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Daria RicchiWritten by: Progetti

Tra ricordo (intimo) e memoria (pubblica), così rivive il dramma delle Torri gemelle

Tra ricordo (intimo) e memoria (pubblica), così rivive il dramma delle Torri gemelle

NEW YORK. Il ricordo è soprattutto intimo e affettivo, la memoria è pubblica e storica. Il ricordo chiama al cuore, lo dice la parola, la memoria è una facoltà intellettiva. Il museo 9/11 è un monumento contemporaneo sia alla memoria che al ricordo delle vittime e dei sopravvissuti alla tragedia dell’undici settembre. Dopo una tumultuosa genesi durata 13 anni, causata da ritardi per questioni di finanziamenti mancati, il presidente statunitense Barack Obama ne ha inaugurata l’apertura (a sopravvissuti, familiari delle vittime e volontari che hanno aiutato a recuperare persone e corpi dalle macerie) il 15 maggio: «Qui raccontiamo la storia di coloro che sono deceduti, affinché le generazioni future non potranno dimenticare». L’apertura al pubblico è avvenuta invece il 21 maggio, suscitando controversie per l’elevato prezzo di ingresso: 24 dollari. L’ex sindaco di New York Michael Bloomberg giustifica la ragione per la necessità di assicurare adeguati servizi di sicurezza, e quindi sollecita ulteriori donazioni e finanziamenti che diminuirebbero il costo del biglietto (anche se tra contributi pubblici e donazioni private i progetti del museo e del memoriale hanno già usufruito di 700 milioni di dollari).
Al progetto di Davis Brody Bond (DBD) si accede attraverso il padiglione vetrato progettato da Snøhetta, Scendendo per sette piani una rampa leggermente inclinata si arriva allo spazio espositivo: 10.000 mq dedicati alla memoria. Qui il museo espone artefatti storici e diventa esso stesso artefatto storico. Raccoglie infatti 12.5000 oggetti recuperati dalle macerie: vestiti, scarpe, resti metallici, monete fuse, i ritratti delle quasi tremila vittime, alcune registrazioni, rastrelliere delle bici ancora ricoperte di polvere. Artefatto storico perché il museo sorge attorno ai resti della scala Vesey Street, la storica “Survivors’ Stairs” grazie alla quale si sono salvate centinaia di persone, e attorno ai due tridenti in acciaio, resti delle colonne strutturali e reperto delle torri gemelle. Altri tratti delle vecchie fondazioni rimaste funzionano anch’esse come percorso storico, in qualche modo estendendo il progetto in superficie di altri due architetti (Micheal Arad e Peter Walker), e che consiste in cascate di acqua e pareti con le iscrizioni dei nomi delle vittime. Il museo sorge su un terreno di 65.000 mq che sarà sempre ricordato con il nome di Ground Zero. In questo caso l’architettura diventa contenitore che serve a rivivere un’esperienza per educare generazioni future, a tratti con il rischio di trasformare in feticcio il dramma dell’attacco terroristico. Dal punto di vista stilistico, materiali sobri ed eleganti, pareti intonacate in bianco e superfici vetrate permettono la visita fornendo una quinta scenica per celebrare un sito e lasciare ancora una volta la storia recitare la sua parte, per ricordare e rammentare.

Autore

  • Daria Ricchi

    Laureata in architettura presso l’Università di Firenze nel 2003, sta completando un dottorato in storia e teoria dell’architettura presso l’Università di Princeton. Interessata alla riflessione sui confini tra i generi e le narrative storiche, nonchè ai diversi modi di scrivere di architettura, ha pubblicato un saggio sul ruolo della fantasia nei testi di storia: “There is no Fantasy Without Reality. Calvino’s Architectural Fictions" (NAi, 2015). Collabora con diverse riviste di architettura (Il Giornale dell’Architettura, A10, Area) e quotidiani (Casamica, il Corriere della Sera). Il suo primo libro (2005) raccontava il neo-modernismo olandese attraverso il lavoro dello studio Mecanoo, mentre il suo successivo (2007) riguarda il lavoro dello studio newyorkese Diller & Scofidio + Renfro.

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Last modified: 11 Gennaio 2019