Cambiano contesti storici e scenari sociali, ma quello delle «difficoltà politiche» rimane il vero tema costante dellarchitettura italiana. Se Giulia Veronesi vi ricorse per spiegare i termini di una corruzione morale esercitata dal fascismo sulletica del progetto sociale, nel liberismo ideologico contemporaneo ha assunto una connotazione ancora più sinistra: lo sfondo politico infatti sembra essere soltanto il palcoscenico di una «commedia professionale» dove le ambizioni personali si travestono da operazioni culturali e la ricerca dellidentità nazionale sconfina nella costruzione di reti di sicurezza, nella ricerca di commesse e incarichi prestigiosi. Né al «vizietto» italiano giova molto lo stato internazionale di unarchitettura che «sotto il vestito niente»: che sotto lo sfoggio di linguaggi brillanti nasconde il decadimento profondo dellidea stessa di «pubblico», da cosa condivisa a soluzione imposta con la forza della politica. Dopo aver decantato per decenni la vitalità del mercato privato per la concorrenza delle idee, ci si accorge con finto stupore che in realtà il progetto non serve più per risolvere problemi, ma per lanciare messaggi che hanno la consistenza (e la durata) di uno spot pubblicitario. In un paese dove ogni cosa deve avere il carisma delleccezionale, che cosa sia unarchitettura civile o cosa implichi per la comunità la nozione di «society building», sono pochi a saperlo e meno ancora a praticarlo.
Credo sia proprio per questi motivi che questo giornale ha scelto unopera torinese «di periferia»: di quelle che di solito servono come esercitazione sociologica per mostrare lindecifrabile «sublime» dellaltrove postmoderno. Ma i giovani architetti del gruppo coordinato da Massimo Crotti e Antonio De Rossi non sono stati mossi dalla pretesa di dimostrare i nuovi capisaldi dellestetica della periferia, quanto piuttosto dalla voglia di dar corpo a un progetto nato dallinterno del mondo universitario come esigenza di «conciliare» tempi dimpiego e impegni familiari.
Rinunciando allidea di un monumento allhinterland, il progetto è stato condotto sondando orizzontalmente il sito a partire dallelenco delle funzioni (servizi educativi per linfanzia, centro benessere, centro di documentazione, biblioteca, ristorazione, ecc.) e tessendo una trama di relazioni tra queste e il contesto del quartiere.
Il tema della «città orizzontale» (Adalberto Libera?) sintreccia alla manipolazione del modello a corte, che rende porosi i volumi e ne consente (David Chipperfield insegna) una grande libertà di articolazioni e sfalsamenti; oltre, naturalmente, a provvedere la quiete di spazi controllati allaria aperta. Particolarmente congeniali alla tipologia dellasilo sono i vuoti del patio che rimandano a una tradizione italiana del Moderno, dal SantElia di Giuseppe Terragni a Como agli asili olivettiani di Ludovico Quaroni e di Figini & Pollini. Lavorando sulla reiterazione di elementi semplici, lattenzione compositiva si sposta dalla definizione del singolo oggetto alla sua combinazione, in uno schema insediativo che alterna lapertura del fronte porticato sulla strada alla chiusura del lungo prospetto sul retro, dove sono alloggiati i locali tecnici e gli ambienti meno aperti al pubblico.
Fattore determinante, la topografia (in particolare il lieve dislivello tra le estremità del lotto) introduce un principio di disassamento della regolarità, strutturando una serie di percorsi a scendere e risalire.
Last but not least, la copertura, impaginata come un origami metallico acquista dalla pieghettatura uninaspettata dolcezza: una domesticità memore della più poetica lezione di Gabetti & Isola, tra i primi (in anni non sospetti, ma proprio per questo difficili) a introdurre nellalfabeto dello stilnovo piemontese i segni di una civiltà del costruire che significava soprattutto civiltà di abitare.
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