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Lucia BossoWritten by: Inchieste Interviste

Archivi digitali degli architetti: ci vuole organizzazione

Archivi digitali degli architetti: ci vuole organizzazione

Dialogo con Kristine Fallon, esperta nella consulenza per la gestione di documenti digitali prodotti dagli studi professionali

 

KFallon_portraitKristine Fallon è architetta e pioniera nell’applicazione di IT nella progettazione che segue dagli anni ’70. Dal 1993 è a capo di Kristine Fallon Associates, società di consulenza basata a Chicago con cui affianca studi di architettura e ingegneria sulla gestione e conoscenza dei dati digitali e sull’applicazione dei sistemi informatici, con particolare attenzione ai documenti Cad e Bim di cui segue l’evoluzione dai primi anni ‘90. Prima che fosse acquisito da Autodesk e messo in commercio come software, è stata consulente per Revit Technology Corporation. Grazie alle sue ricerche nell’ambito del IT, nel 1995 entra a far parte dell’American Institute of Architects (AIA). Nel 2007 ha concluso un ampio progetto di ricerca: il DAArch (Digital Archive for Architecture), commissionato dal Dipartimento di architettura dell’Art Institute di Chicago, al fine d’individuare metodi a lungo termine per la gestione dei materiali progettuali nativi digitali. Riflettiamo con lei su DAArch e su alcuni aspetti inediti che l’uso del digitale sta evidenziando nell’archiviazione dei documenti progettuali.

 

Quali servizi che offre ai clienti Kristine Fallon Associates?

Kristine Fallon Associates è un’agenzia di consulenza specializzata nello sviluppo di soluzioni tecnologiche nell’ambito della progettazione, costruzione e facility management. La nostra attività si occupa di raccogliere dati e informazioni relative ai progetti e renderli utilizzabili nelle fasi successive alla costruzione. Abbiamo inoltre competenze nel trasferimento dati Cad e Bim in sistemi differenti.

 

Dal 2002 al 2007 siete stati impegnati nello svolgimento del progetto di ricerca DAArch, «specificatamente creato per la conservazione di documentazione progettuale nata digitale». Che cosa è emerso dalla ricerca e quali risultati avete ottenuto?

Tra il 2002 e 2003 il Dipartimento di architettura dell’Art Institute di Chicago ci ha commissionato un progetto di ricerca sostenuto da Schiff Foundation. Era già allora evidente come l’utilizzo di strumenti digitali ponesse nuovi temi nell’archiviazione della documentazione progettuale. In particolare, la questione urgente era come poter gestire la molteplicità di programmi e formati digitali che nella progettazione vengono costantemente prodotti. Il progetto era molto esteso e ha coinvolto diverse figure: un comitato consultivo proveniente dall’Art Institute e da altri musei e archivi, oltre esperti in Cad e progettisti. Attraverso una serie d’interviste a studi di architettura e design, che ha incluso anche firme internazionali, abbiamo raccolto informazioni relative all’uso del digitale. Quindi, come ricercatori, abbiamo formulato conclusioni e proposte su diversi argomenti poi condivisi con il comitato, per riceverne un parere. Trascorrendo molto tempo con gli archivisti e i curatori del Dipartimento di architettura dell’Art Institute, che possiede un vasto archivio d’architettura e un rilevante dipartimento curatoriale, ho compreso come la loro priorità sia individuare le immagini chiave, quelle che meglio illustrano l’evoluzione del progetto.
Ho iniziato la mia professione proprio durante l’introduzione della progettazione Cad, e ho familiarità sia con i disegni su carta che digitali. Capisco bene quindi come in molti studi periodicamente venga scelta un’immagine, tradizionalmente era un disegno, per comunicare un progetto. Una volta erano stampati, ora sono di un formato elettronico, che invece può essere facilmente modificato o perso, e spesso diventano immagini inserite nelle presentazioni in Power Point. Io le chiamo outputs. Uno dei risultati della ricerca, è stato capire che gli outputs corrispondessero ai tradizionali materiali di archivio, e i formati come Pdf esistessero per poterli decodificare, leggere.

 

Una buona collezione di architettura digitale parte dallo studio dell’architetto. Dalla sua esperienza, gli architetti sono preparati ad affrontare la gestione della documentazione digitale?

Senza dubbio se lo studio non è attento al proprio archivio digitale, sarà poi difficile da parte di chiunque poterlo decifrare. Dalla nostra ricerca risulta che gli studi più grandi hanno maggiore capacità di organizzazione, anche per la necessità di garantire una migliore condivisione interna. Al contrario, gli studi più giovani si sono mostrati meno disciplinati a riguardo. Tendono ad usare qualsiasi tipo di software, anche interessante, però spesso mancano delle norme di base della gestione, come il naming, e hanno difficoltà loro stessi a rintracciare i file. Dalla nostra ricerca è passato un decennio, e voglio pensare che le cose siano migliorate.

 

Nell’archiviazione del digitale, la pratica archivistica è il record management (RM), che prevede nuovi approcci e diverse modalità e regole di archiviazione rispetto al cartaceo. Che cosa s’intende esattamente per RM? E tra le sue esperienze di consulenza,quanta conoscenza del tema ha riscontrato?

Nello stesso periodo del nostro progetto, è stato pubblicato il programma europeo GAU:DI (Governance, Architecture, Urbanism: a Democratic Interaction) che è stato ed è tuttora un’utilissima ricerca sull’importanza del record management per gli studi di progettazione, e fornisce una guida per l’organizzazione e la gestione di documentazione digitale da un punto di vista pratico, legale e archivistico. E come emerge anche da questa ricerca, per i progettisti è raccomandabile redigere un regolamento scritto per la creazione, gestione e conservazione dei dati digitali, da applicare nel momento stesso della creazione del dato e durante l’intero processo progettuale, con attenzione alla fase definitiva. In particolare, dovrebbe essere regola rivedere il materiale relativo alla fase costruttiva dei progetti, eliminando il superfluo, selezionando cosa conservare, e verificare che i dati siano accuratamente archiviati. Questo è a mio parere è una buona spiegazione di record management.

 

Potrebbe apparire inevitabile considerare l’archiviazione digitale come una competenza principalmente tecnica, correlata a capacità informatiche. Credo invece che l’archiviazione che ci aspetta rimarrà una materia condivisa tra varie competenze (ricerca tecnologica, archivistica, architettura). Che cosa ne pensa?

Sono convinta che in questo momento nelle attività progettuali sia fondamentale avere capacità di controllo degli strumenti di digitalizzazione e che questa sia una competenza ben specifica. Non è un caso che in Gran Bretagna in particolare, stia emergendo la necessità di definire una professione dedicata a questa attività, il project information manager.

 

Il grande equivoco che vedo possibile nell’ambito dell’archiviazione digitale, è considerare difficile perdere documentazione, piuttosto di comprendere a fondo l’importanza di fare selezione tra il molto prodotto – quindi anche eliminare – in modo da conservare e archiviare il materiale utile e significativo. A suo avviso, come si affronta la paura di perdere informazioni e dati?

Per ora, credo sia importante che gli studi facciano un grande sforzo nel produrre archiviazione digitale di qualità, con attenzione ai progetti definitivi, come dicevo. Se non si parte da qui, nel futuro si potrà accedere ad informazioni parziali e di bassa qualità.

 

Il digitale nella produzione progettuale sta mutando il modo di pensare e realizzare l’architettura, non più soltanto come oggetto ma in senso più ampio come processo. Saremo dunque destinati a conservare anche i software che garantiscono i processi e rendere anch’essi materiale d’archivio?

Nel 2007-2009 il MIT ha sostenuto la ricerca FAÇADE (Future-proofing Architectural Computer-Aided Design) e mi ha invitato a far parte del Comitato consultivo. Tra gli obiettivi principali vi era quello di studiare e comprendere in che modo conservare, archiviare e divulgare la documentazione digitale prodotta durante la progettazione. In questo senso, la ricerca si è spinta fino a interrogarsi sull’opportunità e la possibilità di mettere a punto macchine virtuali che permettessero la conservazione dei software e quindi la leggibilità dei dati Cad. Si tratta di un tema importante, ancora aperto.

 

LEGGI TUTTE LE PUNTATE DELL’INCHIESTA SUGLI ARCHIVI DIGITALI (A CURA DI LUCIA BOSSO)

 

Immagine di copertina. Progetto di ricerca DAArch: caso studio inerente Ideo

Autore

  • Lucia Bosso

    Nata a Torino nel 1978, è architetta e si occupa di relazioni con la stampa per l’architettura. Dopo diverse esperienze come ufficio stampa in studi internazionali - tra cui studio Fuksas e Matteo Thun - ha fondato con Elisa Luconi Based Architecture, un’agenzia di consulenza per l’architettura che unisce le competenze dell’ambito della comunicazione a quelle del record management.

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Last modified: 20 Luglio 2016