DRESDA. La decisione era attesa e prevedibile, ma ha comunque colpito la città sassone con grande forza: a luglio, nella sua riunione annuale di Siviglia, lUnesco ha deciso di espungere Dresda dalla lista dei siti del Patrimonio mondiale dellumanità. La ragione dellinedita punizione per la città è rappresentata dalla costruzione di un ponte sullElba, nel bel mezzo della zona protetta. Appena cinque anni dopo aver ottenuto la preziosa etichetta, Dresda la perde così tra polemiche, ricorsi e accesi dibattiti civici. Perché il paradosso, a Dresda, è che la minaccia della perdita dello statuto Unesco aveva suscitato negli ultimi due anni una grande mobilitazione civica. Che non è però bastata né a convincere lUnesco né a ribaltare la decisione di costruire il ponte.
Sul fatto che linfrastruttura costituisca un grave danno al bene protetto, ci sono pochi dubbi: a Dresda erano tutelate, per 18 km, le rive del fiume, in quanto sito naturale armonicamente antropizzato, e non la città barocca ricostruita dopo i bombardamenti del 1945. La costruzione di un ponte stradale a quattro corsie, promossa dal governo regionale sassone con limportante appoggio lobbistico dellAutomobile Club, è stata vista giustamente dallIcomos e dallUnesco come un attacco diretto al paesaggio. Ma al di là di questo aspetto, e al di là dello sviluppo locale del dibattito sul ponte, tra petizioni, referendum e ricorsi giuridici, il caso di Dresda pone importanti questioni che riguardano la categoria stessa di patrimonio mondiale Unesco, soprattutto nella sua dimensione urbana. E siccome stiamo per entrare in un processo di definizione dei futuri concetti guida per la protezione del paesaggio urbano storico, con la preparazione di una nuova raccomandazione dellUnesco sul tema per il 2011, vale probabilmente la pena di andare oltre lattuale dicotomia tra «dentro» e «fuori» per riflettere su come elaborare categorie più appropriate. Un primo punto riguarda i criteri dinclusione: certo a Dresda le rive dellElba costituiscono una parte fondamentale del paesaggio storico. Ma lo sguardo con cui sono state osservate era sicuramente troppo vicino alle vedute di Canaletto, mentre il rifiuto di considerare la città ricostruita come degna di protezione ha condotto allimpasse dincludere tra i siti «naturali» Unesco una zona urbana in piena trasformazione. Cè sicuramente da lavorare sul concetto di autenticità attualmente prevalente, per evitare di aggirare le difficoltà di classificazione creandone altre.
Un secondo punto riguarda questioni di prospettiva: il ponte fa parte dei dibattiti urbanistici locali sin dal 1883, e nello stato attuale del progetto dal 1994, prima dei contatti con lUnesco. Il caso tedesco illustra quindi lurgente bisogno di strumenti per risolvere possibili bisogni infrastrutturali delle città candidate. Lo stesso vale per quelle che fanno già parte della lista: lassenza di modalità articolate di dialogo tra Unesco, Icomos, comuni e società civile ha fatto sì che a Dresda non si sia potuta trovare nessun soluzione di compromesso. Converrebbe dunque forse riflettere sul possibile passaggio da una concezione statica del paesaggio urbano storico a una dinamica, capace sia di proteggerne gli elementi fondamentali sia di regolare la relazione fra trasformazione e conservazione.
La stessa questione si porrà prossimamente anche per Bordeaux, dove la Communauté urbaine intende costruire un nuovo ponte che mette a rischio lo statuto Unesco: si vedrà se per lUnesco Dresda è destinata a fare giurisprudenza, o se al contrario lesperienza negativa vissuta dalla Firenze dellElba sarà servita a stimolare il processo di messa a punto di concetti e procedure più raffinate per i siti del Patrimonio mondiale.
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