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Cristina FiordimelaWritten by: Progetti

Un museo diffuso di case alle porte del Karakorum

L’Askole House Museum, recentemente inaugurato in Pakistan, è una delle attività del programma Seed (Social Economic and Environmental Developement), un insieme di progetti per lo sviluppo del Parco nazionale del Karakorum centrale, promosso dal Comitato Ev-K2-Cnr e finanziato dagli accordi Pidsa (Pakistan-Italian Debt For Development Swap Agreement). La casa-museo di Askole è il fulcro di un museo diffuso che interessa un’ampia porzione dell’alta valle Braldo: un progetto coordinato a partire dal 2006 da Eleonora Bersani (dipartimento di Progettazione del Politecnico di Milano) con lo studio Ila Architetti (Ermes Invernizzi e Michele Locatelli). La partecipazione della popolazione al progetto e alla realizzazione del museo, l’interpretazione del concetto di museo diffuso per cui un ecomuseo si fonda su un patto con cui una comunità si prende cura di un territorio, il linguaggio museografico semplice e spartano sono i fondamenti della conversione museale di un territorio «sperduto nel tempo e nello spazio, leggendario, incantevole, dove gli uomini sono davvero parenti della loro terra», annotava Fosco Maraini. Abbiamo posto 3 domande all’architetto Invernizzi.
In che modo l’istituzione di un museo contribuisce alla tutela del territorio e della cultura autoctona?
Gli obiettivi del programma Seed sono lo studio e la realizzazione di strutture volte a migliorare la qualità della vita della popolazione, e al contempo a salvaguardare e diffondere la cultura locale, allo scopo d’incentivare forme di turismo sostenibile. Il progetto di ricerca ha individuato una serie di azioni per la salvaguardia di parte del patrimonio storico-culturale della valle, punto di accesso privilegiato ai ghiacciai, al K2 e alle più alte vette del Karakorum. Lo sviluppo del turismo e delle spedizioni alpinistiche commerciali hanno generato negli ultimi decenni intensi flussi turistici incompatibili con l’assetto territoriale esistente. L’aspetto più interessante dell’Askole House Museum non è il manufatto in sé ma il processo di autoconsapevolezza che ha coinvolto la popolazione locale.
Com’è avvenuta la partecipazione al progetto museologico?
Dalla messa a punto del processo decisionale, alla definizione dell’idea di casa-museo, nelle fasi progettuali ed esecutive, nell’elaborazione dei contenuti e del percorso espositivo, che ha inizio con l’individuazione dell’abitazione storica e prosegue con l’identificazione, donazione e catalogazione di oggetti, fino all’allestimento del percorso espositivo e alla programmazione di un piano di mantenimento e sviluppo dello spazio, autogestito dalla comunità del villaggio.
Perchè si è scelta la casa-museo come luogo di salvaguardia e diffusione della cultura etnografica?
L’architettura domestica, qui caratterizzata da una ripartizione verticale degli spazi – vissuti in diversi periodi dell’anno a seconda delle condizioni climatiche – e da una concatenazione degli accessi che determinano anche la stratificazione dei percorsi, costituisce la chiave di lettura per conoscere la storia della popolazione indigena che vive in condizioni estreme e di sussistenza. Al contempo è proprio nella casa che si manifestano con maggiore evidenza le incursioni deterioranti di un turismo incalzante e spesso ignaro della ricchezza culturale oltre che ambientale di questi luoghi. Proprio la casa-museo può mostrare le conseguenze che cambiamenti minimali nello spazio domestico possono determinare nei rapporti sociali. È palesato per esempio come le coperture in lamiera, che stanno sostituendo le tradizionali coperture piane Handok, compromettano uno spazio pubblico privilegiato, utilizzato soprattutto da donne e bambini.

Autore

  • Cristina Fiordimela

    Architetta museografa, docente al Politecnico di Milano. Insegna architettura degli interni, exhibition design e si relaziona con le arti contemporanee (commons), di cui scrive su riviste specializzate italiane e internazionali. La museografia è il filo rosso che attraversa sia l’impegno teorico, sia la progettazione e la messa in opera di allestimenti che riguardano le intersezioni sensibili all’arte, alla scienza e alla filosofia, in sinergia con enti universitari, musei e istituti di ricerca. L’indagine su media art come dispositivi di produzione artistica in commoning è l’ambito di studio e di sperimentazione delle attività più recenti, da cui prende corpo con Freddy Paul Grunert, Lepetitemasculin, dialogo nello spazio perso, iniziato al Lake County, San Francisco

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Last modified: 17 Luglio 2015