Il padiglione americano, con «OfficeUS» si trasforma da luogo di esposizione a luogo di dimostrazione: questo il motto con cui le curatrici Eva Franch i Gilabert, Ana Milja?ki e Ashley Schafer, un team tutto al femminile, introducono il loro lavoro. In mostra ci sono infatti finte riviste che rappresentano lattività architettonica di oltre duecento uffici statunitensi negli ultimi cento anni. Il padiglione diviene quindi ricettacolo di progetti statunitensi in emigrazione, con le loro tipologie, ditte e tecnologie, attraverso disegni e modelli. Sono più di mille gli edifici realizzati da studi tra cui non mancano le grandi firme come Skidmore, Owings & Merrill, Louis I. Kahn, Marcel Breuer e i più contemporanei Diller & Scofidio o Morphosis. Questa sorta di archivio si tramuta in studio di architettura “diffuso”, prendendo a prestito la definizione delle curatrici. Infatti, novanta architetti reclutati attraverso il web coordinati da otto architetti selezionati in base a un concorso internazionale, lavoreranno per venticinque settimane allinterno del padiglione ripensando – ricercando, sperimentando, e ridisegnando – i progetti considerati come i più significativi della storia disciplinare nordamericana. Lincentivo a suggerire differenti scenari possibili e ripensare la storia costruita è interessante. Siamo usualmente abituati a pensare allarchivio come a qualcosa di statico, pensare di riscriverlo è sempre un esercizio utile. Emblematico è anche il media utilizzato per realizzare larchivio, ovvero la rivista, permanente ma allo stesso tempo immediata, che unisce storia e cronaca. Nello specifico risulta evidente anche il tentativo di colmare il sempre sottile rapporto tra accademia e pubblicistica, come la rivista “Praxis: a Journal of Writing + Building” si prefigge di fare, e di cui Schafer, esperta di architettura statunitense, è anche la fondatrice. Siamo altrettanto usualmente abituati a pensare agli Stati Uniti come paese di accoglienza per architetti in esilio; è interessante quindi considerare tutti i progetti statunitensi sparsi per il mondo, anche se in vena espansionistica. Ma forse il pregio per un padiglione che comunque tramuta lo studio di architettura in una redazione di rivista, è comunque quello di evitare, come è spesso accaduto in passato, che il padiglione statunitense finisca per diventare solo una vetrina newyorkese.
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