostra, che si sviluppa nelle sale del piano terra e conduce, attraverso la suggestiva scala con l’opera di Daniel Buren, al piano superiore, racconta Castiglioni anche attraverso due installazioni site specific. Al piano terra l’installazione di Urquiola in collaborazione con FLOS dal titolo (traparentesi) che con una “foresta” di lampade Parentesi immerge il visitatore nel mondo magico della luce di Castiglioni. Al piano superiore, invece, tra le tante piccole sorprese da scoprire con pazienza, troviamo Ready making, di Sony Design in collaborazione con Studio Patricia Urquiola. Questa lettura di Castiglioni, come afferma Urquiola, non è una celebrazione, ma una festa in cui ragionare intorno al suo immenso lavoro, sempre con il sorriso e tanta curiosità.
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“A Castiglioni”
A cura di Patricia Urquiola in collaborazione con Federica Sala
Allestimento: Patricia Urquiola
Grafica: Dallas (Francesco Valtolina & Kevin Pedron)
Viale Alemagna 6, Milano
Fino al 20 gennaio 2019
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allestimenti , mostre , triennale milano
Last modified: 31 Ottobre 2018