Dalla collaborazione tra la Fondazione Benvenuti in Italia e il Comitato Interfedi di Torino scaturisce un progetto di centro ecumenico che unirà 19 comunità religiose in spazi dedicati e condivisi
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TORINO. Possono un musulmano, un cristiano ortodosso e un buddista condividere lo stesso spazio di preghiera? Può questo spazio diventare un luogo di scambio culturale in cui le identità dei gruppi religiosi non siano taciute? Sono queste le domande che stanno guidando un’esperienza di condivisione e progettazione a Torino: la Sala delle Religioni.
Nato dalla collaborazione tra la Fondazione Benvenuti in Italia e il Comitato Interfedi della città, il progetto raccoglie i rappresentanti di diverse comunità religiose e gli attori istituzionali, per tentare un esperimento che ha pochi analoghi in Europa.
La condivisione di uno spazio da parte di religioni diverse è un problema già affrontato nel corso dei secoli. Dai santuari condivisi tra cristiani e musulmani nel bacino del Mediterraneo descritti in Lieux saints partagés da Dionigi Albera (2015), fino alla convivenza di confessioni cristiane nella basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, la storia ha offerto diversi modelli d’interazione. A partire dal secondo Novecento tuttavia, un modello particolare di questa interazione ha avuto una grande diffusione. La necessità di accogliere in ospedali, aeroporti, università, persone con credi differenti, ha portato ad una domanda di luoghi dove poter pregare, anche in assenza di un vero e proprio luogo di culto dedicato. I primi esempi si possono ritrovare negli ospedali inglesi tra anni Cinquanta e anni Sessanta, ma ben presto il modello della stanza del silenzio si è diffuso in tutto il mondo occidentale. Al di fuori di qualche realizzazione illustre, come la cappella Rothko a Houston (Texsas), questi spazi hanno una caratteristica comune, ovvero non contengono alcun elemento identitario, come simboli o immagini, eliminando di fatto conflitti e rivendicazioni. Lo stesso riferimento al silenzio suggerisce poi un uso che permette un’efficace convivenza tra pratiche spirituali differenti.
Le esperienze europee
È proprio da questa mitigazione dei conflitti che è scaturita un’ulteriore domanda, al centro di una ricerca sugli spazi multi-religiosi compiuta dalla Fondazione Benvenuti in Italia e dalla start-up Homers, finanziata da Compagnia di San Paolo: esistono oggi altri modelli d’interazione tra religioni nello spazio costruito? Esistono esperienze che affrontano la convivenza tra identità religiose diverse, senza miti?
Il progetto di Sala delle religioni di Torino nasce dal tentativo di sintesi di alcune delle esperienze europee risultato della ricerca. Tra queste esperienze la chiesa di Maria Maddalena a Friburgo (Kister Scheithauer Gross architects, 2004) costituisce uno dei casi emblematici. Condivisa tra protestanti e cattolici, l’aula è divisa in tre parti, due delle quali accolgono gli spazi per il culto delle confessioni ospitate, mentre la terza ospita il fonte battesimale, punto d’incontro tra le due comunità. Grazie ad un sistema di pareti mobili lo spazio centrale piò essere unito agli altri configurando così una grande aula per celebrazioni particolari di una o dell’altra comunità, oppure uno spazio dedicato alla preghiera ecumenica.
Un secondo caso è la House of One di Berlino, edificio che accoglierà sotto il suo tetto i tre monoteismi e per il quale da giugno 2014 è attiva un campagna di finanziamento. Qui ognuna delle tre religioni coinvolte avrà uno spazio di culto ma i fedeli condivideranno l’atrio, dedicato a esperienze di scambio culturale tra le comunità e aperto alla città.
Il caso torinese
A partire da simili modelli il progetto di Sala delle religioni tenta di cogliere il potenziale d’integrazione che già caratterizza Torino. All’interno della Incet, ex fabbrica di cavi elettrici restaurata dal Comune per ospitare un centro d’innovazione sociale, i rappresentanti di 19 comunità religiose stanno condividendo insieme a tecnici e architetti la progettazione di uno spazio a metà tra cultuale e culturale. Per comunità che più necessitano di spazi dedicati, quella musulmana e quella ortodossa, il progetto dedica spazi per il culto, inseriti all’interno di uno dei grandi ambienti della fabbrica. Lo spazio rimanente sarà invece disponibile alle pratiche spirituali delle altre religioni e ad una biblioteca che permetterà di esplorare le culture coinvolte. Lo spazio così tripartito potrà anche aprirsi per accogliere conferenze e dibattiti aperti alla città, oltre che alla preghiera ecumenica.
Il progetto è in corso di finanziamento con un processo dal basso che vede protagoniste le stesse comunità che lo stanno sviluppando, ma è già lanciato verso una dimensione più grande. Quella dell’Incet infatti non sarà che la prima esperienza di un progetto complessivo di coesistenza religiosa tra le comunità locali che potrebbe nei prossimi anni trovare un tetto in una Casa delle religioni che ha già l’ambizione di dialogare con il modello berlinese.
Sia che si tratti di una sala o di un vero e proprio edificio, questi progetti tentano di riportare al centro del dibattito sulla multiculturalità l’importanza delle diverse identità religiose nella sfera pubblica. Un dibattito che sembrava arrestato di fronte alle proteste contro i minareti e che non si esaurirà con la realizzazione di uno spazio multi-religioso. Può infatti una città in cui esiste una casa delle religioni, non accogliere una moschea? La risposta del comitato interfedi è decisamente negativa e la Sala delle religioni potrà essere una buona occasione per muovere qualche passo verso il nuovo obiettivo.
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Chiese , torino
Last modified: 8 Agosto 2017