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Daria RicchiWritten by: Città e Territorio

Alla Columbia un Moneo sottotono non convince

New York. Nella sua relazione di progetto, Rafael Moneo spiega come il campus di Columbia, progettato da McKim, Mead and White nel 1897, si «inserisca nella griglia di Manhattan senza esserne veramente parte». Purtroppo lo stesso si può dire dell’edificio da lui appena ultimato, che conclude il campus nel suo angolo nord occidentale (da cui il nome con il quale è conosciuto: Northwest Corner Building). L’edificio offre 4.000 mq di spazi per laboratori di fisica, chimica, biologia e ingegneria, aule, uffici e spazi studio, distribuiti su 14 livelli (con molti laboratori a doppia altezza). A questo si aggiungono una biblioteca scientifica di 1.200 mq, un auditorium da 170 posti e una caffetteria, che apriranno a febbraio.
Molte sono le potenzialità dell’edificio che funziona da catalizzatore del polo scientifico di Columbia e connette non solo il livello strada (Amsterdam Avenue e Broadway) con il livello (a due piani più elevati) del restante campus, ma anche gli altri edifici scientifici a sud e a est. I vari ponti pedonali e i corridoi interni di connessione offrono suggestivi percorsi; e le vetrate talvolta intervallate da pannelli in alluminio permettono piacevoli viste fino al panorama a 360° del quattordicesimo piano. Peccato che i dettagli all’interno, nonostante i materiali a volte costosi (in pietra calcarea e legno di quercia), con lavorazioni altrettanto dispendiose, non raggiungono sempre un effetto raffinato, forse desiderato. Anche nel tentativo, sottolineato dall’architetto spagnolo, di movimentare un edificio altrimenti troppo regolare nella sua forma, grazie alle grandi travi reticolari laterali di controvento che, lasciate a vista, non raggiungono una necessaria eleganza ma determinano un notevole spreco di spazio interno dove s’incassano nella planimetria. L’edificio aveva però il vincolo di sorgere sopra all’esistente complesso sportivo e doveva pertanto essere interamente sospeso su un architrave di 40 m, cosa che richiedeva ambienti spesso privi di supporti interni. Il vincolo è qui diventato un limite, e molti degli spazi interni risultano talvolta angusti. Per un architetto di grande talento, che è sempre riuscito a combinare teoria e pratica, questa è forse un’occasione mancata.

Autore

  • Daria Ricchi

    Laureata in architettura presso l’Università di Firenze nel 2003, sta completando un dottorato in storia e teoria dell’architettura presso l’Università di Princeton. Interessata alla riflessione sui confini tra i generi e le narrative storiche, nonchè ai diversi modi di scrivere di architettura, ha pubblicato un saggio sul ruolo della fantasia nei testi di storia: “There is no Fantasy Without Reality. Calvino’s Architectural Fictions" (NAi, 2015). Collabora con diverse riviste di architettura (Il Giornale dell’Architettura, A10, Area) e quotidiani (Casamica, il Corriere della Sera). Il suo primo libro (2005) raccontava il neo-modernismo olandese attraverso il lavoro dello studio Mecanoo, mentre il suo successivo (2007) riguarda il lavoro dello studio newyorkese Diller & Scofidio + Renfro.

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Last modified: 10 Luglio 2015