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Cristina DonatiWritten by: Reviews

Richard Rogers vs Steven Holl: il progetto secondo i maestri

Richard Rogers vs Steven Holl: il progetto secondo i maestri

Diversi tra loro, due racconti in cui l’architettura non è esito formale ma percorso progettuale

Due libri che rivalutano il pensiero al di là dell’estetica, la teoria al di là della costruzione. Così, spostare l’interesse sul progetto, sul ruolo dell’architettura, sulla visione del futuro diventa un modo con cui sconfiggere lo smarrimento culturale contemporaneo. Nell’era globalizzata ed ipertecnologica dove il pluralismo ha dato nuove libertà espressive ma tolto le certezze delle regole dello stile del proprio tempo, parlare di progettazione è l’unica alternativa per dare nuovo valore etico all’architettura che verrà.Un posto per tutti. Vita, architettura e società giusta, di Richard Rogers con Richard Brown,

Johan & Levi Editore 2018, 372 pagine, € 36

A Place for All People: Life, Architecture and the Fair Society, Canongate, 2017,  £ 30 (versione in inglese)

L’autobiografia di Richard Rogers è un libro fondamentale per chiunque voglia esplorare la mente del maestro, capire come nasce un progetto, approfondire l’impegno politico che ha accompagnato la sua vita e dato senso alla sua architettura. Definire Rogers un architetto di fama mondiale è probabilmente riduttivo. Rogers è molto di più, è il simbolo della modernità. Basti pensare al Centre Pompidou e al Lloyd’s, edifici-manifesto che hanno cambiato la storia dell’architettura. Definire Rogers un architetto è altrettanto riduttivo. La sua architettura è infatti una pratica multidisciplinare che integra il rapporto tra architettura, città e politica. Lui stesso scrive: «La storia dell’architettura dovrebbe essere concepita come la storia delle innovazioni sociali e tecnologiche e non come quella degli stili e delle forme». Rogers considera quindi l’architettura un’arte sociale e ha spesso affermato che «l’architettura è sempre politica». Non è quindi un caso che la sua autobiografia s’intitoli Un posto per tutti e che il sottotitolo sia Vita, architettura e società giusta. Il libro ripercorre l’impegno pubblico di Rogers, fin dagli anni ’80 quando diviene un testimonial della modernità, ruolo che si rafforza nel 1986 con la mostra “London as it could be” a cui segue il libro A New London, scritto nel 1992 insieme a Mark Fisher, ministro laburista per la cultura. Nel 1995 è il primo architetto a parlare alla Nazione in occasione delle cinque Conferenze Reith che la BBC manda in onda ogni anno a firma di un autorevole personaggio pubblico. L’anno successivo i temi delle conferenze confluiscono in Cities for a small planet, il libro che offre una disamina critica sul passato, presente e futuro della città e del vivere metropolitano. Nel 2006 intitola la decima Biennale di Venezia, che cura a fianco di Richard Burdett, Città – Architettura e Società. Grazie proprio a questa capacità di mettere il bene comune al centro del dibattito, e non esclusivamente la propria ricerca estetica individuale, nel 1996 riceve il titolo di Lord Rogers of Riverside ed entra alla Camera dei Lords. Dopo anni di politica thatcheriana, nel 1997 tornano al potere i laburisti con Tony Blair, Rogers riceve l’incarico di dirigere la Urban Task Force che si occupa della rigenerazione urbana e diventa consulente del sindaco di Londra Ken Livingstone, ruolo che mantiene con Boris Johnson e, oggi, con Sadiq Khan. Nonostante sia tra i padri dello Strutturalismo, la tecnologia per Rogers è solo uno strumento per democratizzare e umanizzare l’architettura e la vita degli uomini. Con questa logica, la qualità dello spazio pubblico è un tema fondamentale, che emerge nel testo insieme al rapporto tra continuità e cambiamento nella città storica, al significato di spirito del proprio tempo, alla trasparenza, al movimento, al colore, al linguaggio della costruzione. Già nel 1990, nel libro Architecture a Modern View, Rogers affermava: «Ciò in cui credo è più importante di ciò che ho costruito». E concludeva: «Il problema non è lo stile ma la qualità, non è l’estetica ma l’etica». Nella sua autobiografia, racconta se stesso e la sua storia in undici capitoli che si concludono con alcune Riflessioni sul futuro: l’architettura diventa un’arte multidisciplinare il cui obiettivo egli riassume nel giuramento degli ateniesi quando affermavano «di voler lasciare la città più bella e più grandiosa di come l’avevano trovata».

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Lake of the mind. Conversazione con Steven Holl, di Diana Carta, LetteraVentidue 2018, 80 pagine, € 15

Lake of the Mind è un progetto editoriale che nasce a seguito di una conversazione tra l’autrice Diana Carta e Steven Holl, nel maggio 2016 e parzialmente pubblicata sull’editoriale di “Domus” n. 1004 (luglio-agosto 2016). Il libro si articola in quattro capitoli. Dopo l’introduzione, a firma del docente e filosofo Yehuda E. Safran, si sviluppa il capitolo dedicato al dialogo tra Holl e Carta. «Il lavoro creativo inizia nella solitudine della connessione tra mente/mano/occhio. La stanza solitaria con un tavolo e una sedia è uno studio funzionale al disegno». Così Holl incapsula il suo rapporto con la progettazione e, attraverso le parole immediate della conversazione, esplora il concetto di intuizione e di processo creativo che conduce alla sintesi nell’opera d’arte e d’architettura. Con sapienti domande l’autrice guida Holl a indagare il concetto stesso di architettura, di tempo in architettura e della loro indissolubile interconnessione. Il fare architettura del maestro è il risultato della sua personale teoria e di ciò in cui crede; lo dimostrano i numerosi esempi progettuali che emergono durante il dialogo e che si concretizzano con i disegni e gli schizzi di progetto che accompagnano il testo, il quale altrimenti rischierebbe di essere troppo filosofico e indefinito. Il terzo capitolo si sofferma sul progetto Ex of In House attraverso cui Holl arriva a definire i sette punti del manifesto su cui si è articolato il progetto: Studio dell’architettura libera dal puramente oggettivo (1), Dalle origini dell’architettura noi esploriamo l’“In” (2), “In”: tutto lo spazio è spazio sacro (3), L’architettura dell’“In” domina lo spazio attraverso lo spazio (4), L’intrinseco “In” è una forza elementare di sensuale bellezza (5), “In” è senza uso, ma nel futuro verrà usato. Lo scopo trova l’“In” (6), La cosa contenente non è la cosa contenuta (7). In conclusione, una postfazione indaga più a fondo i concetti generali del fare architettura affrontati nella prima parte.

Autore

  • Cristina Donati

    Prima collaboratrice poi redattrice della testata online fin dagli esordi nel 2014. Prematuramente scomparsa nel 2021. Studia architettura a Firenze dove consegue un Dottorato di ricerca in storia dell’architettura. Dopo la laurea si trasferisce a Oxford dove collabora con studi professionali, si occupa di editoria e cura mostre per Istituti di cultura a Londra. Ha svolto attività didattica per la Kent State University (USA) con il corso di Theories of Architetcure. Scrive per numerose riviste internazionali e svolge attività di ricerca sull’architettura contemporanea e i suoi protagonisti. Dirige la collana editoriale «Single» sul progetto contemporaneo per la Casa Editrice Altralinea. E' autrice di saggi e monografie tra cui: «Michael Hopkins» (Skira, 2006); «L’innovazione tecnologica dalla ricerca alla realizzazione» (Electa, 2008); «RSH+P, Compact City» (Electa, 2014); «Holistic Bank Design» (Altralinea, 2015).

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Last modified: 10 Settembre 2018