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Federica RussoWritten by: Biennale di Venezia

La Gran Bretagna a Venezia: Freespace è un’Isola

La Gran Bretagna a Venezia: Freespace è un’Isola

Intervista a Peter St John e Adam Caruso (Caruso St John Architects) curatori, con la collaborazione di Marcus Taylor, del Padiglione britannico alla 16. Mostra Internazionale di Architettura

 

Adam Caruso, Marcus Taylor, Peter St John © British Council, photo by Lucia Sceranková

Il British Council presenta alla Biennale 2018 il Padiglione Britannico dal titolo “Isola”, curato da Caruso St John Architects in collaborazione con l’artista Marcus Taylor. Lo spazio del padiglione sarà aperto ai visitatori ma apparirà vuoto. Sul tetto un’impalcatura sorreggerà una piazza elevata che inviterà tutti a vivere il padiglione da un diverso punto di vista. Le curatrici di questa Biennale, Yvonne Farrell e Shelley McNamara, hanno dichiarato: “Freespace può essere uno spazio di opportunità, uno spazio democratico, non programmato e libero per utilizzi non ancora definiti. Tra le persone e gli edifici avviene uno scambio, anche se non intenzionale o non progettato, pertanto anche molto tempo dopo l’uscita di scena dell’architetto gli edifici stessi trovano nuove modalità di condivisione, coinvolgendo le persone nel corso del tempo. Questa sembra essere la promessa di “Isola”, un luogo di rifugio ed esilio al contempo. Per saperne di più abbiamo intervistato Peter St John e Adam Caruso di Caruso St John Architects, noto studio britannico fondato nel 1990 e vincitore nel 2016 del RIBA Stirling Prize per la Newport Street Gallery (Londra).

 

Lo scorso giugno, durante la presentazione del tema della Biennale 2018, le curatrici hanno dichiarato: “Nella 16. Mostra Internazionale di Architettura si celebrano gli esempi di generosità e di sollecitudine nell’architettura in tutto il mondo. Siamo convinte che queste qualità sostengano la capacità fondamentale dell’architettura di promuovere e supportare l’importante contatto che sussiste tra le persone e lo spazio. Concentriamo la nostra attenzione su queste qualità perché pensiamo che l’ottimismo e la continuità ne siano parte costitutiva. L’architettura che incarna queste qualità con generosità e desiderio di scambio è proprio ciò che chiamiamo Freespace”. La vostra “Isola” come interpreta l’idea di Freespace? 

Abbiamo risposto al tema con la costruzione di un nuovo spazio d’incontro ai Giardini. I visitatori che si approcceranno al Padiglione Britannico troveranno l’edificio coperto con un’impalcatura che sorregge una piattaforma in legno sul tetto. L’immagine ambigua del padiglione coperto di impalcature infine si rivela un gesto positivo. Invece di chiudere il padiglione al pubblico per l’estate (come potrebbe sembrare dalle impalcature) il nostro progetto risulta un gesto di generosità: invitiamo i visitatori della Biennale a salire sulla piattaforma, in cima ai Giardini, per incontrarsi e godere del panorama.

“Un’isola può essere al contempo un luogo di rifugio e di esilio”, avete dichiarato nella vostra presentazione. Cosa significa rappresentare il Regno Unito a una delle più importanti esposizioni internazionali di architettura attraverso un tema come “Isola” e appena un anno prima della Brexit?

Stiamo coprendo il padiglione di impalcature, così che nel 2018, l’ultimo anno nel quale il Regno Unito rimarrà nell’Unione Europea, non risulti chiaro se il padiglione sia aperto o chiuso, se sia stato demolito o ristrutturato. Le stanze del padiglione saranno aperte ai visitatori, ma saranno vuote. Il gesto può forse risultare un po’ romantico, ma è molto ironico o -di contro- davvero triste.

 

Più che presentare una mostra state offrendo l’esperienza dello spazio vuoto del Padiglione britannico e del suo tetto. Quale risultato sperate di generare col vostro progetto?

La proposta ha molti aspetti: la costruzione dello spazio visitabile, le discussioni e le performance che lì avverranno, la pubblicazione (“The Spaces”) con testi, immagini, poesie e le fotografie che verranno scattate. Le varie tematiche sono esposte attraverso tutte queste differenti “impressioni”. Noi speriamo che anche le persone che non riusciranno a visitare il Padiglione e lo vedranno attraverso i media, ne possano discutere facendosi un’idea personale di questa provocazione.

 

Voi avete già collaborato con l’artista Marcus Taylor al concorso per lo UK National Holocaust Memorial di Londra ma questa è la prima volta che viene affidato un incarico ad un artista e ad un architetto per il padiglione britannico. Cosa dobbiamo aspettarci dalla collaborazione tra voi e Taylor?

Il lavoro di Marcus ha sempre avuto una scala architettonica e lui è interessato alla realizzazione di edifici. Noi siamo sempre stati interessati all’arte e ci divertiamo a lavorare con artisti. Quindi è una buona collaborazione. Gli artisti hanno un approccio più ampio e più intuitivo nel lavorare rispetto agli architetti che sono vincolati da più convenzioni. Quindi sarà un evento diverso rispetto alle altre Biennali e i suoi effetti saranno più difficili da prevedere. L’arte può non essere facile da comprendere, da descrivere, ma può essere qualcosa di forte e di effetto. Noi ci auguriamo che tutti gli spazi del padiglione possano trasmettere questa sensazione.

 

Immagine di copertina: il Padiglione della Gran Bretagna a Venezia (© John Riddy)

 

LEGGI L’INTERVISTA IN LINGUA INGLESE

Autore

  • Federica Russo

    Laureata all’Università “La Sapienza” di Roma, è co-fondatrice dello studio di architettura Valari. Ha lavorato in studi internazionali come Haworth Tompkins e Allies & Morrison a Londra, VYA nei Paesi Bassi e Massimiliano Fuksas a Roma. Dal 2006 ha collaborato come giornalista freelance per diverse testate d’architettura tra cui Artribune, Compasses, Presstletter, Livingroome, a edizioni speciali de L’Arca e A10 ed è co-autrice del libro “Backstage Architecture” (2011)

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Last modified: 16 Maggio 2018