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Written by: Interviste

Alfonso Femìa: vi porto nel sottomarino dei 5+1AA

Uno dei fondatori dello studio genovese traccia un bilancio di oltre vent’anni di lavoro, tra Italia ed estero, tra occasioni e concorsi, tra fantasia e corporeità. L’abbiamo avvicinato a Bergamo in occasione della conferenza “Diritto alla materia”, organizzata dall’i.lab di Italcementi per il FuoriSalone 2016

 

numeri e lettere

Nel 1995 nascevano i 5+1. Nel 2005 siete diventati 5+1AA, aumentando il vostro organico e il raggio d’azione. Insieme a te, Gianluca Peluffo e Simonetta Cenci oggi ci sono molti collaboratori che lavorano negli studi di Genova, Milano e Parigi. Se dovessi ripercorrere questi anni di attività, quali potrebbero essere i momenti più importanti (e decisivi) della vostra comune esperienza?

I momenti sono diversi, per ragioni differenti. Il convegno internazionale che abbiamo organizzato sul tema dei concorsi nel 1996 – Francia 2013-Italia 10. Non si uccide così anche l’architettura? – è stato un momento determinante. Il successo e la magia di quelle giornate pensate e organizzate da giovani senza lavoro, ma con uno studio già aperto da oltre un anno, pieni di sogni e voglia di combattere attraverso il confronto, la cultura, il dialogo, e raccogliere le sfide, sono state tra le prime emozioni forti. E poi i primi cantieri pubblici, la realtà del fare che accompagnava i sogni e provava a tradurli in reale: i primi viaggi verso Parigi, le prime affermazioni nei concorsi nazionali e internazionali, il campus di Savona, la prima occasione di confronto al di fuori delle “mura” di casa con i progetti di Milano. I Frigoriferi Milanesi e il Palazzo del Ghiaccio sono stati la chiave di volta e di svolta che ci ha permesso il confronto con una grande metropoli e con importanti committenti privati che hanno creduto nell’architettura della nuova generazione. Tutti questi momenti sono stati attraversati dalla nostra straordinaria voglia, continua e senza soste, e dalla volontà d’impegnarsi nella ricerca, nell’esplorazione, nel pensare e nell’agire, nel fare e nel dire, incassando sconfitte e valorizzando in profondità le occasioni delle vittorie. E questo ci ha permesso di rimanere sempre noi stessi, nel cuore e nell’anima, senza mai prendersi troppo sul serio, dentro un viaggio che continuerà sempre.

 

un sommergibile nel mare dell’architettura

L’icona dei 5+1AA è un sommergibile, una metafora marinara che per voi ha significati particolari. Com’è nata l’idea di far diventare questa macchina di navigazione il simbolo di uno studio di architettura?

Il gioco è una cosa seria. E attraverso il gioco si possono affermare cose importanti. Nel sottomarino ci sono i nostri concetti di silenzio e ricerca della profondità contrapposta al “surf_are” della contemporaneità. Il silenzio cosciente di come non sia possibile dire tutti i giorni cose intelligenti. Il silenzio che accompagna il quotidiano e prepara l’affondo sull’obiettivo una volta messo a fuoco e in quel momento si esce fuori dalla profondità dell’acqua e si dichiara quanto si vuole proporre. Nel sottomarino il lavoro di gruppo e di fedeltà è fondamentale, la tua vita dipende dagli altri. La coscienza che il nostro lavoro deve avere comandanti che si prendono le responsabilità e che tracciano le rotte e indicano gli obiettivi ma all’interno di un lavoro e di un consenso collettivi che danno forza e coraggio, rifiutando l’idea che il nostro mestiere possa essere legato ad un solo individuo ma credendo nel lavoro di gruppo che ovviamente deve avere forti ambizioni di scendere in profondità più che di apparire in superficie. Siamo giocosamente, ma seriamente, in conflitto con il modo di pensare l’architettura e l’architetto che è stato proposto nell’ultimo decennio, dove si è messo l’accento più sull’apparire e sui proclami che non sul reale, ovvero sull’esigenza di una poetica, sull’esigenza di dover riparlare di bellezza. Lottavamo contro il famoso e autorevole proclama fuck the context e quindici anni dopo tutti si sono avvicinati al “contesto” come aspetto fondativo.

 

dei concorsi

In tutta la vostra esperienza i concorsi hanno sempre rappresentato un elemento ricorrente, oserei dire imprescindibile. Puoi tracciare un bilancio a distanza di molti anni dal primo concorso vinto nel 1996, con particolare riferimento allo scenario italiano?

Vent’anni dopo il nostro convegno sui concorsi nessun vero passo in avanti è stato fatto a livello pubblico in Italia. Il sistema dei concorsi non è mai realmente arrivato, meno che mai la legge sull’architettura. L’unica cosa importante che è successa consiste nel fatto che una volta che si è cominciato a percepire l’architettura come un possibile strumento di valore, commerciale o mediatico, le committenze private, secondo loro regole, hanno usato il concorso ad inviti per scegliere architetti e/o progetti. La cosa singolare è che, alla fine, il nostro convegno del 1996 resta l’unico atto forte e chiaro in vent’anni sul tema: il resto, citando il grande De Niro, sono solo “chiacchere e distintivo”, e ciò, esasperando i concetti, è molto grave. È la sconfitta delle istituzioni, totale e senza appello. È l’irresponsabile scelta di non dare un futuro alle nuove generazioni. Nel frattempo il mondo è radicalmente cambiato e alcuni discorsi non hanno senso se non strettamente legati alla realtà attuale che vede il percorso progettuale delle opere pubbliche frammentato in una serie di fasi (preliminare, definitiva, esecutiva) e per ognuna, secondo la legge vigente, ci dovrebbe essere un progettista diverso. Pochi concorsi e distruzione del ruolo del progettista: siamo veramente un paese sperimentale, sempre all’avanguardia! Noi crediamo invece ostinatamente nello strumento di concorso volto a tradursi in realtà, con un ruolo preciso dell’architetto che deve restare nella cabina di regia del processo, assumendosi le relative responsabilità e gestendo il processo sotto tutti gli aspetti, come richiede la complessità contemporanea. Il resto è irresponsabile e inutile dialettica.

 

i tre sentimenti

La vostra idea di architettura si fonda su una triade concettuale: “generosità, corpo, meraviglia”. In questi tre “sentimenti”, come voi li chiamate, è riassunto il vostro modo di concepire l’architettura. In che modo?

È il modo con cui ognuno di noi, da bambino, scopre il mondo attraverso il proprio corpo, libero in una sequenza di azione e reazione, di sincera generosità ad abbandonarsi alle cose e a scoprire attraverso lo stupore e la meraviglia il mondo che ci circonda e le persone che lo riempiono. L’architettura è spazio e percorsi che lo attraversano, è sequenza e ritmo, è scrittura e lettura, è interno ed esterno, è percezione ed emozione, è intimità e dimensione collettiva. L’architettura pertanto deve ritornare a rimetterci in connessione con questo momento importante della nostra vita che non ci ricordiamo ma che è la parte fondativa di noi tutti. È Le nombril de rêves che raccontiamo nella nostra monografia presentata alla Fondazione Guggenheim durante la Biennale di Venezia del 2008. L’architettura deve essere in maniera semplice molte cose, ma soprattutto deve essere condivisa e deve, attraverso questo sentimento, diventare bellezza.

 

un progetto sentimentale

Un progetto che esemplifica in modo chiaro il vostro approccio e la vostra idea di architettura “sentimentale” è la nuova sede di BNL-BNP Paribas a Roma, ora in fase avanzata di cantiere. Puoi spiegare come i tre “sentimenti” siano intervenuti nel processo progettuale?

Generosità: credere che non esistano i non luoghi e voler trasformare una parte residuale di un’area nell’identità di un quartiere. Credere che gli edifici per uffici possano non essere dei volumi autoreferenziali, asettici da tutto ed espressione sola di un possibile linguaggio, ma essere parte importante della città e non più corpo parzialmente estraneo ad essa. Corpo: un edificio che sente la luce che lo illumina, lo scalda, e che con essa dialoga ora giocando, ora proteggendosi. Meraviglia: non esisterà mai un momento in cui l’edificio sarà uguale al momento precedente. Ogni ora, ogni giorno, ogni mese racconterà un edificio diverso nel suo dialogo con la luce, le trasparenze e i riflessi, la notte e il giorno. Racconterà una storia con cui ognuno, quando lo incontrerà, ne farà parte e la racconterà.

 

la ricerca nella materia

I vostri progetti non sono mai disgiunti da un forte desiderio di ricerca. Questo emerge nella poliedricità di forme, colori, materiali e riflessi che, volta per volta, caratterizza le vostre architetture. Non ci sono linguaggi stabili, repertori di forme ricorrenti: l’unico elemento che trovo sempre presente nel vostro lavoro è, appunto, la continua ricerca nella materia.

Apri un tema importante e difficile. Abbiamo studiato in un mondo dove tutto doveva essere classificato e classificabile. Se non riuscivi ad esserlo in qualche modo eri, per citare un film recente, un “divergente”. Poi tutto è cambiato e le quattro pareti a cui ognuno si appoggiava per poter esistere con ingenua tranquillità sono sparite, sono diventate variabili, cangianti, velocemente differenti. Non so se noi, non avendo mai condiviso un’idea di architettura fatta di affermazioni e certezze, arroganza e presunzione, abbiamo anticipato il mondo che stava per cambiare. Abbiamo sempre ricercato un dialogo con il luogo, un sentire e vedere il luogo. Agire con il progetto ricercandolo attraverso tutti i diversi sensi ci porta in una profondità diversa. Pertanto, a fianco alle teorie di architettura e a molte architetture che abbiamo avuto modo di studiare ma soprattutto di “incontrare”, abbiamo sempre ritenuto che, dopo lo spazio, la materia fosse il modo di fare l’architettura affinché diventasse anche sensuale, intima, capace di reagire con la luce e con la sua variabilità, capace di dare identità ai luoghi e alle persone che ci vivono. Ma la materia non poteva essere la scelta da un catalogo, occorreva ripartire laddove tutto aveva un senso e dei valori, dove esisteva un percorso circolare del processo creativo in cui la materia era dialogo con artigiani, artisti, aziende, imprese. Volevamo capire che cosa la materia potesse dare al racconto degli spazi, della città, della sua percezione. E questa è stata la parte più difficile, soprattutto all’inizio. Sopra ogni altro, abbiamo sviluppato il tema della luce, del vetro e della ceramica, per poi continuare con il legno e il cemento. Con il maestro Danilo Trogu da anni condividiamo un percorso sulla ceramica: dai modelli in ceramica, alla ceramica che entra nelle architetture, alla ceramica che diventa architettura stessa. È un viaggio appassionante e infinito.

 

allons enfants!

Il baricentro d’azione del vostro studio si è progressivamente spostato dall’Italia verso altri paesi, in particolare verso la Francia: nel 2007 avete aperto una sede a Parigi con progetti e realizzazioni sempre più numerosi in terra transalpina. Come è nato e si è evoluto questo filone così preponderante del vostro lavoro?

Il “viaggio”, nelle sue differenti dimensioni, è per noi una parola importante. Non vi è strategia ma una sana voglia di “viaggiare” attraverso le città per mezzo dello strumento del progetto. Il viaggio sposta il punto di prospettiva e di percezione. Ci fa lasciare indietro le tossine negative del nostro lavoro per caricarci dell’energia necessaria all’esplorazione, alla messa in discussione su quanto fatto, al confronto da zero con nuove realtà, nuove persone, nuove culture. Con questo sguardo e sentimento viaggiamo nel nostro Mediterraneo, nella nostra Europa volgendo lo sguardo dove possiamo essere presenti e possiamo viaggiare. A Marsiglia, come a Parigi, Lione e Bordeaux stiamo lavorando a vari progetti. A giugno, ad esempio, concluderemo un progetto a Parigi che ci ha fornito l’occasione per una riflessione sulla città, ponendo domande in merito all’esigenza di ridare trama alla città contemporanea, soprattutto a quella europea.

 

rigenerare Marsiglia

Fra i progetti francesi un posto speciale lo meritano gli interventi per la città di Marsiglia. La rigenerazione dei Docks, terminata alla fine del 2015, rappresenta finora l’apice della vostra esperienza marsigliese e non solo per aver recentemente ottenuto il prestigioso premio “Best Shopping Centre” all’edizione 2016 del MIPIM di Cannes. Puoi riassumere i caratteri peculiari di questo progetto?

I Docks di Marsiglia sono tante cose. Sono territorio, città e architettura. Sono collettivi e intimi. Sono una balena arenata che dopo essere stata sola per molti anni ha visto intorno a sé crescere una nuova vita, e da margine della città ne è diventato un cuore. Erano ciò che separava il nord dal sud e l’est dall’ovest. Erano una diga. Non ci si entrava, se non fugacemente, e perlopiù solo chi ci lavorava. Non erano un luogo. Noi abbiamo proposto in fase di concorso quattro azioni: renderli porosi, farli diventare generosi, far emergere una loro intimità e sensualità, dichiarare la loro mediterraneità. La sfida era portare la luce, la trasparenza, i riflessi, il colore, la materia, la natura e i percorsi dialogando con la storia, con la natura stessa dell’edificio, dichiarando le azioni di progetto e facendo in modo che i Docks diventassero un luogo di vita, un luogo pubblico, un luogo di destinazione, un luogo di attraversamenti trasversali che si confondono con quello longitudinale. A pochi mesi dalla loro apertura, i Docks sono uno dei tre luoghi dell’immaginario di Marsiglia, dove ogni persona vuole andare per passare dei momenti, o incontrarsi. Sono diventati un luogo di vita e questo era il nostro principale obiettivo, la nostra responsabilità verso Marsiglia e i marsigliesi. Occorre vederlo con i propri occhi, non si può solo raccontare in quanto è un insieme d’immaginario e realtà.

dal Mediterraneo al resto del mondo

Vi siete confrontati con temi sempre più complessi, come i masterplan per il ridisegno d’intere parti di città, in luoghi sparsi in quattro continenti, passando dai paesi del Mediterraneo alle Americhe e alla Cina. Come è cambiato il vostro modo di lavorare di fronte a un impegno sempre più globale?

Non è cambiato, si è solo strutturato e articolato cercando di fare in modo che l’organizzazione e il metodo di lavoro interno potessero permetterci una capacità di risposta adeguata ai nuovi impegni, secondo una modalità e una logica di artigianato evoluto e necessariamente sempre aggiornato, anticipando scelte e percorrendo strade di ricerca e di metodo anzitempo. Solo così le idee, che sono l’anima, crescono e possono difendersi attraverso un corpo che si basa su metodo, processo e organizzazione. Abbiamo sempre rifiutato l’asetticità che potrebbe imporre una logica da “azienda” che vende/offre un servizio. Non c’interessa, anche se sarebbe la strada più facile. Non esistono per noi progetti importanti e meno importanti, tutto è importante e deve essere affrontato con la medesima attenzione e ricerca, altrimenti preferiamo rinunciare. Riteniamo altresì che non abbia senso andare all’estero per fare ciò che fanno già molto bene quelli che lavorano in quei paesi, inseguendo un possibile facile consenso. Occorre restare se stessi e affermare la propria visione. In questo modo si fa e si farà molta più fatica, e si dovranno perdere molti concorsi, ma noi siamo boxeur da 15 riprese, non andiamo al tappeto per KO tecnico, perché l’architettura è una cosa seria.

 

in mare aperto

Per concludere, dopo aver navigato per vent’anni a bordo del vostro sottomarino nel mare – a volte agitato – dell’architettura, quale messaggio vorresti rivolgere alle giovani generazioni di architetti italiani?

Coraggio, è ora di mettersi in viaggio!

 

Per_approfondire

Chi sono i 5+1AA

5+1AA©E. CaviolaLo studio 5+1 è stato fondato a Genova nel 1995 da Alfonso Femia, Gianluca Peluffo e Simonetta Cenci (nella foto di Ernesta Caviola) e si caratterizza per svolgere la propria attività all’interno di un ampio spettro di tematiche, affrontando il progetto architettonico e urbano a varie scale degli spazi dell’abitare, del lavoro, della cultura, dell’istruzione. La ricerca progettuale ha come principale sfondo d’indagine la città contemporanea e in particolare i temi, ad essa connessi, della riqualificazione urbana e del recupero e rifunzionalizzazione di edifici di particolare importanza. Numerose le città d’Europa e del Mediterraneo che sono interessate dai loro progetti e realizzazioni, tra le quali si ricordano Milano, Roma, Torino, Venezia, Firenze, Genova, Savona, Palermo, Tangeri, Algeri, Istanbul, Il Cairo. Fra i numerosi progetti a scala urbana si segnala il masterplan grazie al quale Milano si è aggiudicata l’Expo 2015. Lo studio ha assunto nel 2005 la denominazione di 5+1AA agenzia di architettura e ha affiancato alla storica sede di Genova gli studi di Milano (2006) e Parigi (2007, con Nicola Spinetto associato dal 2009). Fra i numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali ottenuti in vent’anni di attività si ricordano il Premio europeo all’architettura Philippe Rotthier, il Premio internazionale The Chicago Athenaeum, l’AIT Award, il Leone d’argento alla Biennale di Venezia per il nuovo Palazzo del cinema e il titolo di “Benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte dal Ministero per i beni e le attività culturali”.
 Nel 2015, lo studio si è aggiudicato i concorsi per la costruzione di un complesso comprendente residenze, hotel e uffici direzionali a Créteil-l’Echat (Francia) e per il masterplan “Il Monte Galala” a El Sokhna (Egitto). Nel febbraio 2016, il progetto dei Docks di Marsiglia si è aggiudicato diversi premi internazionali e nazionali: il MIPIM Awards come “Miglior centro commerciale”, il LEAF Awards (Leading European Architecture Forum) come Commercial Building of the Year, l’ULI Global Award for Excellence (Urban Land Institute), il CasalgrandePrix, il The Plan Award, il Ceramics of Italy.

Autore

  • Marco Adriano Perletti

    Architetto e PhD, svolge attività professionale occupandosi di progettazione architettonica e paesaggistica, pianificazione urbanistica e valutazione ambientale strategica. Ha svolto attività didattica al Politecnico di Milano partecipando a programmi di ricerca. Collabora con «il Corriere della Sera» e ha pubblicato: «Nel riquadro dei finestrini. L'architettura urbana nello spazio cinetico» (Milano 2005); «Novara. Sebastiano Vassalli tra città e paesaggio globale» (Milano 2008); con A. Femia e M. Paternostro, «1 e 3 Torri. Palazzo MSC a Genova» (Parigi 2017); «Architettura come Amicizia. Conversazioni con Mario Botta, Aurelio Galfetti, Luigi Snozzi, Livio Vacchini» (Brescia 2018); "Costruire sostenibile con la canapa. Guida all’uso in edilizia di un materiale naturale e innovativo" (Santarcangelo di Romagna, 2020)

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Last modified: 9 Novembre 2016