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Paola ArdizzolaWritten by: Inchieste Progetti

Chiese d’emergenza: l’esempio di Bartning non ha attecchito in Italia

Chiese d’emergenza: l’esempio di Bartning non ha attecchito in Italia

Le opere provvisorie concepite da Otto Bartning nella Germania del secondo dopoguerra rappresentano il primo esito di un’architettura sacra che coniuga costruzione industrializzata e coinvolgimento della collettività nel cantiere

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In architettura, ci sono degli ambiti o delle situazioni ove pare impossibile fare della storia una maestra di vita. Così per le situazioni di emergenza in Italia, alle quali si risponde sempre con nuove soluzioni, adottate d’urgenza, a rifondare da zero percorsi ed esperienze che, altrove o poco lontano, annoverano esempi di successo. Oltralpe, per esempio, alla distruzione fisica e morale del secondo conflitto mondiale fu un programma di chiese temporanee che contribuì a garantire una nuova stabilità alla comunità protestante, a partire dalla ricerca di Otto Bartning.

Intorno all’architetto: Otto Bartning

Nato a Karlsruhe nel 1883, Bartning fu esponente della corrente espressionista che, grazie alla sua collaborazione con il Novembergruppe, diede vita, sotto la guida di Bruno Taut, all’Arbeitsrat für Kunst (Consiglio di lavoro per l’arte). Teologo oltre che architetto, con un dottorato honoris causa in teologia tributatogli nel 1924 dall’Università Albertus di Koenigsberg, Bartning era impegnato principalmente su temi di edilizia religiosa, nell’ambito della liturgia protestante. Teorico prolifico, continuerà a scrivere di architettura religiosa fino alla sua morte (1959) in importanti pubblicazioni come Die Stahlkirche (New York, 1930), Die 48 Notkirchen in Deutschland (Heidelberg, 1949) e Erde, Geliebte (Hamburg, 1958).

Alla fine della seconda guerra mondiale Bartning era già noto per la Stahlkirche, la Chiesa temporanea in acciaio, eretta con una struttura in ferro nel 1928 nell’ambito della fiera Presse a Colonia e definita dalle ampie vetrate disegnate da Elisabeth Coester. La chiesa rappresenta un primo tentativo di architettura religiosa basato sulla costruzione industrializzata, prassi che molti architetti modernisti stavano sperimentando soprattutto nell’edilizia sociale. Secondo Giovanni Klaus Koenig, la chiesa in acciaio rimane un esempio insuperato di semplicità e rigore espressivo. Purtroppo però l’edificio fu definitivamente abbattuto nel 1960 dopo essere stato smontato e rimontato ad Essen.

 

Le chiese d’emergenza

Il valore prodromico della Chiesa in acciaio si manifesta appena terminata la Seconda guerra mondiale nelle cosiddette Notkirchen, le chiese di emergenza progettate da Bartning secondo uno schema di prefabbricazione seriale: una serie di pilastri a trapezio con trave continua inclinata per definire il tetto, tutto in legno prefabbricato. La particolare geometria evitava di dare l’impressione di “baita alpina”, secondo Bartning uno dei casi più inopportuni di “architettura traslata”. Con questo sistema l’architetto fu chiamato a progettare 48 chiese di emergenza in tutta la Germania ma lo schema ebbe tanto successo che alla fine le chiese costruite furono oltre 80. Bartning cercò di coniugare la scarsità di mezzi destinati alla ricostruzione con il fabbisogno di una ritrovata spiritualità delle comunità che, in una Germania devastata dai bombardamenti quanto dalla nuova consapevolezza dei crimini di guerra, era fortemente necessaria. L’architetto elaborò una soluzione estremamente innovativa che coniugava la prefabbricazione con l’intervento della comunità nell’assemblaggio dei tamponamenti con “materiali di fortuna”, pietre o mattoni, riuso delle macerie, mentre i tetti venivano assemblati utilizzando travi in legno pretagliate. Erano le stesse comunità dei fedeli che sceglievano i materiali, li ripulivano dalle malte e s’impegnavano nel completamento delle costruzioni, dando a ciascuna un carattere unico. Anche la scelta del luogo era di cruciale importanza e laddove possibile si costruiva sul sito della chiesa distrutta, o nelle sue immediate vicinanze. Era questo un modo per evitare lo spaesamento già in atto a causa delle distruzioni e corroborare lo psico-topos delle comunità, ossia una psicologia di luoghi certi e inalienabile per stabilizzare una civitas in forte difficoltà. Per lo stesso motivo, le Notkirchen non erano a pianta centrale, come le chiese sperimentali della fase espressionista dell’architetto, ma sempre a sviluppo longitudinale perché andavano a sostituire le antiche chiese, ormai distrutte, con la medesima planimetria.

 

Costruzioni temporanee, comunità permanente

Bartning progettò quattro tipologie di base di chiese d’emergenza

– tipo A, B, C e D – che potevano essere erette in tempi assai rapidi. Esse si distinguevano per la posizione del predicatore rispetto all’assemblea, come suggerisce la liturgia protestante: con queste chiese Bartning ricostruiva non solo lo spazio ma le comunità stesse. Nella medesima direzione la scelta del riuso delle macerie: una liturgia per aggregare le comunità e garantirle un ruolo attivo e critico in un legame con il passato in grado di fondare una “Germania anno zero” a partire da ciò che resta.

L’architettura dell’emergenza diventava così anche una precoce “architettura collettiva”, capace di rappresentare la comunità superstite impegnata in una costruzione in cui ogni mattone assumeva “dal basso” valore identitario, in qualche modo all’opposto dalla decontestualizzazione che caratterizza l’architettura di emergenza oggi in Italia: un affare “da gestire dall’alto”. Delle chiese di Bartning furono poi le comunità stesse a richiederne la permanenza: troppo alto il loro ruolo semantico-spirituale per abbandonarle alla loro naturale temporaneità. Su questa stessa base, da parte delle autorità tedesche alla tutela del patrimonio, la recente richiesta affinché le Notkirchen di Bartning siano inserite dall’Unesco nel Patrimonio dell’Umanità.

Mentre di questa istanza seguiremo gli esiti, bisogna pur rilevare che in Italia la successione tra temporaneità e permanenza si è mossa all’opposto, e le chiese dell’emergenza a Bologna come all’Aquila sono troppo spesso blocchi pesanti e semi-permanenti inadeguate alle popolazioni e ai loro paesaggi.

Immagine di copertina: Otto Bartning, Stahalkirche, Chiesa in acciaio; Francoforte, 1928 (© Archivio Otto Bartning, Universitá di Darmstadt)

Autore

  • Paola Ardizzola

    Ha un dottorato in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica conseguito nel 2003 presso l’Ateneo “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara con una tesi sull’opera di Bruno Taut in esilio (1933-1938). É membro fondatore (2013) del Dipartimento di Architettura della Antalya Science University (Antalya, Turchia), dove attualmente riveste la carica di capo dipartimento e di vice preside della School of Fine Arts and Architecture. É membro di DO.CO.MO.MO Turchia, membro della IAA – International Association of Aesthetics, membro della Commissione Scientifica per le Celebrazioni del Centenario della nascita di Bruno Zevi (2018). Nel 2010 ha conseguito il Premio Internazionale Bruno Zevi, prima Italiana a ricevere il titolo.

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Last modified: 8 Agosto 2017