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Ubaldo SpinaWritten by: Design Professione e Formazione

Design al femminile, c’è ancora tanta strada da fare

Design al femminile, c’è ancora tanta strada da fare

A cent’anni dal People Act, che nel Regno Unito ha dato per la prima volta il diritto di voto alle donne, secondo l’iniziativa “Leading Women in Design” del Design Council il lavoro femminile è ancora poco valorizzato e spesso sottopagato

 

Il 6 febbraio scorso il Regno Unito (e non solo) ha celebrato il centesimo anniversario della legge sulla Rappresentanza del Popolo, grazie alla quale ad alcune donne fu concesso per la prima volta il diritto di voto. Eventi di questo tipo hanno il grande merito di risvegliare dal torpore dibattiti e opinioni, ma soprattutto alimentano prodotti e industrie culturali capaci di interrogarsi e invitare alla riflessione sulla condizione della donna nel 2018, o meglio sullo stato di disagio permanente che il sesso femminile vive in determinate aree geografiche. Basti pensare al film “Suffragette”, al libro di prossima pubblicazione di Libby Sellers (Women Design), a mostre ed eventi che recuperano pioniere del passato e le restituiscono quasi eroine per aver prodotto bellezza in anni difficili anche fuori dal design del tessile e della ceramica. Non è nostra intenzione celebrare oggi le donne che si occupano di architettura e di design, né posizionare sul piedistallo quelle note o quelle emergenti (troviamo particolarmente sgradevoli le classifiche alla ricerca delle donne più influenti in un determinato settore, perché indirettamente stendono veli sulla restante stragrande maggioranza).

Il nostro obiettivo è quello di agganciarci ad un’iniziativa del Design Council britannico, istituzione che, sulla scia dei festeggiamenti e delle riflessioni scatenate dal People Act, ha inaugurato la presentazione di una serie di “Leading Women in Design“, ognuna delle quali ha contribuito a dare forma al mondo in cui viviamo oggi. Senza entrare nel merito della selezione, abbiamo provato ad analizzare uno dei passaggi chiave delle prime interviste pubblicate, quasi sempre incentrate sul talento, sui risultati ottenuti, ma soprattutto sul trattamento differenziato delle donne nell’economia del design. Il quesito è: “Do you think there is genuine equality for men and women across the design industry today?”.

Jo Arscott è stata una delle prime Creative Director di colore, ha rappresentato marchi come Coca Cola e Procter & Gamble a livello internazionale. Alla domanda, ha risposto con un secco “No”, anche se ammette che l’industria pubblicitaria, come la maggior parte delle aziende, sta cercando di riequilibrare le posizioni. Questo grazie alle voci delle donne e dei gruppi di uguaglianza sui social media che hanno giocato un ruolo chiave. La Arscott le chiama le nuove piattaforme di protesta. Per poi affermare: «Quando ho iniziato la mia carriera a fine anni ’80, ricordo di essere stata uno dei pochi creativi donna e nera. Ma dopo un decennio di lavoro a livello mondiale per IPG, Publicis e WPP, rientrando a Londra, sono rimasta scioccata nel vedere l’attivismo di oggi e mi chiedo spesso come sia possibile aiutare questi movimenti».

Abbastanza allineata la risposta di Sarah Weir Obe, primo amministratore delegato donna del Design Council. Obe risponde negativamente basandosi sulle ricerche indipendenti del Design Council svolte nel 2015 dalle quali è emerso un dato per certi versi inquietante: l’economia del design è per il 78% in mano agli uomini, rispetto al 53% della working economy gestita dal sesso maschile. In altre parole se nei servizi in generale le donne se la giocano, nel design il divario è netto e difficilmente recuperabile in tempi brevi. Obe insiste poi con le sue statistiche, riportando che il dato si fa ancora più preoccupante se prendiamo in considerazione le donne BAME, impiegate ad esempio nel digital design all’11% a fronte di una media nazionale del 19%. Lo scenario diventa insostenibile per queste minoranze se pensiamo che i settori architettura e graphic design occupano solo il 6% e il 4% delle donne nere, asiatiche e di altre minoranze etniche.

Oltre alla riduzione di opportunità lavorative, infine, Obe rileva un gender imbalance anche in termini di retribuzione. Riferendosi sempre agli studi realizzati nel 2015, afferma che la media dei salari degli operatori del design è di circa 635 sterline a settimana. Il 68% delle donne che vivono di design guadagna meno della media e, anzi, la maggior parte di loro è disposta a lavorare in alcuni sottosettori del design tradizionalmente considerati a basso costo.

I pareri d’Oltremanica hanno trovato e trovano naturalmente conferme anche in Italia. Basti pensare alle parole di Silvana Annicchiarico, usate come sassi aguzzi pronti da scagliare (canterebbe Samuele Bersani) raccolte nella pubblicazione W. Women in Italian Design: «Il design italiano nel Novecento è stato un design patriarcale. Lo è stato oggettivamente e indiscutibilmente. Le storie del design riconoscono, se va bene, e nel migliore dei casi, una decina di esempi al femminile. Le donne nel design italiano sono state e sono una presenza quantitativamente e qualitativamente rilevante che è stata di fatto nascosta, rimossa e marginalizzata».

Ci ripromettiamo di continuare a parlare di donne nel design, laddove naturalmente siano protagoniste e non categorie da tutelare. Perché il design delle donne ha una fortissima vitalità e perché, sempre citando la Annicchiarico, è basato su una «creatività imprevedibile, sul prendersi cura, con una visione del mondo pacificata, positiva e senza lamenti. Una progettualità senza testosterone».

Il contenuto delle interviste a Jo Arscott e a Sarah Weir Obe è stato curato dal Design Council come parte della serie ‘Leading Women’, celebrazione del centesimo anniversario della Legge sulla Rappresentanza del Popolo del 1918. Le interviste integrali sono disponibili al seguente link: https://www.designcouncil.org.uk/leading-women-design

These interviews were provided by Design Council as part of their ‘Leading Women’ series, which is a celebration of the 100 year anniversary of the Representation of the People Act 1918” https://www.designcouncil.org.uk/leading-women-design

Autore

  • Ubaldo Spina

    Ricercatore, Industrial Designer e BDM presso CETMA (www.cetma.it), dove lavora occupandosi di progetti di ricerca sul design e servizi di design e innovation management. Consulente di startup, PMI e Grandi Imprese, con focus sulla gestione dei processi di sviluppo di nuovi prodotti e fornitura di servizi avanzati di progettazione concettuale e strategica, ingegneria, prototipazione e protezione IP. Esperto europeo nella ricerca di "Tecnologie emergenti per il design" e membro dello Steering Board del progetto WORTH, il più grande incubatore europeo finanziato all’interno del programma COSME per la creazione e il supporto di collaborazioni transnazionali tra designer, PMI e technology provider, è membro della Commissione "Ricerca per l'impresa" dell'ADI - Associazione per il Disegno Industriale. Per conto del Joint Research Center della Commissione Europea, ha co-curato il rapporto "Innovation Ecosystems in the Creative Sector: The Case of Additive Manufacturing and Advanced Materials for Design". Il suo gruppo di lavoro ha ricevuto diversi premi ADI Design Index, nel 2011 e nel 2016 le Menzioni d'Onore Compasso d'Oro ADI. Docente nell'ambito delle attività didattiche magistrali de “Il Sole 24 Ore”, coordina la pagina Design de “Il Giornale dell'Architettura” e le rubriche giornalistiche “SOS Design” (Design for Emergencies), “Design&Startup” e “Professione Designer”.

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Last modified: 7 Marzo 2018