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L’arma vincente è la pianificazione della decrescita

L’arma vincente è la pianificazione della decrescita

La definizione di Rust Belt, letteralmente «cintura della ruggine», ben esprime il carattere dei paesaggi urbani descritti nel volume di Alessandro Coppola. Youngstown, Detroit, Buffalo, Baltimora, Philadelphia, Cleveland, Flint: alternando efficacemente inchiesta sul campo e saggio critico, l’autore racconta gli imponenti processi di deindustrializzazione che hanno investito queste città a partire dalla fine degli anni sessanta. Sulla base di una serie di sopralluoghi ed esperienze dirette e di interviste con gli abitanti e le personalità istituzionali, il libro descrive innanzitutto una catastrofe demografica. Detroit ne costituisce a buon diritto il simbolo: la Motor City è passata infatti da 2 milioni di abitanti nel 1960 ad appena 700.000 nel 2000. L’indagine dell’autore si concentra tuttavia su realtà meno conosciute, dimostrandoci innanzitutto l’importanza di analizzare la realtà americana evitando pregiudizi e letture ideologiche. Uno dei capitoli più interessanti è dedicato alla città di Youngstown. Vittima di un dimezzamento della sua popolazione nell’arco di circa trent’anni, la città si trova oggi a gestire la sua «decrescita». L’assillo dell’amministrazione pubblica è l’elaborazione di una legislazione efficace per effettuare le demolizioni e riconvertire i suoli, in luoghi dove ormai il rudere è parte integrante dei tessuti urbani e una natura lussureggiante sta lentamente prendendo il sopravvento. A seguito dell’esodo demografico i «vuoti urbani» sono predominanti soprattutto nella Inner City, area oggi ormai degradata e abitata dalla comunità afro-americana, mentre si assiste a una crescita sempre più importante della cintura dei suburbs. In una realtà considerata la patria del libero mercato e della sussidiarietà, l’autore ci illumina inoltre su un sorprendente paradosso: come dimostra il caso della città di Flint, la migliore soluzione per lo shrinkage, dopo anni di tentativi fallimentari, è l’acquisizione delle proprietà abbandonate da parte del potere pubblico. All’inizio degli anni 2000 la Municipalità ha conferito tutti questi terreni alla Land Bank, una società partecipata il cui obiettivo è in sostanza la «pianificazione della disurbanizzazione». Che si tratti della «decostruzione intelligente» di Buffalo, dell’agricoltura urbana di Philadelphia o del caso più noto degli orti comunitari di New York, il libro ci parla di territori la cui arma vincente sembra oggi essere prima di tutto la rinuncia all’«ideologia della crescita». Apocalypse Town ci rivela inoltre come lo «stato di crisi» sia connaturato all’essenza stessa della modernità: pur essendo la decadenza urbana l’ovvia metafora spaziale di una crisi sociale, essa è soprattutto l’inevitabile conseguenza dell’individualismo democratico, che ha trasformato la classe operaia in classe media, con tutte le sue rivendicazioni «egoistiche». È insomma la modernità che distrugge se stessa, come fra gli altri hanno già più volte sottolineato i sociologi Jürgen Habermas o Ulrich Beck. E il libro tenta di suggerire delle soluzioni possibili, di volta in volta realistiche o utopistiche, o forse realistiche proprio in quanto utopistiche, nella speranza che la città sopravviva a se stessa.

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Last modified: 19 Luglio 2015