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Alba CappellieriWritten by: Design

Giro giro tondo. Design for Children

Giro giro tondo. Design for Children

La X edizione del Triennale Design Museum è dedicata ai bambini: 7 sezioni per altrettanti curatori

MILANO. Dopo il design al femminile il Triennale Design Museum apre la X edizione con un approfondimento sulla cultura del progetto per l’infanzia, dedicato al design e all’architettura per i bambini, ai giochi e alle immagini che li hanno divertiti e raccontati, agli spazi in cui si sono mossi, agli oggetti che hanno manipolato.

Si tratta di una delle edizioni più riuscite, non soltanto per la scelta del tema, giocosamente trasversale e universale, quanto per il grado di approfondimento e l’ampiezza dei punti di vista ma anche perché ci ricorda che è un nostro dovere lasciare ai nostri figli un mondo migliore e il design può esserci di aiuto.

Il viso dolce di Quadratino, famoso personaggio di Antonio Rubino che è la mascotte della mostra, ci introduce in un universo allegro e gioioso che l’allestimento di Stefano Giovannoni ha reso ancora più colorato e ludico trasformando lo spazio in un enorme playground dove spiccano un gigantesco libro di Pinocchio e una sorridente balena rosa.

Ma è la polifonia curatoriale la novità di maggior interesse della X edizione in quanto scardina l’individualismo monoculare del curatore a vantaggio di un pluralismo intriso di prospettive, con un evidente beneficio in termini di approfondimento e completezza. Affinché il pluralismo sia armonico occorre però una regia impeccabile e generosa e Silvana Annicchiarico conferma l’importanza del ruolo del direttore non soltanto per fini gestionali od organizzativi ma come baricentro di visioni e trait d’union di contenuti. “In una società che pone il bambino al centro del mondo e del microcosmo familiare – afferma Annicchiarico – che ne fa spesso un despota delle scelte e delle relazioni ma che paradossalmente non gli riconosce né autonomia né statuto pensante, il percorso che propone questa edizione del Museo vuole intrecciare la storia del design italiano con la storia del bambino in Italia, cercando di non considerarlo solo un utilizzatore dei consumi e dei processi decisi dagli adulti ma anche un soggetto autonomo di storie, di sguardi e di scelte“.

L’universo dell’infanzia è pertanto indagato in sette macro sezioni (Arredi, Giochi, Architetture, Segni, Animazioni, Maestri Strumenti), intervallate da focus su icone del design ludico quali Bruno Munari e Riccardo Dalisi ma anche sull’amatissimo burattino Pinocchio e sulla pedagogia.

 

Arredi

A cura di Maria Paola Maino

, la sezione disegna un sintetico excursus storico dell’arredo per l’infanzia, a partire dalla produzione Thonet che miniaturizza le seggioline degli adulti in dimensioni fanciullesche, senza dimenticare il contributo di artisti come Fortunato Depero o di Antonio Rubino, cofondatore del Corriere dei Piccoli e autore anche di mobili per bambini. Da non perdere l’indimenticabile sedia Kartell in politene K1340 del 1964 con cui Marco Zanuso e Richard Sapper dopo quattro anni di sperimentazione rivoluzionarono il concetto di sedia per bambini sia dal punto di vista formale che da quello tecnologico e dei materiali. Con la distribuzione su larga scala dell’Ikea l’arredo per l’infanzia conquista una propria autonomia progettuale oltre che semantica, come dimostrano oggi i lavori raffinati di designer come Paolo Ulian con il suo tappeto Sci-Volante o il set pappa di Naoto Fukasawa per Driade e Lorenzo Damiani con la sua Girella per Campeggi.

 

Giochi

A cura di Luca Fois con Renato Ocone

, è tra le sezioni più interessanti e parte dalla considerazione che “il giocattolo è cibo per la mente” come recita la campagna di comunicazione di Assogiocattoli. Giocare è un’attività fondamentale per il bambino, non soltanto dal punto di vista ludico ma soprattutto da quello pedagogico. Giocando si diverte e impara, sperimenta nuovi sensazioni e nuove esperienze. Il design ha assunto un ruolo importante anche nelle ricerche pedagogiche, a partire da Maria Montessori che per prima mise in luce il valore pedagogico dei giochi in quanto capaci di sviluppare le capacità di apprendimento e organizzazione, della percezione come delle abilità formative (peso, colore, dimensioni) della personalità del bambino. Tra i primi giochi troviamo la sfera e il cubo che Friedrich Fröbel usava per aumentare il livello cognitivo, mentre solo qualche decennio più tardi le sorelle Rosa e Carolina Agazzi indagarono i materiali più poveri, gli strumenti più semplici per l’apprendimento spontaneo del gioco. I primi anni dell’infanzia rappresentano il momento in cui lo sviluppo creativo assume le sembianze del gioco: bambole, soldatini, trenini, peluche o giochi da tavola, il Sapientino, i Gormiti, il Geomag, il Meccano fino ai numerosissimi giochi in mostra definiscono l’importanza del gioco nella crescita del bambino. Tale visione del gioco come insegnamento spontaneo ha rafforzato il legame tra il design italiano e la pedagogia creativa, sviluppato in primis da Bruno Munari – cui Alberto Munari dedica un puntuale approfondimento – nei suoi laboratori di creatività come dai progetti per i più piccoli di Enzo Mari, Marco Zanuso, Achille Castiglioni, Ettore Sottsass, e soprattutto di Riccardo Dalisi, cui la mostra tributa un focus a cura di Francesca Picchi. Come sostiene Mari i giochi migliori sono quelli che sviluppano la capacità di ogni bambino di produrre intelligenza.

 

Segni

A cura di Pietro Corraini

, la sezione indaga l’influenza della grafica per i più piccoli. I bambini ricevono quotidianamente miriadi di messaggi visivi, pubblicità, cartoni animati, libri, diari, manifesti e vestiti che sono progettati da professionisti della comunicazione che definiscono i bambini come “target” dei propri progetti senza interrogarsi sugli effetti che la grafica ha su di loro. “C’è un punto -afferma Corraini – dove il graphic designer e i bambini si incontrano e dove entrambi i mondi si trovano a loro agio anche se per motivazioni distinte: nella pratica dello smontare per imparare”. Se i bambini non rompono i giochi ma li smontano per capire come sono fatti, analogamente il lavoro dei progettisti è quello d’interrogarsi sulla sostanza delle cose oltre che sulla loro forma. Tra i primi a cogliere la vicinanza tra design e bambino troviamo Bruno Danese che non a caso ha prodotto molti oggetti per l’infanzia: oggetti semplici con cui interagire in modo libero e intuitivo, senza regole e, soprattutto, non come miniaturizzazione di oggetti per adulti ma come risultati di una ricerca fondata sull’identità e le necessità dei più piccoli. Riviste, libri, favole, fumetti illustrate da Munari, Iliprandi, Altan, Cavandoli o articolate come il Gioco delle favole di Mari per Danese del 1965, un libro che permette di creare e raccontare infinite storie attraverso un’invenzione progettuale che diventa anche narrativa.

 

Animazioni

A cura di Maurizio Nichetti

, la sezione indaga il rapporto tra il cinema e i bambini. Dalla prima proiezione di Biancaneve, il 21 dicembre del 1937 alle mirabilia digitali dei cartoni animati contemporanei Nichetti ci racconta, nel bel saggio del catalogo Electa, la nascita dell’animazione italiana che non si rifà al modello disneyano americano ma tenta una sua autonomia espressiva. Dal Carosello del 1957 fino ai film di Gianini e Luzzati e soprattutto, con Bruno Bozzetto, gli anni Sessanta sono l’epoca d’oro dell’animazione italiana, quelli destinati a segnare l’immaginario infantile. Le avventure del signor Rossi e del cane Gastone sono purtroppo sparite quando John Lasseter, nel 1986, a Los Angeles, realizza un’animazione computerizzata tridimensionale. E’ l’inizio della Pixar e, come dice a ragione Nichetti, “la fine dei rodovetri e delle matite geniali e l’inizio di altri mondi fantastici per i bambini del nuovo millennio”.

 

Architetture

Di grande interesse per i nostri lettori, la sezione a cura di Fulvio Irace indaga il rapporto tra i più piccoli e lo spazio scolastico. Incipit della narrazione è l’asilo Sant’Elia a Como di Giuseppe Terragni cui si deve non solo il progetto architettonico ma anche quello degli arredi in tubolare metallico che, fedeli allo spirito montessoriano determinarono, osserva il curatore, “un campo per gli architetti di fervente sperimentazione dove l’ambiente non si configura più in rigide divisioni funzionali ma si afferma nel disegno di uno spazio libero e fluido”. I principi montessoriani ebbero un’ampia eco nello sviluppo delle architetture per l’infanzia: asili, scuole, colonie ma anche le Case dei bambini come quelle nel quartiere operaio dell’Umanitaria a Milano del 1908-1909. Gli spazi dell’apprendimento diventano essi stessi metafora di progresso e innovazione: lo dimostrano, tra gli altri, il recente asilo a Guastalla di Mario Cucinella Architects o le scuole in Veneto di Cappai e Segantini fino al Manifesto di sette punti con cui Renzo Piano riassume il valore della scuola come cellula aperta della società per dimostrare che le fonti dell’apprendimento sono molteplici e comprendono le culture di appartenenza come pure la natura, i linguaggi e la memoria.

 

Maestri

La scuola è uno dei baricentri della X Esposizione, sia per gli spazi architettonici che per la sezione a cura di Monica Guerra e Franca Zuccoli che indaga i processi di apprendimento attraverso il lavoro di educatori e maestri quali Maria Montessori, Rosa e Carolina Agazzi, Giuseppina Pizzigoni, Don Milani, Alberto Manzi, Ettore Guatelli, Mario Lodi, Gianfranco Zavalloni, Franco Lorenzoni, Alex Corlazzoli, la Reggio Children di Loris Malaguzzi, l’Asilo nel bosco o le Scuole senza zaino ma anche per gli arredi e per gli strumenti.

 

Strumenti

A cura di Francesca Balena Arista

, la sezione è dedicata a quegli oggetti “che i bambini e i loro insegnanti, hanno manipolato nelle interminabili ore di scuola”: matite, gomme, temperini, quaderni, righe, squadre, compassi, che hanno costituito e ancora costituiscono il paesaggio e i “passaggi” dei giovani scolari. Dalla mitica Coccoina alla cartella di cuoio e alla stilografica con il suo calamaio, dalle matite Presbitero o Fila ai pastelli Giotto e alla penna Bic, nel tempo l’immagine degli strumenti scolastici è cambiata nei materiali come nelle tecnologie produttive e troviamo in mostra oggetti definitivamente scoparsi dall’uso comune e ignoti ai più giovani: come la scolorina o la polvere da diluire per fare l’inchiostro, i compassi di latta, la gomma da cancellare all’interno di una bacchetta di legno e molti altri oggetti che hanno modificato gli strumenti per la scrittura e il disegno.
La scuola, con i suoi giochi, i suoi maestri, gli strumenti, gli arredi, gli spazi si conferma centrale nei processi di apprendimento e di crescita dei bambini perché, come afferma Alex Corlazzolila scuola non può essere una porta che si chiude per imparare la storia, la geografia, l’italiano o la matematica ma deve essere una finestra spalancata sul mondo”.

 

Immagine di copertina: © Gianluca Di Ioia

Autore

  • Alba Cappellieri

    Professore ordinario al Politecnico di Milano, dove dirige il corso di laurea in Design della moda. Dal 2014 è direttrice del Museo del Gioiello di Vicenza. Ha dedicato al design e alle sue intersezioni con la moda numerose mostre e libri, ha partecipato a convegni internazionali e vinto premi e riconoscimenti, ma considera il suo maggior successo avere incuriosito i suoi studenti a scoprire le storie meno note ed evidenti del design, stabilendo connessioni e convergenze senza mai fermarsi alle apparenze.

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Last modified: 11 Aprile 2017