Anversa (Belgio). Nel 1950 larchitetto belga Léon Stynen aveva immaginato sei edifici a torre protetti da colline e immersi nelle radure bagnate dai fossati del sito di Wezenberg, ex demanio militare ai margini del centro di Anversa. A quel tempo Wezenberg non era ancora attraversato dallautostrada E3 e dalla ferrovia che ne hanno sconvolto il paesaggio, spogliato delle alture e dei corsi dacqua. Stynen pianificò il territorio secondo i canoni della scuola modernista, affidando al disegno della «città verde» la lezione urbanistica lecorbusiana. Delle sei torri ne furono realizzate tre: il palazzo Bp, lhotel Crest e un fabbricato per il Conservatorio reale fiammingo, commissionato dal ministero dei Lavori pubblici nel 1958. Questultimo progetto evolve nel corso dei decenni, dando vita al centro per le arti deSingel (1980), che il 1° ottobre inaugura un nuovo edificio firmato Stéphane Beel. La collaborazione con Beel ha inizio nel 1989 quando, dopo lesposizione consacrata ai suoi progetti, deSingel gli affida la definizione di spazi interni e, alla soglia del nuovo millennio, il masterplan per unestensione delle diverse attività del centro: il Conservatorio, il deSingel stesso, lemittente Radio 2, e il Vai (Vlaams Architectuurinstituut, lIstituto di architettura fiamminga con i suoi archivi, che per lapertura dedicano una mostra antologica a Renaat Braem). Lampliamento, costato 25 milioni (finanziati per il 65% dalla comunità fiamminga e per il 35% dallUniversity College Artesis), aggiunge 12.000 mq, dei quali 7.800 per deSingel e 4.200 per il Conservatorio. Il progetto di Beel conferma la vocazione delle sue architetture pubbliche, dai musei ai centri per larte, come connessioni tra il paesaggio, la storia del sito e labitare contemporaneo. Invertendo i tipi citati da Stynen, nellampliamento Beel definisce un corpo basso e allungato, da cui si eleva una piastra su p i l o t i s. Questo solido galleggiante completa lassetto architettonico esistente e, allineato ai monoliti verticali di Stynen, ne costituisce il contrappeso, divenendo fulcro ordinatore di un reticolo di direttrici che, trasposte nellorganizzazione degli spazi interni, connettono il centro culturale alla periferia urbana. Le arterie stradali entrano nelle sale come frames ovattati di un film senza audio: «Lautostrada fa parte del paesaggio contemporaneo e per questo non avrebbe senso negarla. La strada diventa invece un elemento che lartista può scegliere di far entrare nella sua opera». La scuola brutalista si ripercuote nella scelta di lasciare emergere parte della struttura portante caratterizzata da pilastri a Y, ammorbidita allesterno da un rivestimento ligneo grezzo che nel corso del tempo assumerà una colorazione grigiastra e disomogenea più vicina alle tonalità degli edifici preesistenti. Allermetismo della «scatola flottante», Beel contrappone uno spazio interno articolato in un intrico di passaggi e rampe destinate simultaneamente a luogo dincontro e transito. Il rosso vivo della moquette ricopre gli spazi distributivi (dove talvolta affiorano immagini dinterni museali di Richard Meyer) restituendo lidea di un continuum che dalla rampa di accesso esterna culmina nella terrazza a cielo aperto verso la città. Come in altre sue opere museali, Beel integra il percorso della promenade architecturale alla stasi del chiostro, qui evocato da scorci visuali, coni di luce e affacci interni posti tra le sale e le zone di passaggio. «Ho interpretato questi luoghi pensando a una comunità di artisti che condivide una scelta di vita e allevolvere dellarte contemporanea in linguaggi dove affluiscono diverse discipline. La circolazione tra le sale riprende quella di un chiostro attraversato da aperture per porre in relazione le attività artistiche che si
svolgono in ciascuna stanza». Le aperture, oscurabili, sono i soli elementi formali che connotano gli ambienti, progettati per attività specifiche. La ricerca di Beel esprime una cultura museografica, e in senso più ampio architettonica, che si discosta dal clamore episodico del cosiddetto «design urbano» e trova le proprie ragioni nel territorio e nei suoi abitanti.
Articoli recenti
- Yoshio Taniguchi (1937-2024) 7 Gennaio 2025
- Quo vadis architetto? Tre architetti e una villa, la E-1027 6 Gennaio 2025
- Da Koolhaas a Morozzo della Rocca, se la teoria è progetto 5 Gennaio 2025
- Ri_visitati. Le Albere a Trento: sogni, treni e appartamenti vuoti 3 Gennaio 2025
- Il mio commiato al Giornale, miracolo che si rinnova settimanalmente 1 Gennaio 2025
- L’archintruso. Calendario 2025 per architetti devoti 19 Dicembre 2024
- 30 racconti per un anno 18 Dicembre 2024
- Inchiesta: Roma e il Giubileo 18 Dicembre 2024
- Brescia: dalla mostra al museo al territorio 18 Dicembre 2024
- Tobia Scarpa, 90 anni e non sentirli 18 Dicembre 2024
- Salvare Milano ma non sfasciare l’Italia 16 Dicembre 2024
- Reinventare il costruito con il riuso adattivo 16 Dicembre 2024
- “Paesaggi aperti”, per dare valore ai territori 16 Dicembre 2024
- Una nuova sede per Ceramiche Keope 16 Dicembre 2024
Tag
Edizione mensile cartacea: 2002-2014. Edizione digitale: dal 2015.
Iscrizione al Tribunale di Torino n. 10213 del 24/09/2020 - ISSN 2284-1369
Fondatore: Carlo Olmo. Direttore: Luca Gibello. Redazione: Cristiana Chiorino, Luigi Bartolomei, Milena Farina, Laura Milan, Arianna Panarella, Michele Roda, Veronica Rodenigo, Ubaldo Spina.
«Il Giornale dell’Architettura» è un marchio registrato e concesso in licenza da Umberto Allemandi & C. S.p.A. all’associazione culturale The Architectural Post; ilgiornaledellarchitettura.com è un Domain Name registrato e concesso in licenza da Umberto Allemandi & C. S.p.A. a The Architectural Post, nuovo editore della testata digitale, derivata e di proprietà di «Il Giornale dell’Architettura» fondato nell’anno 2002 dalla casa editrice Umberto Allemandi & C. S.p.A.
L’archivio storico
CLICCA QUI ed effettua l’accesso per sfogliare tutti i nostri vecchi numeri in PDF.
© 2024 TheArchitecturalPost - Privacy - Informativa Cookies - Developed by Studioata