Nel bicentenario della morte una mostra alle Gallerie dell’Accademia di Venezia ricorda la feconda produzione di Giacomo Quarenghi, l’architetto bergamasco che, a cavallo tra Sette e Ottocento, trovò la sua fortuna alla corte degli Zar
VENEZIA. Su Giacomo Quarenghi (Capiatone di Rota, Bergamo, 1744 – San Pietroburgo, 1817), expat ante litteram trasferitosi a San Pietroburgo grazie a «un vantaggioso contratto triennale» come architetto di corte, rimasto poi in Russia fino alla fine della sua vita, sono state organizzate due mostre a Venezia in occasione del bicentenario della morte. La prima, conclusa da poco, è stata approntata presso i Magazzini del Sale dall’Accademia di Belle Arti ma, più che di Quarenghi, narrava della vita culturale della sua Scuola d’Architettura tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento.
La seconda, ora in corso, allestita presso le Gallerie dell’Accademia fino al 17 giugno, invece si concentra maggiormente sull’architetto bergamasco esponendo un cospicuo nucleo dei disegni confluiti a Venezia (la raccolta conta in tutto 602 fogli acquisiti nel 1822 dal Governo austriaco per destinarli all’Accademia di Belle Arti). Si tratta d’una selezione di svariate architetture edificate o rimaste allo stadio di concetto (100 i disegni in mostra tra i 213 oggi appartenenti al fondo grafico del museo) che restituiscono l’ormai desueta acribia nella rappresentazione dei più minuti particolari: nonostante l’attività di disegno fosse demandata in parte ai collaboratori – mercé le moltissime commesse –, le tavole testimoniano direttamente dell’abilità compositiva del Nostro. Sono certo progetti, ma allo stesso tempo pure artefatti artistici: delineati su carte di alta qualità essi presentano chiaramente l’articolazione degli spazi, grazie a forme che risaltano nella loro precisione in virtù dei contrasti nettissimi prodotti dai neri delle sezioni murarie.
Pur basandosi quasi solo su proiezioni ortogonali raramente accompagnate da accenni prospettici, in virtù della combinazione di ombre portate i grafici risultano tuttavia vivi persino a coloro i quali non praticano il progetto, rendendo bene le volumetrie sottese. Sono disegni generalmente destinati, se non a esigenze di Stato, all’imperatore o a personaggi di alto rango, disegni che restituiscono rettamente il concetto di perfezione classica nella combinazione dei tipi architettonici, figurando in diverse tavole esposte spazi nobiliari, di rappresentanza, chiesastici, teatrali, museali, trionfali, d’occasione. Peccato qui i fogli siano trattati quasi solamente in funzione della loro valenza artistica, scegliendo di non approfondire il loro lato intrinsecamente concreto e formale, magari affiancandoli a modelli tridimensionali e dotandoli di riflessioni puntuali a proposito delle complesse questioni progettuali teorico-pratiche sottese. A maggior ragione pensando ai paralleli che si potrebbero produrre durante la breve concomitanza dell’esposizione presso le Gallerie con la prossima edizione della 16. Mostra Internazionale di Architettura che, in una delle sue sezioni speciali The Practice of Teaching, tratterà di didattica, presupposto comune alle mostre e scopo precipuo dell’oculata e meritoria acquisizione di questi disegni, destinati in particolare alla Scuola di Architettura dell’Accademia.
Il problema della didattica architettonica, degli exempla, dei riferimenti, continua a porsi, ed è testimoniato una volta di più dalla volontà di affrontarlo anche da parte delle curatrici della Biennale. La trasmissione di questo speciale sapere è questione sempre molto attuale, a maggior ragione in quello che di fatto è diventato il nostro villaggio globale, in cui tutto continua a cambiare velocissimamente. Quali possono essere i nuovi modelli cui volgere lo sguardo? A questo proposito, fra altre, sembrano particolarmente interessanti le riflessioni di Francisco Mangado: in un suo intervento su “Domus” dell’ottobre scorso egli ragiona su quella che a suo giudizio è (dopo il processo di Bologna, iter fondamentale per la realizzazione dello Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore) “una significativa svalutazione della formazione universitaria nel campo dell’architettura”, un calo di qualità argomentato da una lucida analisi a seguito della quale indica, sia in veste di professore che di professionista, una serie di rimedi. Tra questi, in particolare, egli propone di contrapporre alla cultura “dell’oggetto per l’oggetto”, prassi in cui l’apparenza diventa più importante della sostanza e l’opera architettonica è vista come manufatto autonomo, una cultura radicata sull’insegnamento a sua volta fondato sopra un’azione realmente multidisciplinare che rilanci le poste in gioco invece di ridurle, traendo i migliori risultati da una conoscenza condivisa ancor più vasta e solida in luogo di un impoverimento dettato da una semplificazione tout court. Semplificazione tout court che certo non s’intravede a Venezia alle Gallerie dell’Accademia, riflettendo dal vivo attraverso i disegni esposti su una serie di idee profonde e senza tempo tramandateci in bella forma da Quarenghi.
Immagine di copertina: Giacomo Quarenghi, prospetto per una Gran Porta di città (penna, inchiostro, pennello, acquerello su carta bianca vergata ingiallita. Archivio fotografico GAve su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Museo Nazionale Gallerie dell’Accademia di Venezia)
Giacomo Quarenghi. Progetti architettonici
a cura di Paola Marini, Annalisa Perissa e Valeria Poletto
Gallerie dell’Accademia, Campo Della Carità 1050, Venezia
2 marzo – 17 giugno 2018
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Last modified: 3 Aprile 2018