Omaggio al maestro francese che, dal secondo dopoguerra ad oggi, ha saputo affrancarsi dalle pastoie accademiche e dalle seduzioni corbusiane, aprendo al rinnovamento linguistico ed estetico del progetto contemporaneo
Relegata ai margini del dibattito architettonico nel corso degli anni ’70 e ’80, la figura di Claude Parent ha riacquistato spessore solo in tempi recenti, grazie al riconoscimento che gli è stato tributato dai suoi più illustri allievi, in primis Odile Decq e Jean Nouvel. Quest’ultimo ha curato l’allestimento della mostra monografica che la Cité de l’Architecture di Parigi ha dedicato al maestro nel 2010, al termine di un percorso ventennale di riscoperta della sua opera, diffusa attraverso riedizioni e studi critici. La filiazione corbusiana di Parent, stagista presso l’atelier de la rue de Sèvres, non deve portare a ridurre il suo apporto a quello di mero trait d’union generazionale, quanto piuttosto suggerire una rilettura del ruolo dell’architetto e della sua relazione con le istituzioni in un contesto di longue durée, dal secondo dopoguerra ad oggi.
Per un giovane architetto animato da istanze novatrici, la ricostruzione francese rappresenta un terreno accidentato, conteso tra l’ortodossia del mondo accademico, che è supportato dalle istituzioni e monopolizza i grandi concorsi, e le diverse “eresie” proposte dai più o meno eroici esponenti del Movimento Moderno. “Mon bagage, c’était mon insolence, ma colère“, ripete Parent a più riprese, mentre il suo spirito ribelle gli permette di farsi strada in modo poco convenzionale tra concorsi, riviste di moda femminile e piccoli cantieri residenziali. Costruisce il proprio riconoscimento partendo dal basso, dal pubblico popolare che visita i Salons, anche se nello stesso periodo frequenta l’Ecole des Beaux-Arts, la redazione de «L’Architecture d’Aujourd’hui» e i cenacoli dell’avanguardia artistica. Membro del Groupe Espace, fondato da André Bloc all’inizio degli anni ’50, Parent milita a favore dell’integrazione delle arti plastiche in architettura e collabora tra gli altri con Yves Klein, Nicholas Schöffer e Jean Tinguely.
Le prime residenze unifamiliari, realizzate con Ionel Schein, sono caratterizzate da planimetrie che rivelano una fascinazione per il Neoplasticismo e da pilotis e béton brut che tradiscono l’insegnamento di Le Corbusier. Tuttavia, in seguito Parent prende le distanze dal linguaggio moderno inserendo nelle sue opere un piano che le scompone, la fracture. Si tratta di un gesto rivoluzionario che introduce nel progetto il movimento, nella forma di un processo tellurico di slittamento dei volumi.
La chiesa di Nevers è un bunker fratturato che mostra gli effetti di tale tecnica compositiva: la luce filtra attraverso le spaccature accentuando il carattere introverso di questa architettura dal carattere bellicoso, concepita da Architecture Principe, il gruppo che Parent fonda col filosofo Paul Virilio. Le sezione della chiesa-bunker è organizzata su due piani inclinati e gli autori predispongono per i poveri parrocchiani un programma ginnico di preparazione all’avvento dell’architettura obliqua. Non si tratta di una provocazione gratuita: Parent crede nell’azione sociale e rinnova continuamente i mezzi attraverso i quali diffonde le sue idee, generate da un desiderio di cambiamento che lo agita anche in tarda età. Per promuovere l’architettura obliqua utilizza lettere, articoli, cartelloni pubblicitari, performance su piani inclinati detti praticables, fino a ridisegnare l’interno del proprio appartamento come luogo della sperimentazione.
Che si voglia o meno considerarlo una risposta a Le poème de l’angle droit, Vivre à l’oblique è un manifesto radicale che esercita un’influenza profonda sul progetto contemporaneo: La sua importanza è stata a lungo mascherata dal costume di bouffon social che Parent ha vestito per avvalersi di una libertà di parola e azione altrimenti negata. La nomina a membro dell’Académie des Beaux-Arts nel 2005 ha il sapore di un riscatto e gli permette di vestire un costume nuovo, l’uniforme verde-oro del meritato riconoscimento internazionale. E del resto, “in quanto ad eleganza, nessuno batte Claude Parent”, afferma uno dei suoi ex apprendisti, Jean Nouvel.
Claude Parent (Neuilly-sur-Seine, 1923-2016)
L’attitudine al disegno lo porta a lasciare gli studi scientifici per iscriversi all’Ecole des Beaux-Arts che, deluso dall’immobilismo dell’insegnamento accademico, abbandona senza ottenere il diploma. Dopo un breve stage all’atelier Le Corbusier, costruisce insieme a Ionel Schein alcune residenze unifamiliari alla periferia di Parigi. Alcuni suoi edifici sono divenuti icone dell’architettura contemporanea: con André Bloc realizza la villa Bloc ad Antibes (1961) e la Maison de l’Iran nella Cité universitaire di Parigi (1969); con Paul Virilio la chiesa di Sainte-Bernadette du Banlay a Nevers (1963-1966), capolavoro dell’architettura obliqua. Dallo stesso principio nascono il cubo rovesciato della casa Drusch a Versailles (1963-1966), i tetti della casa Bordeaux le Pecq a Bois-le-Roi (1963-66) e i piani inclinati del Padiglione francese per la Biennale di Venezia (1970). Alla grande scala, Parent ha rinnovato due programmi progettuali: i centri commerciali, concepiti sulla base di rampe inclinate in cemento, a Ris-Orangis (1967-70), Reims-Tinqueux (1969) e a Sens (1970), e le centrali nucleari di EDF a Cattenom (1979) e a Chooz (1960-84). Tra i suoi scritti si ricordano: Vivre à l’oblique (1970), Claude Parent, architecte (1975), Entrelacs de l’oblique (1981), L’Architecte, bouffon social (1982), Les Maisons de l’atome (1983).
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