Terzo appuntamento con le mostre che Villa Olmo, a Como, dedica al tema dell’universo urbano
COMO. Dalle città immaginate da Antonio Sant’Elia – futuristicamente vuote e desolate -, ai mercati africani fotografati da Armin Linke, ai prati urbani ripresi da Massimo Vitali. Il salto è notevole e descrive il senso della terza tappa espositiva che Como dedica al tema della città, nella sede di Villa Olmo, a un secolo dalla pubblicazione del Manifesto dell’architettura futurista.
Nel 2013 Marco De Michelis aveva curato “La Città nuova. Oltre Sant’Elia”, lo scorso anno Flaminio Gualdoni “Ritratti di città”. Adesso – fino al 29 novembre – il direttore della GAMeC di Bergamo, Giacinto Di Pietrantonio, sceglie un taglio diverso: la città è interpretata, vivisezionata, riproposta attraverso sguardi, facce, storie dei suoi attori. Protagonista è la vita che si svolge nella città, tanto da suggerire il titolo della mostra (“Com’è viva la città”), citazione della canzone “Com’è bella la città” di Giorgio Gaber (1969). Una selezione di 59 opere di artisti (tra cui Lichtenstein, Warhol, Balla, Chia, De Chirico, Savinio, Pistoletto, Cattelan, Jarr, a coprire un secolo di sguardi d’autore sull’urbanità) con netta prevalenza di lavori pittorici ma dove non mancano mezzi diversi, dall’installazione al video. “La città non è soltanto luogo architettonico e urbanistico ma spazio della vita e delle sue relazioni, fatta di esterni e di interni, di tempo libero e del lavoro, di commerci, mercati, mobilità, di lotte, identità, problemi, opportunità, solitudine, compagnia, servizi, spazi e bene comune, degrado, distruzione e costruzione”, scrive Di Pietrantonio nel saggio introduttivo del catalogo (Silvana Editoriale, pp.192, euro 28).
L’esposizione si articola attraverso sezioni tematiche (il riferimento, citato dal curatore, è a Rem Koolhaas e alla sua Biennale con una suddivisione dell’architettura in micro-elementi): trasporti, tempo libero, parchi, sport, strada, distruzione, manifestazioni, mercato, emblemi, interni. Una scelta per documentare, in maniera ampia e attraverso l’espressione artistica, “la vita di città che naturalmente non abbiamo potuto raccontare nella sua totalità, ma solo per parti e, in special modo, attraverso le manifestazioni dei cittadini”.
In un percorso espositivo intenso e di fascino – anche per la varietà dei linguaggi e delle epoche – si passa dalla città banale (Arduino Cantafora, 1980) alla reinterpretazione della domenica pomeriggio seuratiana alla Grande Jatte (Marcello Jori, 2012, scelto come immagine mostra), dalle piscine parigine fotografate da Helmut Newton (1978) al pub irlandese di Mario Merz (1970), dalle tenniste (Massimo Campigli, 1948) alla partita di pallone (Mario Radice, 1933). “Opere e mostra che parlano della costruzione quotidiana dell’identità del diritto alla città e del fatto che la città, oltre a essere uno spazio architettonico, è prima di tutto un luogo di socialità nostro e dell’altro”, chiude il curatore con un messaggio che può essere letto anche con riferimento alle attualissime e drammatiche trasformazioni che l’urbanità vive e vivrà nei prossimi decenni.
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Last modified: 29 Ottobre 2015