Visit Sponsor

Daria RicchiWritten by: Reviews

Al MoMA di New York, l’architettura alla piccola scala è più etica

New York. L’idea risale al 2000, quando Andres Lepik, curatore al MoMA, visitando la VI Biennale di Venezia «Less Aesthetics, More Ethics», si trovò a riflettere sulla possibilità di essere etici senza sacrificare l’estetica, e di conciliare tali valori in uno stesso progetto di architettura.
«Small Scale. Big Change» intende esplorare il ruolo dell’architettura contemporanea quale strumento per migliorare le condizioni sociali, politiche ed economiche di un paese. Caratteristica comune di tutti gli 11 progetti presentati in mostra è quella di essere opere realizzate o in via di completamento. Le provenienze coprono diverse aree geografiche, dalla grigia banlieue parigina di Lacaton e Vassal alle case colorate per pescatori in Libano di Hashim Sarkis, fino a Brasile, Venezuela, Messico, California, Burkina Faso, Alabama e Cile. Il curatore Lepik spiega come i progetti abbiano una valenza «politica, sociale, ma anche ecologica ed economica e che nessuno di questi elementi esclude gli altri».
Due sono le varianti considerate nella scelta delle opere: da un lato il coinvolgimento del cittadino nel processo progettuale e costruttivo, come nel caso del progetto di Diébédo Francis Kéré, in cui l’intera comunità ha partecipato alla costruzione di una scuola in Burkina Faso; dall’altro la sensibilizzazione della comunità in un processo culturale, come nel caso del Museum of Struggle in Sudafrica progettato da Noero Wolff per commemorare le vittime dell’apartheid. In Alabama, ad esempio, Rural Studio è una succursale dell’Università di Auburn che educa «l’architetto-cittadino»; risultato: un team di studenti di architettura ha progettato il prototipo di una casa al costo di soli 20.000 dollari. Nel caso delle residenze Quinta Monroy a Iquique, progettate da Alejandro Aravena, il governo cileno aveva proposto la costruzione di case in parte sovvenzionate, e il compito degli abitanti è stato portare a termine l’opera (con relativa acquisizione della proprietà), ottenendo inoltre un innalzamento del valore dell’immobile con un conseguente miglioramento dell’economia locale.
La mostra è esaustiva: ogni studio presenta un’immagine, un modello, alcuni schizzi, taccuini o materiale di progetto («Il materiale richiesto ha il dovere di illustrare non solo l’oggetto di architettura ma soprattutto la sua ideazione e il suo processo costruttivo») oltre a un video artistico appositamente realizzato. La nota più apprezzabile è la chiarezza espositiva, la presenza di documentazione che non eccede in ridondanze e non sovraccarica il visitatore. Una versione in miniatura di un’altra Biennale, l’ultima, nella quale, almeno negli intenti, era la gente a essere chiamata a incontrare l’architettura.

«Small Scale. Big Change», MoMa, New York, fino al 3 gennaio

Autore

  • Daria Ricchi

    Laureata in architettura presso l’Università di Firenze nel 2003, sta completando un dottorato in storia e teoria dell’architettura presso l’Università di Princeton. Interessata alla riflessione sui confini tra i generi e le narrative storiche, nonchè ai diversi modi di scrivere di architettura, ha pubblicato un saggio sul ruolo della fantasia nei testi di storia: “There is no Fantasy Without Reality. Calvino’s Architectural Fictions" (NAi, 2015). Collabora con diverse riviste di architettura (Il Giornale dell’Architettura, A10, Area) e quotidiani (Casamica, il Corriere della Sera). Il suo primo libro (2005) raccontava il neo-modernismo olandese attraverso il lavoro dello studio Mecanoo, mentre il suo successivo (2007) riguarda il lavoro dello studio newyorkese Diller & Scofidio + Renfro.

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 60 times, 1 visits today)
Share
Last modified: 13 Luglio 2015