Sancita l’illegittimità costituzionale della norma che avocava al Governo regionale la valutazione di compatibilità di un’opera pubblica con la tutela paesaggistica. Ma ci sono nuovi tentativi di politicizzare le decisioni tecniche
Con la sentenza 172/2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità (art. 9 e 117) di quell’articolo 48 introdotto dal governo Crocetta con la Legge di stabilità 2017 che per la valutazione di compatibilità di un’opera pubblica con le norme di tutela paesaggistica prevedeva di trasferire all’organo politico, la Giunta di governo, decisioni spettanti esclusivamente agli organismi «tecnici». I giudici hanno sancito, al contrario, l’«indispensabilità della partecipazione» di questi ultimi nel procedimento di valutazione. Hanno ritenuto fondati, inoltre, altri due profili di illegittimità. In ordine al primo, «con riferimento ad opere qualificate come di pubblica utilità – si legge –, la norma impugnata esclude che dal Piano possano derivare divieti assoluti di intervento; e ciò contrasta, evidentemente, con la finalità principale del Piano paesaggistico che è, appunto, quella della tutela dell’interesse primario alla conservazione del paesaggio». Illegittima anche l’altra previsione che «le opere che abbiano già ricevuto nulla osta, pareri favorevoli o autorizzazioni prima della data di adozione dei singoli Piani paesaggistici territoriali, possano essere realizzate nel rispetto dei tempi, delle forme e delle modalità previste in questi atti, senza necessità di ulteriori valutazioni».
L’articolo della legge siciliana, secondo i giudici, è anche in contrasto con il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs 42/2004), in particolare con l’art. 146, secondo cui «l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti gli interventi urbanistico-edilizi, sia con il successivo comma 5, il quale stabilisce che il parere del soprintendente venga reso nel rispetto delle previsioni e delle prescrizioni del Piano paesaggistico»; e in quanto lo stesso articolo 146 riserva il controllo della tutela paesaggistica alla competenza tecnico-scientifica degli uffici amministrativi ad essa preposti, «ai quali soltanto spetta di compiere la verifica concreta di conformità tra l’intervento progettato e le disposizioni del Piano paesaggistico, individuando la soluzione più idonea a far sì che l’interesse pubblico primario venga conseguito con il minor sacrificio possibile degli interessi secondari». In contrasto anche con l’art. 143, che «nello stabilire i contenuti del Piano paesaggistico, non prevede limitazioni della portata dei vincoli derivanti da esso».
Viene sottolineato, peraltro, che le disposizioni di cui ai due menzionati articoli del Codice sono state «qualificate come norme di grande riforma economico-sociale che anche le Regioni a statuto speciale debbono osservare». Per i giudici costituzionali la norma, infatti, è in contrasto anche con lo Statuto della Regione. L’art. 14, infatti, sebbene affidi alla Regione legislazione esclusiva in materia di tutela del paesaggio, stabilisce che sia esercitata nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato e nel rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica.
La sentenza rappresenta una vittoria di Legambiente Sicilia, che aveva richiesto al presidente del Consiglio dei ministri l’impugnazione dell’articolo d’innanzi alla Corte Costituzionale. Gianfranco Zanna, presidente regionale dell’Associazione, ha commentato così: «Avevamo già salutato come una vittoria l’accoglimento della nostra richiesta d’impugnazione di una norma sbagliata, pericolosa, scritta anche talmente male che sarebbe stata comunque inapplicabile in Sicilia. Con questa sentenza ora possiamo dire di aver sconfitto i cementificatori, quelli che vogliono operare senza regole, coloro i quali non sono ancora contenti delle tante ferite subite dal nostro paesaggio».
La Sicilia recepisce la Legge Madia e va oltre
Ma mentre alla Regione adesso non spetterebbe altro che procedere celermente nel completamento della pianificazione (del 3 ottobre è l’approvazione del Piano paesaggistico di Ragusa e l’adozione di quello di Catania – nella foto di copertina, una veduta della città con lo sfondo dell’Etna; per un quadro dell’attuale distribuzione a macchia di leopardo si veda il nostro approfondimento), si riprova, invece, di nuovo a trasferire alla politica il potere decisionale su questioni tecniche.
Il disegno di legge con cui la Regione Siciliana recepisce la Legge Madia sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, approvato dalla Giunta il 19 settembre scorso, sposta, infatti, l’ultima parola dalle conferenze dei servizi, istituti previsti dalla legislazione per semplificare l’attività della amministrazione, alla Giunta stessa. Poniamo il caso di richiesta di permessi edilizi da parte di un privato cittadino: se il terreno in questione è sottoposto a vincoli paesaggistici o archeologici, il Comune non può concedere l’autorizzazione in autonomia ma deve obbligatoriamente convocare altri enti, tra cui, in questo caso, proprio la Soprintendenza. In caso di dissenso il privato, che già prima poteva ricorrere al Tar, stando al disegno di legge può proporre opposizione alla Giunta regionale.
L’illegittimità costituzionale anche di questa nuova normativa sembra evidente. Infatti, nella sentenza di cui sopra si legge che «la Corte ha anche sottolineato che il legislatore statale, tramite l’emanazione di tali norme (art. 143 e 146 del Codice, ndc.), conserva il potere, nella materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali […] di vincolare la potestà legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale, così che le norme qualificabili come “riforme economico-sociali” si impongono al legislatore di queste ultime». La partita dovrebbe essere finita ancora prima di cominciare.
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paesaggio , Pianificazione , sicilia
Last modified: 8 Ottobre 2018
[…] Nell’ottobre scorso, dalle colonne de’ “Il Giornale dell’Architettura”, avevo alzato il livello di attenzione su quest’ennesimo tentativo di trasferire alla politica il potere decisionale su questioni tecniche, commentando il disegno di legge che era stato approvato dalla Giunta di Governo il 19 settembre precedente, col quale la Regione recepisce la cosiddetta Legge Madia di Riforma della PA (L. 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”). Un articolo prevede, infatti, che se “un’amministrazione regionale o locale in materia di tutela ambientale, paesaggistico territoriale, del patrimonio storico-artistico” (per es. una Soprintendenza) esprime dissenso, in sede di conferenza dei servizi, nei confronti di un progetto, si può proporre opposizione dinnanzi alla Giunta. In altre parole, viene introdotto una sorta di giudizio finale da parte dell’organo politico. Rispetto al testo approvato nel settembre scorso che non definiva il soggetto proponente l’opposizione, lasciando genericamente intendere che fosse il privato stesso a poterla proporre, nella legge approvata ieri si attribuisce alla stessa amministrazione regionale o locale “la facoltà di proporre opposizione alla Giunta regionale”. Non un obbligo, ma una ‘facoltà’, che potrebbe però incoraggiare atteggiamenti pilateschi in funzionari prossimi ai politici. Succede, dunque, che si sottraggono gli istituti e gli enti preposti alla tutela, già pesantemente condizionati dalla politica, dai contenziosi in sede legale per i ricorsi al Tar, per rimettere, però, tutto in mano alla politica: una cosa è ricorrere nei confronti di un’amministrazione, tutt’altra nei confronti della Giunta di Governo che si è assunta la diretta responsabilità della scelta qualora siano insorti dissensi. […]
[…] scorso il nostro giornale aveva già alzato il livello di attenzione su quest’ennesimo tentativo di trasferire alla […]