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Daria RicchiWritten by: Città e Territorio

Una striscia di parco attraversa New York

NEW YORK. I newyorkesi lo hanno già ribattezzato «Park on the Sky», o «Agritettura» (ultima declinazione interdisciplinare dell’architettura), ma anche «Città del domani», che riprende il nome di un programma più ampio e include l’High Line tra i progetti del piano Bloomberg, nato per dotare la città di aree verdi e pedonali.
Inaugurato il 9 giugno, il primo tratto del parco dell’High Line parte a Chelsea, nel Meatpacking District, salendo, dal lato sud-ovest di Manhattan, fino alla 20ma strada. Il prossimo anno agli attuali 800 m si aggiungeranno 2,5 km di percorsi fino a raggiungere la 34ma strada a nord.
L’asta sopraelevata dell’High Line fu costruita negli anni trenta per veicolare il traffico di treni merci su un binario che si snodava al di sopra di uno dei più ampi e trafficati distretti industriali. Prima di quel momento, il Meatpacking District, che nei primi anni del Novecento contava oltre 250 mattatoi e impianti di conservazione della carne, era luogo di numerosi incidenti tra treni merci e traffico stradale, tanto da far guadagnare alla 10ma avenue l’appellativo di «Death Avenue». Da quando nel 1980 l’ultimo treno ha percorso i binari, la ferrovia è stata lasciata decadere ed è stata al centro di polemiche tra chi la voleva demolire e chi ne auspicava la riconversione in parco urbano; da un lato l’amministrazione Giuliani, dall’altra un’organizzazione di volontari come i «Friends of the High Line», supportata anche da star hollywoodiane e politici del calibro di Hillary Clinton. L’amministrazione Bloomberg ha sostenuto questi ultimi: 50 milioni di dollari sono stati stanziati dal sindaco ma ne sono serviti altri 152 per completare la prima sezione; di questi, 112 forniti dalla città, 20 dal governo federale e 400.000 dallo stato. Il rimanente è stato raccolto dai privati.
Nel 2004 il connubio Diller& Scofidio (+Renfro) e Field Operations è stato scelto tra una rosa di 720 gruppi, che l’anno prima aveva partecipato al concorso d’idee per proporre ipotesi di riconversione urbana.
Ora lo stesso quartiere ospita boutique, ristoranti alla moda, hotel di lusso e uffici progettati da architetti come Jean Nouvel, Renzo Piano, Annabelle Selldorf e Della Valle Bernheimer che si ergono lungo la sopraelevata: un fenomeno di gentrification che, come ricorda Elizabeth Diller, «similmente alla crescita spontanea o controllata di vegetazione si può controllare ma non contrastare».
Il parco dell’High Line sembra fondere in sé ingegneria, orticultura e architettura. Il progetto è il tentativo di trovare un equilibrio tra quello che viene chiamato «romanticismo delle rovine» – erbe selvatiche che crescono su resti della linea ferrata mentre viene ricreato un percorso verde per i pedoni – e l’urbanità nella sua totalità, edifici, scorci urbani di una Manhattan mai vista che si riscopre passeggiando. Uno studio attento delle piantagioni ha permesso di prevederne la fioritura nei vari periodi dell’anno con scenografie di profumi e colori. I progettisti hanno inoltre insistito per regolare e controllare gli accessi – ancora, incredibilmente solo quattro tra la Gansevoort a sud e la 20ma strada – mentre i costruttori e promotori immobiliari stanno lottando per costruirne di nuovi dai loro edifici. Per ora solo lo Standard Hotel di Polshek Partnership Architects (che s’inaugurerà a ottobre) si eleva direttamente sopra il parco.
Appena inaugurato, l’High Line presenta ancora un aspetto pulito e patinato, come una riproduzione reale di un perfetto rendering progettuale. Una delle preoccupazioni più sentite è che il parco diventi successivamente meta di orde di turisti e quindi nuovo non-luogo da cartolina. In realtà forse il tempo renderà ancora più viva questa passeggiata, già bivacco di giovani che oziano guardando il traffico dalle vetrate sulla 18ma o spiaggia per ragazze in bikini sulle sedute in legno.

Autore

  • Daria Ricchi

    Laureata in architettura presso l’Università di Firenze nel 2003, sta completando un dottorato in storia e teoria dell’architettura presso l’Università di Princeton. Interessata alla riflessione sui confini tra i generi e le narrative storiche, nonchè ai diversi modi di scrivere di architettura, ha pubblicato un saggio sul ruolo della fantasia nei testi di storia: “There is no Fantasy Without Reality. Calvino’s Architectural Fictions" (NAi, 2015). Collabora con diverse riviste di architettura (Il Giornale dell’Architettura, A10, Area) e quotidiani (Casamica, il Corriere della Sera). Il suo primo libro (2005) raccontava il neo-modernismo olandese attraverso il lavoro dello studio Mecanoo, mentre il suo successivo (2007) riguarda il lavoro dello studio newyorkese Diller & Scofidio + Renfro.

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Last modified: 18 Luglio 2015