Report dall’ottavo congresso nazionale a Roma: in tremila, provano a lasciarsi alle spalle le difficoltà per rilanciare il ruolo della professione e traguardare (in sinergia con gli altri attori della filiera) il futuro delle trasformazioni urbane e territoriali
ROMA. Si conclude, così come si era aperto, con una standing ovation al presidente Giuseppe Cappochin, l’ottavo congresso nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori italiani, tenutosi all’auditorium Parco della musica dal 5 al 7 luglio. Sotto quello stesso scrosciare di consensi la platea ha ufficiosamente approvato il Manifesto, ovvero il documento programmatico dell’attività del Consiglio nei prossimi mesi, in deroga alla votazione formale prevista dal regolamento.
A dieci anni dall’ultimo congresso a Palermo, la tre giorni romana vede una partecipazione numerosa dei professionisti (3.000, in rappresentanza dei 155.000 iscritti) e ragiona sul ruolo dell’architetto e sul futuro dell’abitare, delle città e dei territori, proponendo un paradigma della qualità della vita urbana a misura d’uomo. Il programma si svolge nei tre giorni senza intoppi, grazie ad una macchina organizzativa ineccepibile, che coinvolge personalità accademiche, dei media, figure istituzionali e professionisti internazionali di livello.
Architettura di qualità
Titolo del congresso è “Abitare il Paese”, con un particolare focus sulla città, sul suo sviluppo sostenibile nel prossimo futuro, senza dimenticare il ruolo che l’architetto deve tornare ad avere in Italia. Propedeutici all’appuntamento, i 14 incontri distribuiti sul territorio nazionale, organizzati dal CNAPPC in sinergia con gli Ordini territoriali, con le Federazioni e le Consulte regionali, nei quali sono stati coinvolti – dalla tappa iniziale di Bari lo scorso 2 febbraio – i cittadini, le associazioni, i rappresentanti delle istituzioni e delle autonomie locali, della politica, della cultura, dell’economia, della ricerca e la comunità degli architetti.
Il risultato è un convegno rivolto non solo agli addetti ai lavori ma soprattutto al Paese, orientato a far emergere la necessità improrogabile di pianificazione strategica, che consenta di far lavorare insieme diverse realtà professionali per l’utilità comune.
Se si considera la bellezza non solo come bene collettivo ma anche come fattore decisivo per la competitività e volano per l’occupazione e l’economia, si capisce l’importanza della Baukultur (cultura del costruire) e la necessità di restituire qualità al progetto, sia esso pubblico o privato. Ma l’impatto che un’architettura di qualità può avere su un territorio non si limita agli aspetti economici. La Dichiarazione di Davos, sottoscritta lo scorso febbraio dai ministri della Cultura di tutto il mondo, ha affermato l’importanza di un progetto consapevole, proprio perché tutte le attività sul paesaggio e sulla costruzione hanno conseguenze dirette sul benessere, sulla coesione sociale, sull’integrazione degli individui; in breve, determinano la qualità della vita.
Fare squadra
Parole semplici quelle usate da Cappochin per affermare l’importanza di presentare istanze e proposte al legislatore, che siano frutto del dialogo con gli altri attori della filiera. Urbanisti, ingegneri, geometri, costruttori e altri professionisti coinvolti devono trovare un accordo e avanzare collegialmente una proposta concreta al governo per ottenere maggiore ascolto. Trovare una posizione comune per contare di più, insomma. L’architettura può, così, tornare ad essere una priorità per il Paese, non solo con riferimento agli spazi urbani ma anche a quelli periferici e rurali, tenendo conto delle tante differenze locali.
Durante il congresso i rappresentanti regionali hanno presentato brevi report che hanno messo in evidenza l’urgenza del cambiamento, la necessità di attivarsi in un ambito specifico, individuato come prioritario per il rispettivo territorio. Ne risulta un viaggio attraverso il Paese, uno sguardo a volo d’uccello sulle realtà locali, che mostra quanto le tante richieste dalle regioni siano diversificate quanto lo è il territorio italiano, ma che per tutte la chiamata all’azione si sia sentita come necessaria.
La normativa non basta
Il tema della legge per l’architettura è stato, come immaginabile, centrale nel dibattito. La legge -urbanistica- del 1942, così come il Decreto interministeriale 1444/1968, sono assolutamente inadeguati di fronte alle istanze della rigenerazione urbana. Più volte è stata ribadita l’urgenza di dare la creatività in mano ai progettisti per un risanamento del centro storico come delle periferie e costituire un’agenzia nazionale permanente: un organo che decida, supervisioni e possa garantire continuità ai progetti, emancipandosi dalla politica del day by day che stiamo vivendo in ogni ambito.
Per far questo si è spostato lo sguardo all’estero, in cerca di modelli cui rifarsi, di vie percorribili anche per il caso italiano. Dai presidenti dei Consigli nazionali degli architetti di quattro Paesi abbiamo appreso -con sorpresa, visto che, antesignana, promulgò la legge per l’architettura nel lontano 1977- che la Francia naviga in acque non migliori delle nostre, dal momento che più della metà dei progetti non vede la collaborazione di architetti, e anche la formazione professionale è carente. Il Portogallo invece approverà entro l’anno la norma che mette al centro la funzione sociale e politica dell’architettura, in contrasto con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa del passato. La Spagna mette al centro della formulazione della legge in atto l’agenda ONU e l’obiettivo di restituire dignità all’individuo.
Particolarmente interessante il caso dell’Estonia: stato giovane -indipendente dal 1991- che dal 2002 si è dotato di una politica per l’architettura che sta fruttando la pratica dei concorsi di progettazione (circa 40 all’anno, per una popolazione totale di architetti pari a 1.500!), mentre una commissione di esperti sta formulando proposte di legge che ragionino sulla figura di un “architetto di Stato”.
In ogni caso, la legge è unanimemente vista come il solo primo passo per affermare una cultura del progetto quale attività di pubblico interesse e, quindi, degna di valorizzazione e diffusione a partire dalle scuole primarie.
La città del futuro
Il congresso si accende di toni vibranti e accorati quando sale sul palco Gil Penalosa, direttore di 8-80 Cities, un progetto che ha toccato vari punti del globo, ridisegnando le abitudini di fruizione degli spazi pubblici. La casa, secondo Penalosa, è il posto in cui trascorriamo meno tempo, dal momento che la maggior parte di noi passa buona parte della giornata fuori. È, quindi, fondamentale riprogettare le città e renderle più vivibili per tutti gli individui, dagli 8 agli 80 anni, pensando al benessere collettivo, alla salute, alla qualità e sicurezza degli spazi pubblici. Immagini di Bogotà e New York ci mostrano come la città del futuro sia già realtà in quelle metropoli in cui la piazza, la strada e comparti dismessi sono stati convertiti ad uso pubblico per fruirne liberamente.
L’immagine sociale dell’architetto
Il terzo giorno del congresso riserva una sorpresa. Anni di disfattismo dilagante fra i progettisti, che vedono sempre più ridotto il peso sociale della propria figura, vengono confutati nella mezz’ora di esposizione di Mario Abis, sociologo e docente della IULM di Milano, che ha condotto un’indagine sull’immagine che le persone hanno dell’architetto. Una ricerca che ha interrogato 800 individui comuni in merito al ruolo, all’utilità del lavoro del professionista, ma anche al prestigio o alla diffidenza che la figura può evocare. Ne risulta che gli italiani vedono il progettista molto più legato all’architettura del passato che non alla contemporaneità e, tuttavia, identificano in esso la figura indispensabile per ridisegnare il territorio e per tratteggiare una visione della città del futuro attenta alle persone e al loro benessere. Lontani dall’identificare il professionista con l’archistar, termine che sembra essere di esclusivo appannaggio dei giornali, gli intervistati affidano al progettista un ruolo sociale importante, erigendolo ad artefice di una città futura migliore e, quindi, di una accresciuta qualità di vita.
Tra platea e… scuola
Nell’auditorium gremito, l’entusiasmo di una platea calorosa, coinvolta e attenta non scema nel corso dei tre giorni di lavori; soprattutto quando si toccano temi caldi quali la legge sull’architettura, la battaglia per l’equo compenso per evitare lo svilimento della professione, la ricerca della qualità. Se la politica spesso latita e mancano gli strumenti per ridare prestigio e potere di azione agli architetti, questi riaffermano il proprio ruolo come intrinsecamente politico e il loro lavoro di registi e concertatori tra parti come determinante per la società. Tuttavia, spesso, al prodotto di questo agire, alle ragioni e riflessioni che stanno dietro un progetto viene dedicato poco spazio. Di qui l’insistita sottolineatura circa l’importanza dell’informazione (e della formazione), della sensibilizzazione al progetto. Un’azione capillare che, si è più volte detto, deve cominciare già nelle scuole.
Il Consiglio nazionale si è assunto una serie di responsabilità; vedremo se, dopo il convegno romano, saprà farsene carico.
Foto di copertina: © Moreno Maggi
Sito web (video streaming delle tre giornate; download dei documenti ufficiali e di alcune relazioni): cnappccongresso2018.it
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Last modified: 11 Luglio 2018
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