Storico, urbanista e architetto, protagonista e osservatore lucido e critico della parabola del moderno
La fine di un’epoca è segnata dalla scomparsa progressiva dei suoi protagonisti. Il XX secolo, con il fervido secondo dopoguerra, si chiude, almeno per l’architettura italiana, con la perdita di Leonardo Benevolo, figura preminente che ha connotato con la propria opera gli ultimi 60 anni della vita culturale del nostro paese. Storico, urbanista, architetto, dalla fine degli anni cinquanta opera fra il mondo accademico e quello professionale alimentando un circolo virtuoso che, in quel momento, permette all’Italia di essere riferimento nel mondo. Del 1960 sono Storia dell’architettura moderna e Introduzione all’architettura, mentre nel 1963 esce Le origini dell’urbanistica moderna: la sua Storia dell’architettura sarà il testo base per generazioni di studenti. Premi e riconoscimenti ne sanciscono la fama in tutto il mondo – i suoi testi saranno tradotti in tutte le principali lingue comprese turco, arabo, cinese e giapponese – mentre la sua attività nel campo dell’urbanistica e della progettazione si esplica per le città italiane, fra le altre Bologna, Ferrara, Brescia, Urbino, Modena, Venezia, Roma, Palermo, Torino.
Nel 1990 apre con i figli Alessandro e Luigi lo studio di Cellatica (Brescia).
Il suo pensiero critico non si arresta mai e accetta di arrivare anche a bilanci difficili, come ne Il tracollo dell’urbanistica italiana (2012), uno dei suoi ultimi testi.
Il mio personale ricordo va alla passione e alla freschezza con la quale, al volgere del millennio, tornò a ripensare assieme al figlio Luigi, l’intervento realizzato quarant’anni prima con Tommaso Giura Longo e Carlo Melograni per il quartiere della Fiera di Bologna. Da insediamento leggero fuori porta la struttura doveva mutare la sua natura per dotarsi di quelle carateristiche e di quei servizi atti a sostenere la sfida di un mercato totalmente mutato. Fu un lavoro denso e assiduo in cui Benevolo si distinse per la flessibilità e l’apertura di vedute anche nel modificare, giocoforza, l’antico progetto, confermando la sua natura e attitudine ad essere architetto del moderno, pronto al mutamento e all’evoluzione. Dote non comune e da sempre rara, ma caratteristica delle personalità fuori dal comune come la sua.